Roberto Messori
pittore
Sono del ’49, e dipingo dalla fine degli anni ’70, nel mio studio di Formigine. D’altra parte ho sempre pensato per immagini, probabile retaggio di una passione del nonno materno, che in un difficile dopoguerra cercava di fissare sulla tela, coi pochi colori che si poteva permettere, scorci dei suoi ricordi, e di una madre pittrice per una vita.
Ciò che unisce trasversalmente ogni mio lavoro è la ricerca di una euritmia di masse, forme e soprattutto colori. Che sia una bimba perplessa davanti a un McDonalds circondato dai ruderi di un quartiere bombardato, una ragazza cyborg a fronte di un feticcio tribale, il suo alter ego, oppure una sorgente circondata da natura incontaminata, non posso prescindere dal piacere dell’armonia cromatica. Spazi e forme ove, pur muovendosi tra espressionismo che sfiora l’astrazione, iperrealismo quasi astratto o momenti caotici, l’aspetto cromatico, qualunque sia il soggetto, sempre comunque su base figurativa, deve possedere un’anima musicale.
La musicalità di una canzone sono i colori, il soggetto le parole, se mi si consente un paragone. Non avendo doti musicali, ma speculando per immagini, in una fase di necessità in quegli anni lontani, la soluzione fu automatica, ed iniziai le mie prime mostre.
Gli attuali temi delle mie opere rispecchiano i tre contesti che in questa fase storica mi turbano maggiormente: i mali del nostro tempo, guerre e conseguenti sofferenze, poi le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, i nuovi, potenti feticci che stanno trasformando noi sapiens in un amalgama sempre più lontana dall’élite che domina il mondo, élite caratterizzata dal più assoluto disprezzo per la vita umana, che si avvale di una terrificante propaganda e delle più malefiche conoscenze della psicologia di massa, oltre che di armi sempre più potenti e asetticamente dissociate dai sentimenti umani. Poi i meccanismi inconsci, che spesso rappresento con l’aiuto di feticci tribali. Tre contesti strettamente interagenti.
Infine mi rassereno, si fa per dire, dipingendo di tanto in tanto scorci di torrenti, o ricordi d’infanzia, ma sempre in contesti fluviali. Creare ruscelli lasciando che l’inconscio giochi alterando forme e colori mi procura sia sottili piaceri che un certo scoramento, giacché stiamo distruggendo la natura. D’altra parte la complementarietà fa parte di ogni struttura di questo universo, e probabilmente di tutti gli altri. E la complementarietà comprende la creazione, qualunque essa sia, e inevitabilmente la distruzione. Più eccelsa sarà la prima, più catastrofica la seconda. Per fortuna sono un ottimista.