Giuseppe della Ventura
Pittore e Scrittore
Autodidatta, è nato a Maddaloni (CE) nel 1960, vive e lavora a Caserta, ha iniziato la sua attività artistica (professionalmente) nei primi anni '80.
La sua produzione si è sempre sviluppata sul registro della memoria sia attraverso l'uso dei materiali che del linguaggio interno all'opera.
I suoi lavori. caratterizzati da una personalissima tecnica, presentano resti di materia e di immagini di elementi di un paesaggio scomposto e ricomposto attraverso un intima armonia.
Quotazione
ELDA CICALA, dal quotidiano "ROMA":
"In Giuseppe Della ventura, traspare la voglia di trasmettere i messaggi dell'inconscio con un linguaggio artistico innovativo e sperimentale."
MONS. RAFFAELE NOGARO, Vescovo di Caserta:
"Nelle opere di Giuseppe Della Ventura, l'inspirazione è così innocente, i colori sono così tersi, la luce è così limpida da far sognare l'ncanto e la rivelazione prigenie."
CANDIDA BERNI CANANI, giornalista de "IL MATTINO":
"...l'uomo deve tornare ad appropriarsi del proprio tempo e soprattutto della propria fantasia per poter proiettare la sua esistenza verso una dimensione più consona al suo ruolo intrinseco ..... la sua originalissima maniera di interpretare il colore e la materia che diventano strumenti per comunicare il proprio messaggio ..... il desiderio forte e pressante di proiettare l'uomo in una dimensione fatta di serenità ed equilibri, dove poi l'immaginario prende il sopravvento e si sviluppa in un composto cromatismo frutto di un'attenta ricerca ed altrettanto accorta riflessione."
GIORGIO AGNISOLA, critico d'arte-scrittore-giornalista de "AVVENIRE":
" Segnali della memoria "
A segnare intorno alla metà degli anni Ottanta la pittura di Giuseppe Della Ventura è l’attenzione alla forma semplificata, figurativa o naturalistica, caratterizzata da una essenzialità visiva in bilico tra apparente ingenuità stilistica e tensione simbolica. La pittura ha una forte valenza grafica, pure all’interno di un quadro sostanzialmente pittorico. E’ il segno a connotare l’immagine, un segno che sembra possedere un taglio di provvisorietà, quasi uno schizzo, una veloce annotazione. Che, pure, si addensa e si caratterizza nella definizione di sguardi e figure che hanno già quel carattere introspettivo che poi in seguito si infittirà, proiettando l’immagine in un clima intimistico, lievemente surreale, in bilico tra favola e ironia.
In realtà fin dagli esordi l’arte di della Ventura sottende una spinta concettuale, un’ idea di espressione e di sintesi visiva intesa a cogliere la realtà lungo due essenziali direttrici, il registro decorativo e la natura psicologica. Entrambi questi spazi della ricerca si leggono nella campiture di cromatismi morbidi e variegati, di profili tracciati con una linea disegnata più che dipinta, quasi si trattasse di un graffito, nella capacità rara di coniugare attenzione al particolare descrittivo ed affondo psicologico, rilevazione di quei tratti di un volto, di quei segni di espressione che rimandano ad una sensibilità più interna, a stati interiori dell’essere e del sentire.
Indubbiamente, con una simile premessa il rischio di una pittura di superficie per un verso, troppo narrativa per l’altro è sempre in agguato. Ma della Ventura sa tenersi quasi ovunque in un prezioso equilibrio di forme e segnali, di materie e cromatismi, acquisendo nel tempo una invidiabile scaltrezza dei mezzi espressivi e operativi. Anche sul piano tecnico la sua arte è diversificata. L’artista ricorre a personali tecnologie nell’uso dei materiali e nel trattamento delle superfici cromatizzate.
Eppure, al di là della semplificazione formale, la fisionomia dei volti, l’assetto delle nature morte possiedono una intensa intimistica forza, in cui si leggono quasi sempre una tensione drammatica, l’ombra di un sogno allucinato. I volti di angeli e fanciulli acquistano una singolare solennità, una pensosità che nulla hanno della levità paradisiaca e che piuttosto paiono denunciare la preoccupazione di una vita segnata dall’angoscia e dal dubbio. Una condizione di inquietudine in qualche modo assorbita visivamente dal timbro acceso dei cromatismi, dal calore che emana dai contesti emotivi entro cui la figura è inserita, spesso incorniciata in una forma, un cerchio o un ovale.
