Il Progetto Koinè approda a Roma
Dopo il successo a Napoli a Castel dell'Ovo e a Milano sui Navigli, approda a Roma il Progetto “Koinè”
“KOINÈ 2016” ALLA MUEF ART GALLERY
Dopo il successo a Napoli a Castel dell'Ovo e a Milano sui Navigli, approda a Roma il Progetto “Koinè”
Si inaugura sabato 19 marzo 2016 alle ore 18,30 alla Muef Art Gallery di Roma, via Poliziano, 78b la mostra collettiva di pittura e scultura “Koinè 2016: senza soluzione di continuità –Per un linguaggio comune dell’arte contemporanea”, a cura di Virgilio Patarini con la collaborazione di Roberta Sole e organizzata da Zamenhof Art di Milano.
In esposizione nella vivace galleria romana situata tra il Colosseo e il Teatro Brancaccio, in una traversa di via Merulana, una trentina di lavori di tecniche e stili differenti, tra figurazione e astrazione, al tempo stesso classici e contemporanei.
La mostra proseguirà fino al 30 marzo, tutti i giorni dalle 16 alle 19, chiusura pasquale il 26, 27 e 28 marzo. Ingresso libero.
La mostra intitolata “Koinè” costituisce un appuntamento fisso ormai da molti anni per Zamenhof Art. Fin dai tempi della Galleria Zamenhof di Milano(2008-2013) era l’occasione per fare il punto della situazione, sia sugli artisti selezionati per la stagione (o su una parte di essi), sia più in generale sullo “stato dell’arte”, presentando una carrellata di opere di autori e stili diversi, affinché dall’accostamento dell’una all’altra opera il fruitore potesse intravvedere coi propri occhi e con la propria capacità di discernimento punti di contatto e similitudini, nell’intento di delineare una sorta di minimi comun denominatori da ipotizzare come base per un “linguaggio comune dell’arte contemporanea”. E così anche quest’anno le opere saranno accostate le une alle altre e come per magia, appunto “senza soluzione di continuità”, si passerà dal figurativo all’informale, all’astratto geometrico.
Ma quest’anno “Koinè” è “senza soluzione di continuità” anche per un altro motivo: perché si è appena concluso -con grande successo di pubblico e di critica- il tour di mostre del Progetto “Koinè” del 2015: l'ultima a Napoli a Castel dell’Ovo è terminata un mese fa, la prima del nuovo ciclo si conclude 4 giorni prima della seconda tappa a Roma. (Terza tappa a Ferrara, alla Galleria del Rivellino all'inizio di giugno)
(vedi in proposito il reportage su: http://www.zamenhofart.it/mostra-koin%C3%A8-2015/ )
Per il Progetto 2016, naturalmente, le opere sono tutte nuove, inedite. E nuovi sono anche circa metà degli artisti proposti.
(vedi anteprima su: http://www.zamenhofart.it/mostra-koin%C3%A8-2016/)
In mostra quadri e sculture di Salvatore Alessi, Walter Bernardi, Alberto Besson, Sergio Boldrin, Simona Ciaramicoli, Josue D’Amato, Mario D’Amico, Raffaele De Francesco, Maria Grazia Ferraris, Luisa Ghezzi, Maria Franca Grisolia, Maristella Laricchia, Fiorella Manzini, Giulia Martino, Franco Maruotti, Domenico Paolo, Giuseppe Piacenza, Sergiu Popescu, Rosanna Pressato, Michele Recluta, Maria Luisa Ritorno, Gabriella Santuari, Elena Schellino, Anna Scopece, Ivo Stazio, Lucio Tarzariol, Lyudmila Vasilieva, Paolo Viola
Nota introduttiva
I
In anni di sempre più rutilante trasformazione, sotto tutti i profili, l’arte più che mai si deve interrogare su se stessa: sul proprio ruolo, sulla propria funzione, ma anche e soprattutto sul proprio linguaggio. (Ammesso che quello dell’arte sia un linguaggio).
Poiché è proprio attraverso le sue forme, la sua estetica, la sua sintassi, i suoi stili e stilemi, che l’arte può entrare, più o meno, in rapporto con la realtà circostante, con la storia, con la vita degli uomini che la fanno e che ne fruiscono. Un rapporto che può (e forse deve) essere ambivalente: un viaggio di andata e ritorno.
