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Beppo Zuccheri has taken on a courageous exploration of myth and collective and private history, by means of an opaque, thick, painting, made of different materials. It is this introduction of heterogeneous materials that makes the work three dimensional, protruding and empathically engaging. We are very likely seeing an opposite but complementary work to that of Alessandro Zorzi: if in his work there was a tension towards the musical and eurhythmic transparency of colour, in Zuccheri’s painting the opaque and dissonant nature of the material are one with the will to probe the problematic nature of an existence where relativeness is certain. Only this physical tackling of matter, with the earthly melancholy of alchemic nigredo, paves the way to the possibility of redemption, through painting and its implicit albedo. Massimo Cacciari wrote about the work of Anselm Kiefer, an influential artist for Zuccheri: “Painting-burning, separating, dissolving, transforming and therefore painting is an intrinsically iconoclastic action, an agon, a fight against the imposing- of-image, Einbildungskraft. If we were not to imagine anymore, if images were not produced, then we could only reproduce things as they appear, that is ‘surrendering’ to the idea that they are as they appear. If this appearance did not dissolve, if this image was not burnt painting it, we
This is why painting today can (or should) start, as in Beppo Zuccheri’s case, from the coagulated charred debris of history, even if just to subject it to the scalpel of analysis and rediscover it with new eyes: maybe seeking Argo, the mythical dugout canoe (Relitto di Argo sul fiume in secca) or Alexander the Great unexpectedly reaching India (La mia notte sul fiume Idapse) while leaving behind him a trail of death and destruction (Alba bianca – Via da Persepoli). In any case we still have the so-called hermeneutical problem of all those ladders that lead nowhere and all the runways splitting up and making any lift-off difficult or impossible (La nebbia, la luce, Kiefer e il silenzio), or that circular, ramshackle and ironic time machine, held together with string. We well know that art does not provide us with answers, but rather it expresses intuitively, through images the crucial issues of being human and living in our time.
Dal canto suo Beppo Zuccheri affronta una coraggiosa esplorazione del mito e della storia (collettiva e personale) servendosi di una pittura opaca, bituminosa e polimaterica in cui l’inserimento di materiali eterogenei caratterizza la dimensione tridimensionale, aggettante ed empaticamente coinvolgente dell’opera. Con tutta evidenza ci troviamo di fronte alla polarità opposta, ma complementare rispetto
a quella di Alessandro Zorzi: se nel suo lavoro vi era la tensione verso la trasparenza musicale ed euritmica
del colore, nella pittura di Zuccheri invece l’opacità e la dissonanza della materia fanno tutt’uno con la volontà di sondare la problematicità di un’esistenza dominata dalla certezza del relativo. Infatti solo questo confrontarsi corpo a corpo con la materia, con la terrena malinconia della nigredo alchemica, apre la strada alla possibilità di un riscatto proprio attraverso la pittura e la sua implicita albedo. Ha scritto Massimo Cacciari a proposito dell’opera di Anselm Kiefer (un autore di riferimento per il nostro giovane artista): “Dipingere-bruciare, separare, dissolvere, trasformare e perciò dipingere è quintessenzialmente iconoclastia, un agon, una lotta contro l’imponendo- in-immagine, Einbildungskraft. Se non si immaginasse,
se non si producessero immagini, non si potrebbe che riprodurre le cose così come appaiono, ovvero ‘rimettersi’ all’apparenza che esse sono così come appaiono. Se non si dissolvesse tale apparenza, se non si bruciasse dipingendo tale immagine, specchieremmo la realtà in
sé, ovvero l’illusione della realtà in sé”. Ed ecco perché il fare pittura oggi può (o deve) partire, come nel caso di Beppo Zuccheri, dai detriti rappresi e bruciacchiati della storia, fosse pure per sottoporla al bisturi dell’analisi e per riscoprirla con altri occhi: magari sulle tracce di Argo, la mitica piroga monossile (Relitto di Argo sul fiume in secca), o di Alessandro Magno che giunge inopinatamente fino all’India (La mia notte sul fiume Idapse) ma lascia dietro di sé anche distruzione e morte (Alba bianca – Via da Persepoli). In ogni caso rimane ben evidente il problema per così dire ermeneutico rappresentato da tutte quelle scale a pioli che non portano a nulla, da tutte quelle piste che divaricano e rendono difficile se non impossibile ogni decollo (La nebbia, la luce, Kiefer e il silenzio), da quella circolare, sgangherata e ironica macchina del tempo tenuta assieme da un po’ di spago: ma, si sa, non è certo compito dell’arte dare delle risposte, quanto piuttosto esprimere intuitivamente e per immagini le questioni cruciali riferibili all’essere uomini nella nostra epoca.
Angelo Bertani [Art Curator]
My night on the Hydaspes River / La mia notte sul fiume Idaspe
tela, 2012
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