La semplificazione dell’immagine costituisce dunque una precisa scelta nell’arte di della Ventura. Una semplificazione, come si è scritto, avveduta e scaltra. I suoi lavori paiono talora ecletticamente segnati da una maniera espressiva, ma non cadono mai nella retorica. L’artista mira sempre a recuperare il filo di un discorso personale, emotivo, psicologico, insegue autonomamente, ed è questo il pregio maggiore della sua arte, un bisogno intimo, emotivo e stilistico. Ciò appare evidente nei lavori dei primi anni Novanta, in cui della Ventura manifesta un più diretto intento sociologico, con un taglio visivo in apparenza ludico e affabulante, in realtà fortemente ironico e demistificatorio.
Nell’arte di questo periodo, si potrebbero individuare i riferimenti conosciuti della produzione artistica del dopoguerra italiano, soprattutto i neoespressionismi derivati dalla ricerca pop e concettuale, che l’artista tende a rigenerare all’interno di una tensione calibrata dei propri mezzi espressivi e della personale sensibilità interpretativa.
Ma è soprattutto nelle opere recenti che l’artista perviene ad una sua significativa cifra stilistica, in cui la scelta fantastica e sensitiva dell’immagine- quasi una metafora magica e onirica, ma fittamente intessuta di rilievi emozionali- si lega ad un mondo classico di cui l’artista evoca suggestioni e forme, non in chiave umanistica, ma simbolica e lirica, con un linguaggio ispirato alla essenzialità grafica di un disegno.
Mantenendosi come in superficie l’artista infatti, privilegiando la fisionomia e la trama delicatissima dei segni e dei decori, dando corpo ad una calligrafia preziosa fatta di rimandi emotivi e sentimentali, evoca soavi e preziosi paesaggi della memoria, incantati e immaginari spazi del senso. Se in passato l’artista legava alla pittura a volte calcinata una carica di emotività e addensava negli sguardi la tensione di un pensoso stato psicologico, oggi la sua misura espressiva si coglie in una levità di forme che dipanano un universo sotteso da una musicalità soave e interiore, quasi un’onda, leggera, persistente.
Il segno di frantuma per così dire nell’impronta di un calco invisibile da cui derivano schegge di realtà, brani di una narrazione aperta, di cui ancora si intravede la storia, ma che si intuisce più che leggere, che si apprezza in filigrana con una tensione fortemente liricizzata.
La preziosità delle forme è data non solo dalla materia protesa alla semplificazione astratta, senza mai valicare il confine della riconoscibilità in termini realistici, ma altresì dalla singolarità della composizione. Motivi floreali o paesaggi classici, vedute intimistiche o giardini capitolini danno il senso di un introflessa tensione, di atmosfere calde e solari, riverberate nella sensibilità e nell’emozione. L’artista recupera nell’opera come un inventario di simboli e percorsi visivi, iscrizioni accompagnate dal loro doppio speculare, ritmi di chiari e di scuri, rilievi di una forma campiti in alternanza con i vuoti: segni apparentemente impulsivi, estemporanei, ma che in realtà nell’economia dell’opera risultano calibrati e vigilati.
Anche il procedimento tecnico è importante, a metà strada tra lo "strappo d'affresco" e la "stampa monotipo". I lavori vengono eseguiti su di una matrice e poi riportati su tela. Non vi è quindi utilizzo di stucco, sebbene il deposito sulla tela abbia spessore e consistenza e paia suggerire l’esistenza di un fondo preparato. Tutto è acrilico su tela, con applicazioni in foglia d’ oro.
L’utilizzo dell’oro ha un suo significato: vuole sottolineare non già il senso di preziosità della forma , quanto quello del suo rimando emotivo, psicologico. Una preziosità che si riverbera nella lettura dell’immagine, che appare calda e partecipe per un verso, distante e come preservata per l’altro in una densa aura memoriale.
