Bibliografia
Mi chiamo Paolo Severini, sono nato a Pesaro nel 1969 e insegno lingua e letteratura inglese presso il LIceo Linguistico Nolfi-Apolloni di Fano in provincia di Pesaro-Urbino. Oltre alla musica, la letteratura e lo sport, ho sempre apprezzato ogni tipologia di arte figurativa che rappresentasse in modo il più dettagliato possibile la realtà circostante nel suo esprimersi in contesti di chiaroscuri e singolari effetti cromatici. Ho iniziato da piccolo a sperimentare la pittura con i colori a pastello e tempera concentrandomi soprattutto sul disegno dal vero siano essi oggetti comuni, paesaggio o semplici ritratti. A distanza di anni, e in seguito ad un breve periodo di pittura murale con i colori acrilici, ho iniziato ad apprezzare tutte le potenzialità dei colori ad olio soprattutto relativamente alla possibilità di creare gli effetti di sfumato e velature successive per dare spessore alle mie opere e aggiungere infine i punti di luce con apposizione del cosiddetto 'bianco materico'.
Da circa un anno mi sto concentrando su natura morte con soggetti che 'attirano ed emanano' luce come gemme di cristallo, biglie, bottiglie o vasetti in vetro.
Intendo dipingere come esperienza totalizzante, qualcosa che coinvolge l’anima in maniera globale. Il fruscio del pennello o del polpastrello che accarezza la tela, l’aroma inebriante dell’olio di lino mentre si stendono i colori, e la percezione visiva finale che appaga l’occhio coi chiaroscuri e gli effetti cromatici’
Quello a cui miro ora…
Grazie a questa ritrovata passione che riconcilia i sensi e mette in contatto con la parte piu’ profonda dell’anima, dopo il primo, necessario periodo di affinamento della tecnica e adattamento d’essa a diversi scopi pittorici, ho forse trovato il mio vero fine artistico. Soprattutto nelle tele del 2022 infatti, l’intera ricerca sulla luce di cui ho parlato in precedenza, si può dire, parte da piu’ lontano e mira, per quanto ardua sia la riuscita dell’impresa, a rappresentare, quello che sin da bambino per me erano ‘I tempi’. Che cosa sono? Secondo i dettami della mia natura e della mia personalità posso cercare di definire ‘I Tempi’ come determinati contesti quotidiani, squarci di vita reale, ed in essi oggetti inanimati, con particolari rese cromatiche e tagli di luce, che spesso e volentieri hanno pochissimo a che fare con quello che mostrano e sono, alquanto inspiegabilmente collegati, o per dirla alla Thomas Stearns Eliot, ‘correlati’ ad altrettanti luoghi emotivi, predisposizioni dell’anima o altro ancora, spesso paradossalmente neanche vissuti completamente, ma solo accennati, immaginati o addirittura sognati, ma che generano in me una sensazione di assoluto piacere o pura estasi. Ma a differenza del sopra citato ‘objective correlative’ Eliotiano, citato per la prima volta nel saggio ‘Hamlet’ del 1919, in cui si intendeva esplicitamente coinvolgere il lettore nella socializzazione emotiva dell’emozione provata dall’artista presentando (in questo caso in versi) questo o quell’oggetto senza citare l'emozione in sè, nel mio caso il ‘rimando’ non consente tale condivisione, in quanto la forza evocativa dell’oggetto rappresentato ha un valore del tutto personale. Si potrebbe dunque parlare di 'correlativo soggettivo'. Il fruitore d’arte in questo caso potrà semmai godere della visione dell’opera secondo i propri dettami estetici e associazioni di idee che quasi sicuramente si discosteranno dai miei Tempi. Ma per me questa forma di espressione è necessità vitale e voglio correre il rischio. Dico sempre, ‘un buon dipinto nasce sempre da una buona fotografia’. Ma la fotografia chiaramente da sola non basta. E’ essa soltanto il punto di partenza, per quanto fondamentale nella misura in cui riesce a garantire il giusto contesto cromatico, per far partire l’intero processo artistico; qualcosa che rimane ‘meravigliosamente asettico’ senza l’intervento dell’artista e della sua sensibilità. Sarà quindi soltanto l’esercizio della pittura nel suo continuo creare e modellare i colori sulla tela a fare in modo che l’immagine prodotta si svincoli dal mero scatto fotografico e si trasformi in un tempo e quindi in intensa emozione e piacere. Questo fondamentalmente perché, come si era detto in precedenza, essendo un tempo probabilmente mai stato vissuto appieno nella vita reale, esso non può assolutamente vivere di fredda e ‘realissima’ oggettività ma trovare spazio solo sulla tela. Se nel 1801 il poeta romantico William Wordsworth nella sua esplicazione della concezione poetica sulla Preface delle Lyrical Ballads, parlava di ‘emotion recollected in tranquillity’, io potrei parlare di ‘emotion reconscructed in tranquillity’ dove cioè si deve necessariamente mettere in atto un’azione di ricreazione dell’opera che al termine diventa ‘cosa nuova’....Un tempo, appunto. Ecco perché accanto alle mie opere si trovano spesso spiegazioni che non sempre hanno a che fare con quanto esse mostrano. Questo è vero soprattutto per 'The Swansea dancer' (2022), ‘La Luce di Enio di mattina dal distributore dalla camera di mia madre’ (2022) o per ‘Le case dei liquori’ (2022) o altre tele in mostra su questo mio spazio. Chiaramente trattandosi di qualcosa di ‘fatto della stessa sostanza dei sogni’, l’ emozione del tempo è per sua natura sfuggente e destinata a non durare che sulla tela e ben presto, purtroppo, scomparire forse anche da essa, ma il tentativo ha un suo valore soprattutto nella natura della sua creazione.
Per citare John Keats da 'Ode on a Grecian Urn (1819)
'Bold Lover, never, never canst thou kiss,
'Though winning near the goal yet, do not grieve;
She cannot fade, though thou hast not thy bliss,
For ever wilt thou love, and she be fair!
For ever warm and still to be enjoy'd,
For ever panting, and for ever young;'
Ovvero contro ogni cosa che fugge veloce ed è eternamente cangiante, cerchiamo almeno di afferrarne la sua minima essenza con l'arte perché per quanto l'audace amante non potrà mai baciare colei che gli sta accanto e la gioia gli sfuggirà, non dovrà lamentarsi poiché lui potrà amarla per sempre e per sempre lei sarà cosi bella e il loro amore, per quanto ancora da godere sarà sempre caldo. Tutto ciò comunque tenendo bene in mente che come diceva Stendhal, 'la bellezza altro non è che una promessa di felicità'
PROF. PAOLO SEVERINI