Cronistoria
La mia vita artistica
2012
2012: Il semplice e il nulla sono tutto
L’ultima produzione di Demattè prosegue ed evolve il percorso intrapreso negli anni precedenti.
Sul bianco freddo della tela, la Terra vergine appena generata dall’esplosione cosmica, gli atomi di materia vanno assemblandosi in costruzioni sempre più complesse.
La tridimensionalità appena abbozzata in passato ora diventa protagonista; la materia si protende nello spazio vuoto per farsi avvolgere pienamente.
Il colore viene assorbito dal bianco dominante, rimane solo come flebile reminiscenza di un passato arcaico del gesto pittorico demattiano.
I toni, non più vividi e smaltati, si sono impalliditi nelle tinte fredde e incupiti in quelle più calde. Sembrano indicare la lontananza da quella che Demattè percepisce come un’evoluzione, appartengono a un mondo bidimensionale, ai primordi della sua produzione artistica e della creazione universale.
Le sculture diventano più aperte, riempiono lo spazio con maggior disinvoltura, i perimetri della materia si fanno più ampi consentendo un maggior afflusso di particelle.
Come una via lattea, gli atomi sono liberi di attraversare il “gate” e di unirsi in agglomerati sempre più strutturati, da qui l’imporsi della tridimensionalità.
La rappresentazione di un mondo che si sta costruendo poco a poco va di pari passo con la percezione di un Io artistico in evoluzione.
Demattè ha piena padronanza del percorso intrapreso, la sua sfida è far comprendere il segno e il significato che esso rappresenta. Nella linearità e geometria dei tratti sta una concezione limpida dell’arte che rispecchia il suo credo artistico: “il semplice e il nulla sono tutto”.
2011
2011: l’imprescindibile legame tra forme d’arte
Demattè matura un nuovo concetto di arte e approda alla scultura che per lui assume una valenza unica e irripetibile.
Lo steccato della produzione precedente, il limite alla comprensione di ciò che l’artista osserva, scompare per dare spazio a un “gate”, un passaggio attraverso il quale raggiungere la padronanza del sapere. Al di là del “gate” vive la dimensione delle costruzioni pittoriche che ora Demattè comprende e domina con lucidità.
Lo spazio assume un’importanza preponderante. L’artista osserva attraverso la sinuosità delle forme, attraverso il vuoto interno al perimetro delineato dalla materia.
Il woodn diventa il materiale d’eccellenza per le sculture di Demattè: rappresenta la ricerca, il progresso, il matrimonio tra l’elemento naturale e il prodotto dell’uomo in accordo con il rispetto dell’ambiente.
I quadri abbandonano le varietà cromatiche accese per privilegiare sempre più il bianco; la tridimensionalità riacquista importanza su nuove basi di consapevolezza.
Nella sua indagine Demattè regredisce all’origine dell’Universo che egli identifica con il bianco assoluto; su di esso le particelle prendono forma e si aggregano in strutture sempre più complesse, fino a raggiungere la terza dimensione ottenuta per mezzo dei materiali che egli avverte più in sintonia con la natura: la carta e il legno.
È la fase dell’imprescindibile legame tra forme d’arte, scultura e pittura sono funzionali l’una all’altra; la creazione artistica nasce e prende corpo dal movimento, attraverso l’azione del fluire da uno spazio a un altro.
2010
2010: la transizione dalla prima produzione a quella più matura
Il 2010 si rivela essere per Demattè un anno di svolta. Il lungo periodo di inattività dedicato alla riflessione profonda del significato della propria arte conduce l’artista a nuovi approdi.
Demattè avvia un percorso di transizione tra la prima produzione artistica e quella più matura degli anni a venire.
Il colore è ancora predominante e gli studi sui processi ossidativi della materia trovano ancora spazio, ma si sta facendo strada prepotentemente l’inconfondibile geometria che contraddistingue la sua arte.
È l’inizio di una riflessione sulla nascita del mondo e sull’aggregarsi delle particelle che compongono gli elementi. La materia, tanto cara a Demattè, non viene più indagata soltanto nelle sue caratteristiche morfologiche, ma anche in quelle strutturali.
L’artista pone ancora una distanza fra sé e la piena conoscenza del proprio oggetto di studio; osserva ciò che sta oltre uno steccato che egli identifica come il limite attuale della propria comprensione. Scruta ciò che sta al di là, bramoso di raggiungere la padronanza del sapere. Oltre il limite della sua conoscenza osserva l’essenza della materia, l’aggregarsi degli atomi che la compongono, il suo strutturarsi in forme geometriche angolari.
La perfezione della creazione non è rappresentabile, solo la natura è capace di tanto, l’artificiosità umana non può competere con la forza del creato. Demattè non utilizza forme perfette o circolari, solo livelli, tabelle, trapezzi imperfetti.
Costante è il legame con la superficie terrestre sorgente di vita. Linee verticali collegano ogni costruzione geometrica con la fonte da cui sono state generate.