GIUSEPPE DE VECCHI, critico d'arte-scittore:
"L'artista si lascia condurre dalla fantasia e dalla sua ispirazione poetica,(scrive anche delicati versi) e immagina scenografie di grande respiro e di lucente serenità in cui fantasiose figure operano in misteriosi paesaggi ottenuti da misture cromatiche inconsuete. Esiste una ricerca continua ed insistente di nuovi materiali con cui esprimere la propria visione poetica con colori dallde misteriose e improvvise misture: tonalità tenui, pastose, luminose. I lavori non sono mai improvvisati, sono al contrario frutto di seria riflessione e di ripetuti tentativi di miglioramento e di superamento."
MICHELE SANTORO, sociologo:
"... la sua pittura trasmette visivamente i sentimenti del cuore, della mente e dell'animo."
ANTONIO MALMO, critico d'arte:
"... tra simbolismi e codici puramente allusivi di una realtà circostante quanto mai triste ed umiliata dalla negazione dei valori ..... con una ricerca sempre più personale, profondo conoscitore di tutte le tecniche, estrinseca quanto egli avverte nel suo "IO"."
G.IBELLO:
"La nostra ragione non può trovare il vero se non dubitando, ch'ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che solo il dubbio giova a scoprire il vero"
(da Lo Zibaldone- Giacomo Leopardi)
Per reggere e decifrare lo sguardo di Giuseppe Della Ventura, bisogna seguirela traiettoria dello sguardo di un artista che apre ad uno spazio dentro il quale si avverte l’incolmabile scissione tra anima e corpo, sentire e capire. Perché questa è la condizione nostra, questo noi siamo, dentro questo iato, in questa terra di mezzo, tra questi due confini.
Nelle opere di Della Ventura si assiste infatti, attoniti, al denudamento dell’ essere umano e al suo mascheramento. Il contrasto fra la natura, simboleggiata dalla luna, e l'angosciata solitudine umana, rappresentata dalla maschera, rivela quanto sia tutto incerto per l'uomo: nella sua impossibilità di percepire la vera essenza del mondo, e, perciò, di partecipare all'armonia universale; ma la maschera, quel contenitore vuoto che nel teatro viene “riempito” dall’anima del personaggio, è “l'angelo”, il sentimento, l'emozione, l'astrazione della vita quotidiana; e allora ciò che l'uomo tende a dividere ritrova, come tutto in natura, la sua unità.
Giuseppe Della Ventura è un lirico essenzialmente liturgico eteologico: la sua pittura conosce la discesa agli inferi pagana e cristiana, si modella sul breviario etrusco, s’imbeve della contemplazione delle icone bizantine e delle tavole senesi, inebriandosi, infine,di splendidirituali tra fede cristiana e adorazione pagana della natura. Ed dinanzi a questi due mondi, quello cristiano e quello antico greco-romano, che l’artista resta soggiogato, innumerose epifanie. Sono soprattutto gli angeli della tradizione semitica – ebraica, cristiana, islamica – asegnare il suo sentimento, traducendosi nella serie Pagine della Bibbia, dove egli discopre il luogoeletto della manifestazione degli angeli rilkiani. Agli angeli il poetaRainerMaria Rilke, nella Seconda elegia, si rivolgecosì, descrivendoli: «Primi perfetti, favoriti voi del creato, / gioghi di colli, crinali all’aurorapurpurei / dell’universo novello – polline della fiorente / divinità, voi membra della luce, scale,anditi, troni, / spazi d’essere, scudi voi di delizia, tumulti / di tempestoso tripudio e d’improvviso /specchi voi, solitari, cui la scaturita bellezza / rifluendo perenne ripullula nel proprio viso».
Le figure/maschere di Giuseppe Della Ventura ricordano così gli angeli rilkiani, simili a quelli della mistica islamica e bizantina:essi vivono al confine tra ilmondo sensibile e quello sovrasensibile.
I volti di questi angeli-donne-madonne, icone delicate dal segno intenso e pregnante, forse segnano il percorso della ricerca di Giuseppe della Ventura. Tra tutti questi volti egli è alla ricerca del volto di tutti i volti, dell’icona di tutte le icone, in cui vi è ridisegnato e ricomposto il cosmointero, compreso il senso della morte e del dolore. Davanti alla vera icona del Salvatore, del volto di Cristo, “la suprema Maschera”, la liturgia ortodossaproclama: «Nemmeno gli eserciti degli angeli possono vederla senza timore, raggiante com’è diluce divina […]. I cherubini si velano tremanti la faccia, i serafini non tollerano la vista della tuagloria […]. Colui che siede invisibile al di sopra dei cherubini, si mostra in effigie a coloro ai qualisi è fatto simile, ineffabilmente formato dal dito immacolato del Padre a sua somiglianza»; i testidel culto orientale si chiedono infatti con quali occhi e con quali mani l’uomo figlio della terra, immerso nelle contaminazioni e nelle colpe, possa avvicinarsi alla visibile immagine dell’invisibileDio.
