Parlando con la pittrice Egle Piaser
Tutti i perché del mestiere d’artista trovano adesso risposta. Egle Piaser si racconta tra intime riflessioni e raccomandazioni ai suoi studenti, per un viaggio nel mondo dell’arte pittorica da un punto d’osservazione privilegiato. Dipinge fiori di grandi dimensioni e li chiama con nomi femminili. È di casa in Italia, ma Londra si è innamorata a tal punto dei suoi lavori da esporli in modo permanente in una galleria a Chiswick (West London). La protagonista è nata a Conegliano (in provincia di Treviso) nel 1965, città in cui vive e lavora. Diplomata all’Accademia di belle arti di Venezia nel corso di “pittura”, insegna Arte e immagine alle medie. Espone dalla metà degli anni Novanta in mostre personali e rassegne collettive.
Quando ha capito che la pittura sarebbe diventata il suo canale espressivo preferito? C’è stato un evento scatenante? Una mostra, ad esempio?
Non c’è stato un momento particolare, ho sempre utilizzato il disegno e la pittura per rifugiarmi in una dimensione dove non esistono le regole della realtà fisica. Fin da piccola ho “praticato” con la pittura una sorta di isolamento, una presa di distanza da quello che mi circondava e inconsapevolmente mi succedeva. Questo mi ha permesso di sopravvivere, era semplice: bastavano un foglio, qualche mozzicone di colore e la “magia” si replicava. Nel mio peregrinare, di situazione in situazione, ovunque, potevo rinnovare l’incantesimo.
Dai lavori giocosi dell’infanzia si è evoluta via via un’espressione più profonda, intimistica.
Mi ispiro alla natura e cerco di farla entrare nella mia tela, cerco di rendere le emozioni che essa mi risveglia. Forme sinuose, note che si librano nello spazio per ritrovare, forse, il paradiso perduto. Probabilmente sopravvive nella mia memoria inconscia uno stato idilliaco da cercare con tutte le mie forze.
Un percorso di riflessione interiore diventa una sorta di diario personale dove si ritrovano la nostalgia e il ricordo. Il ricordo di un momento, di un’impressione, di un sentimento che da subito è destinato a decadere. Un codice visivo che racconta la mia storia in corso di svolgimento nell’eterno ritorno della memoria fra passato e presente.
Le visioni di mostre sono arrivate dopo. Con la sete di conoscenza tecnica ho cominciato a visitarle, con la sete di conoscenza esistenziale ho visitato i luoghi, ho vissuto e sentito le situazioni.
Perché la pittura e non altre forme d’arte visiva?
Ho bisogno di tempi lunghi di sedimentazione e di meditazione. La pittura per me è un percorso di vita che si evolve come evolvono le condizioni. Non c’è scelta, ma evoluzione naturale del mio essere. Mi interrogo sul senso e sulla reale essenza delle cose con un’urgenza nel creare di carattere espressionista, in una sorta di trance operativa che si estingue nel momento in cui il lavoro mi appare finito.
È solita dipingere tele molto grandi, fiori in primo piano, colori accesi. Come nasce dunque ogni suo quadro? Quale l’ispirazione, il tempo di realizzazione…
Il fiore è il soggetto che ho raffigurato di più nel corso della mia vita.
Il fiore cammina con me e nella/attraverso la mia vita come una possibilità di esprimere me stessa. In questo viaggio la riproduzione dei soggetti, apparentemente simili, non è un automatismo, ma un cammino dove posso ritrovare i segni del mio cambiamento interiore. Rappresento un continuo divenire.
Preparo il lavoro decidendo lo schema cromatico generale, penso a quali rapporti fra i colori e a cosa vorrò trovare nel lavoro finito; inizio quindi con la stesura del fondo.
Sono tele scenografiche: durante la creazione mi piace fondermi con il colore e perdermi poiché, data la dimensione, non mi è possibile gestire tutto lo spazio a disposizione. Ogni tanto mi devo allontanare per scoprire come sto procedendo e per valute l’unità d’insieme. Una sorta di scrittura automatica tanto apprezzata dai Surrealisti.
