INTERVISTA DI ANTONELLA IOZZO
Intervista
di Antonella Iozzo
Chi e Claudia Emanuela Coppola dentro e fuori la pittura?
Claudia è una sempre in gavetta… Così mi sento, una che deve sempre imparare e che non arriva mai! Ma questo mi dà molta soddisfazione… non amo molto chi “arriva” senza faticare, studiare, cadere, sempre col sorriso sulle labbra, lì, incollato alla faccia…
Sono intollerante, sì, è vero… sono critica con chi arriva per raccomandazioni, per fortuna, per sorrisi… Le sembro cattiva?
Forse un po’ lo sono, sono severa come lo è stato mio padre e il padre di mio padre e indietro, indietro… Lavorare, lavorare, lavorare, MA! C’è un ma… senza mai togliere una carezza a qualcuno, senza mai andare avanti davanti ad una lacrima… lavorare per me significa: lavorare con l’uomo, con la persona, con il suo cuore, con la sua fatica… non fare mai sentire solo nessuno… forse per questo dipingo l’anima delle facce… così le chiamo io…
Il segno grafico, il gesto pittorico, l’azione teatrale, tre espressione per raccontare o raccontarsi?
Raccontarsi… io nell’arte non mi racconto molto… io racconto, o almeno, cerco di raccontare gli altri, spesso i più soli, i più sofferti, i più devastati dalla solitudine, i più piccoli… Mi viene sempre in mente “Quello che farete al più piccolo fra voi, l’avrete fatto a me”…
E poi, poi quando sento dentro la mia anima il graffio della loro, allora creo, ma sempre tenendo d’occhio la scelta dei colori che deve fare sognare o la scelta delle parole, per il teatro, che deve fare sperare.
Dove si trova il loro punto d’incontro?
Forse è quel mondo che pochi vogliono ammettere di cercare, di guardare, perché si sentono stupidi a mostrarlo… credo che sia quello il mio punto d’incontro, guardare all’eternità, fatta di tutto ciò che uno desidera e pensa che non esista… ma io ci credo e vorrei aprire questa finestra, spalancarla, davanti a chi ne ha paura.
Numerose mostre, riconoscimenti importanti, rappresentazioni teatrali notevoli, quali ricorda con maggiore soddisfazione? E quale non avrebbe voluto fare, semmai c’è ne fosse qualcuna?
Grazie, è troppo buona… non mi sembra proprio così… Ricordo con malinconia lo spettacolo “Il Maestro e Margherita”, tratto da Bulgakov… una favola d’amore e di passione, di dolcezze e di paure, piena di fede. Nessuno ci credeva in quella storia, ma io sì. Ricordo le sere… diluviava sempre nei giorni di replica e la gente stava in coda, fuori, sulla strada, per cercare di entrare a vederlo e… quando non c’erano più posti a sedere… veniva il personale dell’Out Off e aggiungeva panche, poi aggiungeva cuscini per terra e poi, poi si sedevano dove volevano, vicini vicini agli attori e tutti si emozionavano… ridevano e piangevano, attori e spettatori!
E… uscivano felici!
Il sogno , la fiaba, la fantasia, sono i colori della vita? Come li descriverebbe?
Il sogno per me ci allunga… verso l’alto, la fiaba ci fa invece tuffare dentro il nostro cuore e i colori… i colori, come le parole, non finiscono mai… combinazioni su combinazioni… che miracolo!
I colori nelle sue opere pensano?
Un po’ sì, è vero, ha ragione… pensano il freddo e pensano il caldo… del cuore.
Se dico metafora, viaggio, Arte, cosa mi risponde?
L’Arte per me è un mestiere, una vocazione, come tutti gli altri mestieri e tutte le altre vocazioni. Mestiere, perché è fatica, regola, alzarsi presto la mattina, pensare al lavoro anche quando vai a dormire, quando mangi, quando hai mal di testa, questo è il mestiere. Vocazione, perché penso sempre che se ognuno di noi avesse la forza di rispondere, scegliendo il mestiere che sia anche vocazione, saremmo tutti più buoni…
Sa perché dico che l’arte è un mestiere come un altro?! Quando mi metto lì a pensare cosa creare e mi arrabbio con me stessa, perché non mi viene niente… penso a un semplice infermiere che lavora nella terapia intensiva con i bambini e … mi metto subito a lavorare, senza lamentarmi.
Mi sto un po’ dilungando… ma Lei mi fa delle domande così ricche, così interessanti… che le vorrei spiegare tutto… E quindi io le dico cosa penso, poi, viste le domande intelligenti, mi rilasso e affido a Lei i tagli e le cuciture…
Viaggio… io odio viaggiare, ma amo viaggiare col pensiero… mi piace più il mio mondo: ha una musica dolce e un silenzio pieno e colori e facce a cui voglio tanto bene… come la mia ultima opera “Piero” che ho cambiato in “Blue Piero”… a quel bambino io voglio bene! Ma non esiste… è nato così… chissà da dove è venuto…
Metafora… non saprei… questa parola mi ricorda l’estate della mia quinta elementare… che mi sono portata al mare l’Eneide… che meraviglia!
Nel suo percorso artistico l’esperienza internazionale, qual è la differenza sostanziale tra il “fare Arte” italiano e quello straniero?
Un tempo era diverso… eravamo diversi… era bello che fossimo ognuno diverso dall’altro, l’italiano dal francese, dallo spagnolo, dall’americano… ora con la globalizzazione siamo tutti molto simili… per me troppo.
Io… l’unica differenza che sento ancora è nella sensibilità all’arte che ancora nell’Italia meridionale è forte… ancora qualcosa di nascosto là è rimasto…
Il problema è che nel mondo non c’è più niente di nascosto e quindi non si riesce a scoprire più niente…
Come considera l’arte contemporanea?
Non amo le installazioni, non amo gli artisti che fanno i matti, non amo le follie, non amo le opere intellettuali che non capisci… ma non è che non capisci perché sei ignorante! Non capisci perché quell’opera lì non ha il cuore… perché se in un’opera batte il cuore, il tuo cuore lo sente!
Chi è secondo lei l’artista sopravvalutato?
Qui non so proprio risponderLe, non posso giudicare una persona piuttosto che un’altra… la dovrei conoscere come persona…per giudicare la sua arte. E poi, non so se sarebbe giusto.
Perché noi proviamo stima per i pittori che non ci sono più, quando andiamo ad una mosta? Perché leggiamo la loro vita, i loro sogni, le loro cadute e allora, allora capiamo che erano uguali a noi e … ci innamoriamo delle loro opere!
La sua prima opera pittorica?
Bruttarella, ma una finestra aperta sul mio dolore… una ragazza persa in un bosco, rosso, che lasciava cadere una rosa bianca, tra le foglie, con l’intento di andarsene via e lasciare quel fiore lì, per terra, ad appassire… solo. Un bambino, Giacomo, che ho dovuto lasciare andare via…
Cosa vorrebbe che i visitatori di una sua mostra recepissero?
Emozioni e speranze.
La mostra che vorrebbe fare?
Quella organizzata da una persona che veramente crede in me… ma forse c’è già…
Le sue passioni?
I bambini, le piante, la casa, i soprammobili, i ricordi, le carezze…
Si descriva in tre aggettivi
Viola… come il mio spirito che ama viaggiare.
Blu… come la mia malinconia.
Arancione… come l’amore che provo per tutti i bambini, non rosso… perché il rosso è violento… l’arancione… l’arancione è solo una carezza.
© Produzione riservata - Antonella Iozzo