Attraverso le sue Pagine della Bibbia e le sue Lune, Giuseppe Della Ventura misura dunque il passaggio dell’uomo nel mondo invisibile,e lo fa mediante il taglio, finissimo, di un linguaggio quasi “liturgico” che viene, infine, offerto allo spettatore come se fosse una preghiera.
A quest’ultimo non resta altro che immergersi, al di là della decifrazione e decodificazione dei segni e delle forme, nello splendore di questo rituale d’arte e di pensiero, in cui l’autore rileva, innanzitutto, l’aspetto nel mistero dell’invisibile che si fa visibile, nel rituale del sommo sacramento.
GIORGIO AGNISOLA, critico d'arte-scrittore-giornalista de "AVVENIRE":
I frammenti dell’anima
E’ un gioco ironico a legare nei lavori di Giuseppe della Ventura il segno all’immagine dipinta. Il segno è in genere graffiato o dipinto, delinea un possibile percorso linguistico con quel senso di provvisorietà e di leggerezza che contraddistingue una annotazione, una sfumatura; e tuttavia solca in profondità la superficie, possiede un che di arcaico, assume la sembianza di un graffito.
L’immagine dipinta invece è contesto e frammento emozionale, talora prospettiva scenica, persino teatrale. Entrambi, segno e immagine, non colmano tuttavia un preciso ambiente, non definiscono uno spazio delimitato e inequivocabilmente connotato. Ampio margine di interpretazione si lascia al lettore, quasi un invito a partecipare, interiormente, come in un viaggio spirituale, attraverso segni e indizi di un territorio d’anima.
La suggestione del frammento è interessante, anche sotto il profilo semantico. Se tutto nell’arte di della Ventura pare alla fine il residuo di un sedimento memoriale o per converso un gioco o un accumulo di segni, tracce, oggetti, parole, quasi l’opera appartenessero ad un diario smarrito, per altro verso l’arte dell’artista campano si legge come a brani, nel cammino simbolico più che metaforico di una riflessione interna di echi e rimandi ad un mondo sommerso, personale, fantastico, persino surreale. Le stesse citazioni, frasi o aforismi che sovente l’artista innesta nei dipinti, paiono piuttosto reperti, residui di un linguaggio raccolto da chissà quale pagina letteraria. In realtà si tratta di personali “viaggi” metaforici, spunti e illuminazioni della vita e del sentimento.
Per converso, a fronte della poetica levità del linguaggio, della sua dimensione sempre lievemente onirica e surreale, l’aspetto tecnologico dell’opera è elaborato. L’artista mette in campo una serie di procedimenti tecnici in parte del tutto personali, che attengono sia alla preparazione del supporto sia alla stessa campitura cromatica, sia alla stessa scelta dimensionale delle opere e alla loro strutturazione in oggetti singoli o accoppiati.
Sul piano emozionale l’opera suggerisce un romanticismo malinconico, una nostalgia dell’anima. Spesso parola e immagine si intrecciano, costituiscono la trama di un discorso. Anche il supporto normalmente utilizzato dall’artista è estremamente interessante. E’ un compresso ligneo che consente all’artista di essere lavorato con facilità, dando spazio e rilievo all’immagine, ma è altresì supporto consistente sul piano materico, e resistente, che dà corpo all’immagine.
Anche l’aspetto oggettuale dell’opera è interessante. L’artista compone spesso sulla tavola veri e propri assemblaggi, recuperando forme e oggetti d’uso solito e insolito con un gusto new dada. Con essi definisce un contesto culturale, ribadendo la sua inclinazione al sedimento di significati, all’accumulo memoriale.
C’è poi la dimensione ironica. E autoironica. E’ una traccia lieve, ma intensa, che recupera l’aspetto più ludico, e per certi aspetti più drammatico, dell’arte di della Ventura. E altresì più poetico, in cui può cogliersi una umanissima registrazione, da parte dell’artista, di sé e del mondo.
Particolare suggestione rivestono infine le tavole che interpretano brani biblici. Lì il colore, il segno, la forma si piegano ad una più duttile sensibilità, ad un sentimento che ispira l’anima.
C’è una vaga aria di classicità in alcuni lavori recenti di Giuseppe della
Ventura, una classicità evocata mediante simboli e indizi formali, più per
riflesso metaforico che per una diretta e allusiva indicazione. Oltretutto
stemperata da una sottile ironia, da un assetto divertito e divertente della
composizione. Perché di composizione si tratta: di segni, profili, sagome,
fondi e rilievi cromatici, che delineano un universo singolarmente
sospeso, come bloccato in un immemore tempo.
Un universo composito, con multiple allusioni segnaletiche e simboliche,
esibite senza una sottesa ragione pratica o ideale, recuperate con assoluta
libertà, seguendo il filo di una intuitività spontanea e leggera, affidandosi
all’insieme estetico più che contenutistico. Le “installazioni in piano” di
della Ventura prendono proprio per il loro molteplice senso, per la libertà
espressiva che le contraddistingue univocamente, per il disimpegno
dell’artista a significare, a interpretare, a caratterizzare, rifacendosi solo in
parte alle ricerche più conosciute del Novecento simbolico e astratto. A
cui pure talvolta si riferisce, liberamente, con disinvoltura.
La surrealtà del resto è la sua cifra, espressa con un che di magico, di
incantato, di ludico. Assegnando frequentemente alle forme che fanno
parte tradizionalmente del suo immaginario una funzione di reperto
misterioso, sconosciuto. Solo recentemente tale funzione acquista una
forma più sfumata, un carattere maggiormente provvisorio, un’impronta
più emozionale. Conseguentemente i cromatismi diventano più tenui e
più freschi, più morbidi e luminosi.
Non si pensi tuttavia ad un’arte spontaneistica. La tecnica che sottende al
lavoro di della Ventura è raffinata, esperta. L’artista possiede il senso del
colore, la padronanza del segno, coltivando da sempre un variegato
repertorio di tecniche e di uso di materiali. Lo si comprende analizzando la
genesi della sua opera, il suo processo tecnologico, in genere lento e
vigilato, bisognevole di successivi passaggi, compiuti anche a distanza di
tempo; e lo si comprende altresì rileggendo gli spartiti della sua ampia
produzione, fin dagli esordi, in cui l’artista ha compiuto decine e decine di
differenti sperimentazioni. Egli opera ad esempio particolari preparazioni
dei fondi, che tratta non solo cromaticamente ma anche con intagli,
incavi, graffiti, trattamenti personali delle superfici. Anche la struttura dei
lavori nel tempo è continuamente variata: con riquadri, rilievi, inserti: una
molteplicità di soluzioni visive che testimoniano tra l’altro una versatilità
operativa non comune. C’è insomma nell’arte di della Ventura quella
maturità del lavoro compiuto quotidianamente, infaticabilmente, con
perizia, con abilità, con sicurezza. E c’è anche, come si scriveva, tanta
ironia, espressa in un gioco di forme e di simboli che nutrono un mondo
quasi parodico, che interpretano lo stesso eclettismo della
contemporaneità artistica. E altresì quel dono che possiede,
inequivocabilmente, ogni autentico artista.