Le esposizioni diventano installazioni; la pittura si estende su tutta la superficie della tela e sembra non avere confini, come cercare uno luogo al di là della limitatezza del supporto.
Mi piace credere che l’osservatore si immerga percependo la vibrazione della creazione.
Il tempo di realizzazione come puoi intuire non è breve, sono combinazioni di elementi che si raggruppano più o meno ordinatamente per creare una composizione che manifesta una costante ricerca di equilibrio e allo stesso tempo una volontà ribelle di scardinamento e messa in discussione delle regole e dei canoni: compositivi, espressivi, cromatici.
I dipinti acquistano l’aspetto di un gesto espressivo che cerca un punto focale che mi guida verso il centro del dipinto, con un’urgenza gestuale che si manifesta poi con un andamento pervasivo verso i margini della tela e oltre, per placare l’energia creativa, come in un impeto emotivo e obbedendo alla necessità di portare a compimento un discorso. Dal punto di vista puramente tecnico i colori si mescolano e si confondono, creando sfumature e contaminazioni. Costruisco e definisco la realtà con la forma e contemporaneamente la disperdo nell’azione pittorica, con gocciolamenti e colature, aggiunte e sottrazioni di materia pastosa e fluida. Tutto è legato dalla fusione degli elementi che si esplicita soprattutto in quello schermo e filtro dato dal dripping sottile che vela e nasconde, come a non voler vedere il reale o forse a manifestare la soggettività del vissuto.
C’è un motivo per cui le sue opere le chiama con nomi femminili?
Circa tre anni fa iniziai a lavorare ad un progetto che prevedeva la realizzazione di enormi bouquet da sposa. Mi interessava la simbologia di questi mazzolini di fiori che ogni sposa porta all’altare, simboli di promesse d’amore eterne.
Col passare del tempo le composizioni si sono modificate, ora sono diventate altro.
Terminato il dipinto, procedo leggendo la storia della Santa o la Beata venerata in quel giorno, per lo più storie truci di donne che per la salvezza delle proprie idee sono state penalizzate. Procedo quindi al gioioso omaggio intitolando il mio lavoro con il nome della Santa o Beata del giorno stesso.
Com’è la situazione della pittura in Italia? Ha mai pensato, oppure lo ha già fatto, di trasferirsi all’estero? Se sì, dove?
Apprezzo la pittura che ha lo scopo di emozionare e considero la pittura puramente intellettuale chiusa nelle proprie intenzioni.
In questo periodo per me è importante il silenzio, l’isolamento senza distrazioni dal lavoro che sto eseguendo. Non riesco ad esprimermi in luoghi a me non famigliari. Ritengo utile fermare il ritmo abituale con un viaggio: una sosta può servire per riprendere con maggior energia e forza il lavoro interrotto.
Inoltre, sono molto affezionata al mio territorio e amo rappresentarlo nei miei lavori.
Chi è, se c’è, il suo punto di riferimento nell’arte?
Sono debitrice a molti pittori; nel corso degli studi ho tratto ispirazione dai grandi maestri, ne imparavo il pensiero e la tecnica.
Nell’arte moderna, senza dubbio, devo di più a Vincent Van Gogh e a Vasilij Kandinskij. Nell’arte contemporanea sono estremamente affascinata dai lavori di Anselm Kiefer.
Qual è la raccomandazione che dà sempre ai suoi studenti che manifestano una particolare sensibilità artistica?
Li faccio disegnare con precisione e raccomando di lavorare con regolarità, come ogni studente dovrebbe sempre fare agli inizi. Le arti in generale hanno uno sviluppo che non deriva solo dall’individuo, ma anche da tutta una conoscenza acquisita dalle civiltà che ci precedono.
Non si può fare una cosa qualsiasi a caso, ogni scelta dev’essere consapevole.
Nella mia visione dell’arte anche il più brillante talento naturale deve essere incanalato attraverso la conoscenza delle molteplici tecniche e della storia dell’arte.
Quali sono le sue aspirazioni per il futuro?
Dipingere.
Vesna Maria Brocca
Parlando con la pittrice Egle Piaser
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