I richiami agli skyline su cui lo sguardo dell’artista si è dilungato nei viaggi d’oltreoceano si ravvisano nelle sue creazioni, identificandosi con le aggregazioni molecolari.
La tridimensionalità viene momentaneamente abbandonata: la materia non ha ancora preso forma, siamo ai primordi, è necessario un nuovo percorso di studio che su nuove basi, più profonde e complesse, riporti Demattè all’utilizzo della terza dimensione.
2008
2008: Dall’ossidazione dei metalli alle ferite ambientali
Il 2008 viene proclamato dall’ONU l’anno internazionale del pianeta Terra; l’attenzione del mondo si focalizza sull’uso sostenibile delle risorse del pianeta.
In questo clima di profonda riflessione sugli effetti che l’intervento dell’uomo ha sull’ambiente, Demattè intraprende un percorso artistico che sposa perfettamente il momento storico che sta vivendo.
Il filo conduttore resta la materia, l’artista ne inizia a indagare gli stadi di mutamento e degenerazione. L’ossido è il risultato di un processo naturale che comporta una corrosione, una ferita del metallo, così come l’uomo con il proprio intervento sulla natura impone delle trasformazioni e infligge delle ferite.
Lo studio dei processi degenerativi va di pari passo con la percezione di un mondo offeso dall’uomo.
Demattè lacera il metallo, rappresentazione dell’elemento terrestre, ne fa sgorgare l’oro, simbolo di potere, e il petrolio che da miscela naturale qual è, una volta maneggiato dall’uomo si riversa sull’ambiente violandolo con la sua nera densità.
Siamo nel pieno del percorso ispirato alle “ferite ambientali”; non si tratta di una denuncia, ma di una percezione del mondo che prende forma in creazioni che sempre si rifanno alle geometrie lineari e tabellari. Costantemente presente, la tridimensionalità dà forza e pathos alle manifestazioni di dolore che Demattè attribuisce alla natura.
La mano dell’uomo ha sempre, implicitamente, un ruolo attivo. L’artista non denigra il progresso e lo sviluppo tecnologico, l’intervento umano sulla natura è ben accetto se in accordo con l’ambiente.
Le linee e i tratti non sono mai aggressivi, violenti; non denunciano una violazione straziante della natura, piuttosto testimoniano in maniera asettica il posarsi dello sguardo dell’artista sul mondo che lo circonda.
È ora di prendere coscienza di quanto ci sta attorno; non soltanto la scienza, ma anche l’arte si fa veicolo d’informazione e sensibilizzazione. Tutti siamo messi in condizione di utilizzare con maggior efficacia il sapere per la costruzione di società migliori, che sappiano adeguatamente gestire le risorse della Terra attraverso un utilizzo sostenibile di esse e un sempre maggior rispetto per l’ambiente in cui viviamo.
2004
2004-2007: Ispirazione e prima fase
Tre anni di creazioni segnano la prima fase produttiva di Mirko Demattè, l’artista trentino emergente che si esprime attraverso forme d’arte informale e spazialista.
I viaggi negli Stati Uniti alla ricerca dei propri legami famigliari permettono a Demattè l’approfondimento all’arte di Jackson Pollock. L’action painting diviene sempre più il riferimento a cui l’artista si rifà nel processo di costruzione del tratto pittorico che si esprime in forma dinamica e satura di colore.
Al rientro in Italia, l’atmosfera che respira tra le mura della villa cinquecentesca di famiglia lo porta a interiorizzare maggiormente l’esperienza statunitense. Lo studio della materia proprio di Demattè viene ricondotto alla concezione pollockiana. La forza dei tratti pittorici acquisisce tridimensionalità, la tela consente l’affacciarsi dei materiali sul mondo.
Queste prime espressioni si mescolano alle sperimentazioni sui metalli in continue indagini della materia, quasi a volerne sviscerare la più autentica essenza per fare propria la padronanza di ogni sua particella.
L’uomo appare nelle opere di Demattè come compresso e prigioniero del mondo che lo circonda, preme per liberarsi e imprime i propri caratteri su di esso.
Prigionia, brama di plasmare e di lasciare un segno indelebile emergono prepotentemente nell’arte di Demattè; la sua forte espressività si riversa nel temperamento dei tratti pittorici e nella plasticità delle forme tridimensionali.
Le installazioni dell’artista danno forma alla rappresentazione del nascere e del rigenerarsi degli elementi della natura; il riversamento della materia dà sempre origine a nuova materia.
Il colore è predominante in questa prima fase artistica. La natura fornisce ogni sfumatura cromatica, l’uomo ricrea artificiosamente i colori per tinteggiare ciò che lo circonda.
Questi primi quattro anni di sperimentazione sono quelli che getteranno le basi della produzione più matura di Demattè che dai concetti di colore, tridimensionalità e manipolazione della materia evolverà in forme sempre più consapevoli del propria espressione artistica.
- 1