Giorgio Agnisola
Premi
1988 - "Incontri d'Arte al Borgo" - Casertavecchia (CE)
1989 - "Sinfonia in mostra" - Casertavecchia (CE)
1990 - Mostra al centro d'arte e cultura "Botticelli" Caserta (CE)
1991 - "Arte per Amnesty" Chiesa di San Ferdinando - San Leucio Caserta (CE)
1993 - Modì25 settore espositivo - Caserta (CE)
1995 - "Artigianato ed arte a Marcianise" Marcianise (CE)
1996 - "Lo specchio capovolto" Palazzo della cultura - Marcianise (CE)
1996 - "Il Cavaliare Pavido" Mostra e presentazione del libro omonimo Episcopio di Caserta (CE)
1997 - "L'albero di Nenè" Mostra e presentazione del libro Casertavecchia (CE)
1997/1998 - "Mostra itinerante" Vicenza, Bassano del Grappa ed Assisi
1998 - Galleria "Il Pilastro" Santa Maria Capua Vetere (CE)
1998 - Loggetta dei Notari - Castel Arquato (PC)
1998 - Palazzo di città - Acireale (CT)
1998 - Collettiva - San Leucio di Caserta (CE)
1999 - "Arte e Giubileo" - Roma
2000 - La primavera dell'arte - Palazzo dei Vescovi - Casertavecchia (CE)
2000 - Millenium Art - Gubbio
2005 “Collettiva Galleria L'acquario” - Roma
2005 "Personale (Curata dalla galleria Idearte) nel castello di Lagopesole (Potenza)
2005 Prospettive Surreali - XVII Ed. del "Porticato Gaetano" - Gaeta
2005 Macef (Milano) "Maffei"
2005 Fiera Verona "Maffei"
2005 69^Fiera del Levante (Bari) (Galleria Barbone)
2006 XVlll ed. "Porticato Gaetano" Gaeta con catalogo e saggio critico.
2006 Fiera di Padova . Galleria Bonan
2007 La Settimana Dell' Arte . Santa Giusta. Cagliari (CA)
2007 Mostra e presentazione del libro omonimo. Artiminio. Prato.
2007 Galleria San Lorenzo. San Miniato. Pisa
2007 Galleria Sara Arnaout "Marylin Monroe". Milano
2007 Galleria Artelier. Milano
2008 I Segnali della Memoria. Capua. Con catalogo e testo di Giorgio Agnisola.
2008 Natural-mente. Villa Fogliano (LT) Cat. a cura di G.Agnosola
2009 Mediterranea Arte (Bari)
2009 Aria-Acqua-Terra-Fuoco. Villa Fogliano (Lt) a Cura di Giorgio Agnisola
2010 La Natura - L'Arte - Il Gioco (P.co Folgiano)
2011 Il Toro - Museo Archeologico S.M.C.V. (Ce)
2012 naturarte: i luoghi della musica - istallazione nel parco di Villa Foglianio (Lt)
2012 Passaggio d'inverno (Spazio Comel) - Latina
2012 Segni, Simboli, Echi del Natale - Sermoneta (Chiese storiche) - Latina
2012 Galleria Amaracrista - San Giovanni La Punta - Catania
2014 Gall. "Il Pilastro" - L'Arte in Terra di Lavoro - Rassegna degli artisti nati dal 1946 al 1960 - A cura di Giorgio Agnisola, Enzo Battarra, Carlo Robero Sciascia.
2015 Dalla serie "I Muri" - Icone - Pagine della Bibbia - Personale Galleria Saccone SMCV (Caserta)
2016 collettiva galleria Saccone SMCV (Ce)
Alcune sue opere sono state esposte presso la Galleria d'Arte "ELBDORFER BARRY P.JACKSON di Amburgo.
Bibliografia
GIORGIO AGNISOLA - ENZO BATTARRA - VINCENZO PERNA
"ARTE IN TERRA DI LAVORO 1945-2000" EDIZIONI SPRING
(una ricognizione storico - critica, condotta sul piano scientifico dell'arte in provincia di Caserta dal dopoguerra ad oggi).
DOCUMENTA ARTIS
La storia dell'arte in Provincia di Caserta
A cura di Carlo Roberto Sciascia e Stanislao Femiano
“Mitra (sol invictus)” a cura della galleria “il Pilastro”
“Prospettive surreali” catalogo a cura di Giorgio Agnisola e Rosario Pinto
“Prospettive verbo visive” Catalogo a cura di Giorgio Agnisola e Rosario Pinto
Associazione Fogliano arte Contemporanea (area-acqua-terra-fuoco) Catalogo a cura di Giorgio Agnisola
“Cento artisti per Carditello” Catalogo a cura di Gabriella Ibello e Paola Riccio
“Naturarte (i luoghi della musica)” Villa Fogliano Catalogo a cura di Giorgio Agnisola e Giuliana Albano
“I Segnali della memoria” testo a cura di Giorgio Agnisola
“Icone” Pagine della Bibbia (serie i muri) Galleria Saccone testo a cura di Giorgio Agnisola e Gabriella Ibello
“Visitare la parola” a cura di Winny Scorsone Galleria Amaracristi (San Giovanni La Punta-Catania)