L’arte deve subire l’influenza della realtà e del suo divenire, ma deve anche, al tempo stesso, influenzarla e influenzarne, in qualche modo, le trasformazioni. O almeno deve provarci. Non solo lavorando sulle idee, e dunque sulla percezione, sull’interpretazione della realtà, ma anche sulla sua progettazione.
Ma perché questo possa accadere occorre che l’arte contemporanea diventi strumento più forte e più duttile al tempo stesso, da una parte recuperando e rinsaldando le proprie radici e dall’altra aprendosi alla molteplicità delle sue (quasi) infinite possibilità espressive ed altrettanto (quasi) infinite concezioni estetiche attuali. Solo così l’arte può entrare efficacemente in rapporto dialettico con una realtà così articolata, stratificata, sfaccettata e complessa come quella contemporanea.
Nel corso degli ultimi 150 anni il succedersi delle scoperte scientifiche e tecnologiche ha impresso alla storia dei mutamenti vertiginosamente rapidi e radicali. Allo stesso modo negli ultimi 150 anni il succedersi delle invenzioni e delle trasformazioni sul versante artistico, col succedersi inesorabile e travolgente delle Avanguardie, è stato altrettanto vertiginoso. Ed è ovvio che tra le due cose ci sia un rapporto più o meno diretto di causa-effetto, o per lo meno di osmosi o di contagio.
Ora il mondo in cui oggi viviamo è l’inquieto, stratificato, caotico e contraddittorio risultato di tutte queste trasformazioni. E l’arte che può entrare in rapporto con questo mondo non può che essere un’arte capace di raccogliere e sintetizzare l’inquieta, stratificata, caotica e contraddittoria eredità delle Avanguardie e degli ultimi 150 anni di arte contemporanea. E forse anche oltre, poiché in effetti negli ultimi 150 anni, tra un’Avanguardia e l’altra non sono mancati momenti di “Ritorno all’ordine” in cui si è guardato indietro con occhi nuovi alla tradizione pittorica più antica. E anche questi momenti fanno parte del retaggio della Contemporaneità e hanno contribuito a forgiarne le forme.
E questa è la linea che abbiamo seguito in questi ultimi anni nel selezionare opere ed artisti: opere ed artisti che fossero in grado non solo di recuperare e reinventare il retaggio delle grandi Avanguardie storiche, ma anche e soprattutto di sintetizzare e contaminare stili e linguaggi, trovando punti di contatto inediti e suggestivi.
II
Il tempo delle Avanguardie è finito. Si è aperto con l’Impressionismo e si è chiuso con la Transavanguardia. Per oltre un secolo ogni nuova generazione di artisti ha cercato di smarcarsi dalla generazione precedente proponendo una nuova, differente idea di arte contemporanea. Ora tutto questo sembra non funzionare più. Il meccanismo pare inceppato. A partire dal discorso generazionale.
Da molti anni l'articolato progetto espositivo ed editoriale che risponde al nome di “Zamenhof Art” cerca di mettere in luce proprio ciò, presentando, di volta in volta, in contesti diversi e con diversi abbinamenti e articolazioni, una nuova ‘generazione’ di artisti che anziché inseguire il nuovo a tutti i costi, rinnegando il lascito delle generazioni precedenti, cerca piuttosto di definire un linguaggio comune per l’arte contemporanea, una sorta di “koinè”, facendo tesoro delle ‘invenzioni’ delle Avanguardie, attraverso un paziente, complesso, raffinato processo di sintesi e contaminazioni.
E una prova lampante che un certo ‘meccanismo’ sia saltato balena agli occhi di tutti se si sofferma l’attenzione, senza pregiudizi, su di un fatto concreto, tangibile, facilmente riscontrabile: da molti anni ormai si è annullato un qualsiasi significativo ‘scarto generazionale’. Non a caso nel selezionare opere e artisti per questo progetto che in definitiva mira a definire al meglio che cosa si intenda per ‘Post-Avanguardia’ si è dovuto sempre necessariamente prescindere da vincoli generazionali.
Per la prima volta, da oltre un secolo a questa parte, artisti di tre generazioni differenti stanno uno accanto all’altro e parlano (più o meno) la stessa lingua. E ad ascoltarla con attenzione ci suona come una lingua nuova e antica allo stesso tempo: inaudita eppure riconoscibile. Originale ma decifrabile.
V.P.
sabato 19 marzo 2016
via Angelo Poliziano, 78b - Roma - Roma - Italy
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