SACHER E PROFANO
Saverio Simi de Burgis
L’occasione di presentare alcuni giovani espositori, mi consente di esprimere alcune riflessioni. Ci troviamo di fronte a un nutrito numero di lavori di studenti iscritti all’accademia di belle arti di Venezia. Pur nelle diversità degli orientamenti e delle scelte di ricerca, potremmo fissare un minimo comun denominatore che li unisce e se non fossimo a conoscenza di avere davanti a noi degli iscritti a una scuola di pittura dell’accademia di belle arti, saremmo tentati di pensare a un gruppo di artisti fornito già di un ben determinato progetto di indagine. Spesso mi sono chiesto che tipo di impostazione potrei dare al mio corso se avessi l’opportunità di insegnare una disciplina artistica, da laboratorio, come pittura. Glissando per il momento sul dibattito tuttora aperto alle più diverse prese di posizione sulla utilità o meno di insegnare l’arte, con tutta sincerità, mi è difficile immedesimarmi in tale ruolo ed entrare più concretamente in merito alla questione, soprattutto perché anch’io, come la maggior parte degli storici e dei critici d’arte, provengo da una formazione esclusivamente teorica degli studi universitari. Age quod agis: fai bene ciò che fai! È la massima, ultimamente spesso disattesa, alla quale ispirarsi per cercare di agire secondo la coscienza dei propri limiti. Dubbi e incertezza a parte, mi sento vicino all’impostazione del lavoro di cui ho avuto modo di constatare direttamente i risultati positivi in un simpatico e divertente incontro con i docenti Giancarlo Venuto e Costantino Baldini e i loro studenti nell’aula della sede distaccata di Sacca Fisola. Ho avvertito in quell’occasione una buona e sana dose di entusiasmo generale nonostante le non poche difficoltà causate dall’esiguo spazio a disposizione e dalla mancanza di mezzi adeguati per portare avanti il lavoro, carenze risolte, in parte, grazie alle iniziative e agli sforzi personali dei docenti sempre disponibili nel garantire ai loro studenti la piena funzionalità della struttura. Il punto di partenza comune che caratterizza l’orientamento di tale scuola di pittura è basato sullo studio diretto e approfondito delle avanguardie storiche del I° ‘900 per consentire agli allievi di maturare, poi, più convinte scelte personali e autonome. Condivido tale impostazione didattica di base perché consente di orientarsi più ponderatamente sulle strade da interpretare senza pregiudizi o impostazioni di sorta, nella maggior parte dei casi vincolanti da parte di quei maestri che non accettano nulla al di fuori del loro fare artistico, assecondando in tal senso un’inutile, assurda clonazione. Di questi tempi in cui nell’accademia si è perso ogni riferimento a una tradizione che per lo meno riusciva a preservare un notevole bagaglio di conoscenze tecniche a scapito di un pur vero inaridimento delle poetiche fondamentali per gli sviluppi estetici, mi sembra che un tale metodo di fare scuola costituisca una valida strada percorribile a livello didattico. È curioso, comunque, rilevare direttamente osservando le opere di questi nostri giovani artisti, come, nella maggior parte dei casi, essi, avvertano la necessità di tornare al passato, alla radice di tanti fenomeni contemporanei e pertanto, senza timore di ridurre le potenzialità della propria creatività, alla storia dell’arte, disciplina non sempre amata da chi spesso, frequentando la scuola, si considera presuntuosamente già artista compiuto. Se quindi precedentemente abbiamo individuato i comuni punti di partenza, possiamo ora riscontrare nei nostri espositori le più diverse e disparate diramazioni che li portano a sperimentare con umiltà e senza prevenzioni, soluzioni tecniche e formali del passato anche più lontano. Ciò non costituisce un limite e non rappresenta assolutamente un processo involutivo nella ricerca. Può essere interpretato, invece, come necessità per comprendere con maggiore consistenza e precisione il significato, a volte recondito e a volte frainteso, delle avanguardie o meglio anche le motivazioni che spingono alcuni artisti della contemporaneità a raggiungere le diverse e basilari tappe delle loro concezioni. E, a contrasto dei sostenitori del nuovo a oltranza ma in realtà vecchi nella demodé passione “futurista” dell’arte, chi tra gli autori contemporanei non ha avvisato l’opportunità di compensare le deficienze del presente con terapeutiche immersioni in un passato recente o remoto per riattingere linfa vitale così essenziale per alimentare la loro creatività? Se