SHAPE OF TIME BEPPO ZUCCHERI’S PAINTINGS AND SCRIBBLES
Il 26 aprile alle ore 18.30 presso la galleria dello Studio Berengo a Venezia inaugura la prima mostra personale a Venezia di Beppo Zuccheri (San Vito al Tagliamento, 1973) a cura di Chiara Casarin.
Nel white cube, tra le Gallerie dell’Accademia e la Peggy Guggenheim Foundation, l’artista friulano porta una selezione dei suoi più recenti lavori di pittura e grafica (e, forse, anche qualche scultura). Dopo aver partecipato a diverse esposizioni collettive e personali, dopo aver abbandonato la pittura come un’ossessione linguistica, dopo aver vissuto a Berlino di grafica e gözleme turchi, Zuccheri, tornato in Italia a dipingere, è ora in quel momento felice che segue ogni sincero apprezzamento pubblico e che si disseta di quotidiana produttività artistica. Il 2014 è per lui un anno intenso: è ora in corso la mostra TRE/1 a Pordenone, è arrivato l’invito a partecipare a giugno alla FIA-Festival International d’Art di Chateau de Bougey in Francia e alla mostra presso la galleria De Bakkereji a Bergen in Olanda.
Il titolo di questa mostra a Venezia è liberamente tratto dal celebre scritto di George Kubler nel quale ha indirizzato le sue riflessioni sull’arte contemporanea a partire dallo studio e dai metodi di interpretazione delle culture materiali antiche. Un libro che è un importante punto di partenza per chi si pone domande sul significato della produzione artistica contemporanea ma che in questo particolare caso dà degli strumenti di lettura dell’intera poetica di Zuccheri.
“Ogni opera d’arte importante può essere considerata come un avvenimento storico e allo stesso tempo come la soluzione faticosamente raggiunta di un certo problema. Che l’avvenimento sia stato originale o convenzionale, casuale o voluto, goffo o ben condotto è cosa ora irrilevante. Il fatto importante è che ogni soluzione indica che c’è stato un problema al quale erano già state date altre soluzioni e per il quale saranno probabilmente trovate ancora nuove soluzioni dopo quella ora offerta. Con l’accumularsi delle soluzioni, il problema cambia aspetto. Resta però il fatto che la catena di soluzioni mette in luce il problema” dice Kubler.
“Ho una grande passione per la filosofia, la storia antica, la mitologia, le scienze in generale, e tutte quelle discipline che in qualche modo mi danno la sensazione di poter dare un senso alla mia vita, alla vita, alla morte e a tutto ciò che si conosce o non si conosce. Conoscere, elaborare, intuire, immedesimarmi il più possibile… Manipolare… Giocare con il tempo, lo spazio e la consapevolezza del tutto … L'arte (il fare con le mani, la materia…) viene di conseguenza.. È il mezzo istintivo e naturale di dare forma e logica apparente a ciò che ho elaborato nella mente, o che non ho elaborato affatto ma c'è, si fa sentire. Non potrei mai scrivere o raccontare a parole… Sono troppo impaziente… Ho bisogno fermare nella materia e nel segno ciò che ho in testa e certamente lo fermo… Lo lego, lo incollo, lo inchiodo e lo mostro agli altri. Ho bisogno di avere testimoni… Non per spiegare o insegnare… Non per condividere… È solo l’illusione o la prova inequivocabile di aver catturato quello che mi ossessiona.“ risponde Zuccheri
“Le invenzioni artistiche modificano la sensibilità del genere umano. Esse traggono tutte origine dalla percezione umana e ad essa si riconducono, a differenza delle invenzioni utili le quali sono collegate all’ambiente fisico e biologico. Le invenzioni utili modificano solo indirettamente il genere umano in quanto esse modificano le condizioni ambientali: le invenzioni estetiche allargano direttamente la coscienza umana non tanto per mezzo di nuove interpretazioni oggettive, quanto aprendo nuove vie al modo di esperire l’universo. La psicologia come scienza di occupa delle facoltà umane considerate come oggetti di studio distinti e non come strumento unico di coscienza soggetto ai mutamenti storici. Le invenzioni estetiche fanno centro sulla coscienza individuale: esse non hanno finalità terapeutiche o didattiche, ma espandono semplicemente il campo delle percezioni umane allargando i canali del discorso emotivo.” Rilancia Kubler.
“Non è arte del riciclaggio o arte povera… È arte della frenesia, della lotta. La pittura dopo la materia dicevo, perché la pittura, a differenza della sola materia, ti porta ad entrare in una dimensione.. Serve per dare profondità.. È la chiave per aprire una porta, per indurre ad entrare in ciò che il piccolo creatore ha creato o ricreato. La sola materia, così come la scultura, invece sono elementi che entrano nella dimensione e negli spazi di chi le osserva.
Io ho la presunzione di aprirmi e aprire un mondo. Anche nel momento in cui uso solo il segno, come nei disegni o nei lavori meno materici, ho la necessità di solcare la carta o il legno… