Per me l’arte è religione. Nel senso che è tentativo costante di comunicazione col sovrannaturale, cioè con la vera realtà, e presentazione di una possibilità di comunicazione e di accesso ad essa.
Ai giorni nostri, dove l’arte è relegata a semplice fenomeno di espressione soggiacente alle turbolenze dell’ego, una dichiarazione simile può far sorridere, se non peggio essere tacciata di eresia.
Ma a questo scetticismo tipico dell’ uomo moderno, dell’uomo laico ( e ricordo che in greco, laicazein significa puttaneggiare), io oppongo tutto il mio entusiasmo verso la dimensione della grande arte che sola mi permette di entrare in contatto mistico con la profondità delle cose e di me stesso.
L’arte e la religione, o meglio lo spirito religioso, devono coincidire, dunque. Con malinconia perciò guardo al mondo greco, dove, quel popolo straordinario, si è concessa una società dove non esisteva una classe sacerdotale opprimente - come nelle altre culture, coeve e non - e quindi si è permessa, cosa unica nella storia dell’uomo, di trattare direttamente, attraverso le loro straordinarie capacità tecnico-artistiche, con le realtà superiori e farle scendere sulla terra, dandogli connotati semplici, tangibili, umani.
In questa dichiarazione necessariamente è implicita dunque anche la funzione sociale dell’arte; nel senso che il “sociale”, all’approssimarsi della fruizione deve rinunciare alla sua pruderie mondana, e offrire all’individuo la possibilità di vivere un’esperienza unica e irripetibile.
Al di là delle parole, dei concetti, penso che chi fruisce dell’arte deve essere colpito nell’animo, prima dell’insorgere del pensiero, del ragionamento.
Per questo, parlando nello specifico della pittura, ho da sempre amato le opere di quei maestri che offrivono alla mia sensibilità, inappagata da questo mondo, la visione di un luogo in cui io mi sentivo veramente a casa.
Personalmente, come artista quindi, amo allestire scenari che, pur conservando i lineamenti del vivere comune, si presentino come al limite, come su una soglia che invita ad entrare in un “altrove”.
Dunque paesaggi, convertiti in una sublime impossibilità ad essere vissuti: rocce che invadono e ingombrano la scena , edifici inabitabili, fabbriche abbandonate, non più gravate dal peso della loro destinazione d’uso, non più schiave quindi della necessità, e mutate perciò in luoghi dove si opera chissà
quale misteriosa attività…
Per quanto riguarda l’aspetto puramente tecnico, per me é imprescindibile il valore “artigianale” del produrre; il mio lavoro di pittore comincia necessariamente dalla preparazione della tela grezza su cui vado ad applicare da me l’imprimitura alla maniera antica, certamente utilizzando anche quanto può offrire al giorno d’oggi di buono e di pratico la produzione industriale.
Ho esteso in passato questa “artigianalità” anche utilizzando i pigmenti dei colori creando delle tempere con cui ho realizzato vari lavori, ma al momento sono concentrato ad usare esclusivamente la pittura con i pratici tubetti ad olio.
Dicendo questo, mi rendo conto che tutto quanto mi ha condotto a questo punto è stata un’attitudine alla ricerca di una dimensione “impersonale”, un mondo di regole e di rigore, che una volta appreso, mi facesse sentire veramente ricco e libero di agire.
Per questo nei miei anni di studi a Roma, da ragazzo, passavo molto tempo nei grandi musei e pinacoteche della capitale, incantato dalla miracolosa grandezza delle opere esposte dei maestri del passato, cercando di scoprirne e svelarne i segreti; cosa che mi ha portato a realizzare delle copie direttamente dall’originale.
Ma il debito più grande lo ho nei confronti del disegno, di questa prodigiosa dimensione dell’intelletto!
Il disegno mi ha portato a vedere le cose con profondità, con implacabile veracità, proprio grazie alla sua capacità di astrazione e natura contemplativa. Perciò posso dire che il disegno mi ha insegnato a dipingere:
non solo ad organizzare lo spazio della composizione e concepire il volumi dei soggetti ma anche a dosare le tinte, valorizzare i vari gradi cromatici attraverso la padronanza del chiaroscuro.
Per quanto riguarda i miei progetti futuri, penso che questi dipendano da quanto di buono e di valido io riuscirò a realizzare e perciò mi verrebbe di rispondere con una massima di uno miei filosofi preferiti, Giorgio colli : “ …il futuro è già tutto nel passato, e il tempo riguarda solo l’ordine della manifestazione”.
Francesco Palmieri
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