riflettiamo sull’immobile eternità il tempo non esiste e diventa una nostra creazione solo in rapporto ai movimenti della terra. Carl Gustav Jung insegna che un ritorno alle origini è sempre gratificante, può significare una ricquisizione di identità che sembra va irrimedialmente perduta e psicologicamente contribuisce a rendersi più sicuri nelle scelte che ci troviamo a condividere nel presente. Nei sovvertimenti spaziali e temporali ai quali siamo abituati or mai più da un secolo, il “caos” rappresenta ancora una dimensione stimolante per sostentare la creatività, ma allo stesso tempo avvertiamo la necessità di ricomporre tale seducente ebrezza per dirizzare le nostre energie espressive su canali già tracciati attraverso il “logos” che sta a significare l’intelligenza e la ragione o meglio la semplicità essenziale del pensiero che si fa arte. Giunti a questo punto trovo superfluo specificare per ciascuno dei partecipanti all’attuale rassegna le rispettive e personali scelte estetiche che tuttavia sono del tutto evidenti sia attraverso la lettura delle opere, che da quanto abbiamo cercato di dire finora, e a grandi linee si possono riassumere dalla comune partenza analitica delle avanguardie, a vere e proprie attrazioni fatali nei confronti di alcuni artisti presi in considerazione al di fuori delle usuali definite spartizioni cronologiche; un’ultima considerazione: nella maggior parte dei casi, se non in tutti, anche se con qualche sfumatura diversa, riscontriamo nelle loro scelte formali una particolare attenzione nei confronti del luogo in cui operano e di conseguenza risultano naturali le ricerche rivolte soprattutto alla luce e al colore quasi in sintonia per ricreare, con soluzioni nuove, lo spazio pittorico delle antiche icone.
Venezia, 14 febbraio 1994
SACHER & PROFANO
PER GLI STUDENTI DI UN ACCADEMIA
Scrivere per invitare, illustrare, indulgere, sugli aspetti di un gruppo di giovani studenti di pittura all’Accademia di Venezia: una allettante missione, ma già in una sola prima Frase, la necessità di sfatare alcuni Luoghi Comuni.
Il primo riguarda l’idea stessa del luogo:l’”aula di pittura” all’Accademia di Belle Arti. Insieme al luogo, emergono immagini che troppo spesso vengono associate al Passato, alla Maniera, alla “tana polverosa” di memoria piazzetesca o parigina (preimpressionista). Nulla di tutto questo nella realtà di questi allievi, che proprio in questa occasione dimostrano la volontà di “uscire” felicemente come “Gruppo” e che al tempo stesso articolano percorsi individuali, ove l’Aula è luogo di creazione, fervente ricerca ed anche stimolante dubbio. Sorprende scoprire il loro vero legante, che è tutt’altro che irreale: si “accompagnano alla Pittura”. Essa è il loro “Luogo”, ed è anche coraggiosa la loro indagine, in un momento ove pubblicamente si “narra” che la Pittura non è indice di contemporaneità, che i “Giovani” debbono dirigersi verso altre e più moderne “vie di comunicazione”.
Si, il secondo luogo comune da sfatare è il termine Giovane. Così tanto osannato, vituperato, bleso, sfruttato. Un termine che non ha senso d’esistere se deve relegare in una stretta Categoria delle persone che si dedicano con esiti diversi ad un’arte. Essere giovane è dedicarsi sempre alla propria idea, alla rappresentazione di questa idea, che sta, apparte, in ogni lavoro, volta dopo volta, e non ha una collocazione anagrafica, perché esiste sempre una gioventù artistica se nel “dipingere” si accetta sempre il rischio, il dubbio, la ricerca. Quel dubbio che lega lo sguardo alla Rappresentazione, alla passione, all’esercizio.
Sorprenderà ancora la molteplicità degli sguardi “attraverso la Pittura” di questi artisti e la loro coerente costanza nello studiare nuove possibilità, nel superare la rappresentazione ottenuta, per poterne raggiungere una Nuova. Ed ognuna è sempre “Vera”, perché l’opera è “guadagnata”, vitale, pronta ad esser completa ma nuovamente “in discussione”.
Un invito quindi, una prima impressione della molteplice poesia e forza che si sviluppa, apre, dai loro lavori. Nuovi esercizi (perdonando il romanticismo) di una Forte sensualità, che ha il valore di esprimersi in Pittura… ed ogni giorno, dovrebbe rammentarci in “Arte” quei versi di Sandro Penna ove per “giovinezza dell’Uomo” egli intende…questo perenne amare i Sensi e non pentirsene.
Questo invito in scrittura, al quale daranno “Parola” le loro Opere…in Mostra.
Venezia Febbraio 1994 Luca Massimo Barbero
SACHER & PROFANO
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