Gerusalemme II

Mista su tela, Tela, 2018

Disponibile


Città grandi, città piccole, paesi e metropoli. Un susseguirsi di fotogrammi di vita percorsi in una visione personale ,come visti da un treno che corre rapido in luoghi senza nome. A volte il bello è stato nella corsa in sé, lampi di luce soffiati dal vento a cui correre dietro con la testa per aria , a guardare la tavolozza del cielo per dipingerci sopra le nuvole sgargianti delle mie emozioni. I miei blu, astrali cobalti o i rossi sensuali e fiammeggianti che si intersecano in spazi liquidi. A volte, invece, mi sono fermata, sono scesa dal treno e ho fermato i fotogrammi. Come adesso che sono arrivata qui, nella metropoli . Qui, dove tutto ha un senso solo nel movimento, incessante , 24 ore su 24, città che non dormono mai , che producono sempre e sono sempre senza stelle  sopra la testa. Parigi come Milano, Mosca o Gerusalemme e tutte le altre così uguali nella monotonia orizzontale  del tempo  , nell’assenza  claustrofobica di spazio , nell’ indifferente promiscuità  fisica tra gli umani. E’ qui che mi sono fermata per guardare meglio e più da vicino se esiste poesia dove non c’è tempo. E in quel momento mi è apparsa davanti la soluzione per fermarmi a pensare, “ tò, uno spazio per me ..”, una panchina. Era caldo, ero stanca , era Gerusalemme  e quella panchina è apparsa come una fata morgana e si è materializzata come un oasi di conforto. Forse aspettava me, come tutti quelli che sono passati e l’hanno vista, e così mi sono seduta .  Un senso di gratitudine immenso mi ha pervaso per quell’umile arredo urbano di legno stinto. Così ho pensato che meritava di essere ricordata e l’ho fotografata. E’ stata la mia prima panchina , il mio primo fotogramma in slow motion, in totale controtempo alla centrifuga metropolitana che spinge alla sincronizzazione gli individui, pena l’espulsione. Era ciò che più temevo, sedermi e sentirmi una spettatrice senza ruolo . Ma così non è stato, ero dentro e anch’io giravo con il mondo, ma non spingevo per farmi largo ,mi lasciavo portare. Le panchine parlano di tempo libero, di conversazione, di gioco, di amore, di riposo , di casa, di umanità. Ma le mie no. Le mie parlano di un’attesa , colte vuote , geometrie romantiche e funzionali , senza nessuno .In quel passaggio che avviene tra un ospite e un altro.  
Quasi sospese e confuse nelle segmentate linee metropolitane che accelerano verso l’alto la spinta alla felicità, ecco che si elevano le scale. Un altro squarcio nella metropoli  che implica una circolazione, un rallentamento, una disciplina civile , nel salire e nel scendere. La vita è fatta a scale, ma la realtà è di gradini dove non si può sostare per più dell’attimo che la corrente umana concede. Le scale non sono fatte per fermarsi , come per il sangue,  il flusso deve circolare anche quando si arrampica o precipita fuori dai rettilinei. Non è solo la funzione ,quanto la ridefinizione architettonica dello spazio , che mi interessa esprimere. Sono le ombre che compongono, i chiaro scuri dei gradini, i materiali e i contesti che uniscono. Perché è vero che con le scale si arriva in alto , ma è anche vero che con le scale si fanno i ponti. IMAGINARY CITY

Informazioni generali

  • Categoria: Pittura

  • Eseguita il: febbraio 2018

#figurativo   #informale  

Informazioni tecniche

  • Misure: 80 cm x 120 cm x 3 cm
  • Tecnica: Mista su tela
  • Stile: Informale
  • Supporto: Tela

Informazioni sulla vendita

  • Collezione: Italia. Milano. Atelier M.K. in Blu
  • Disponibile: si

Informazioni Gigarte.com

  • Codice GA: GA143884
  • Archiviata il: 23/02/2019

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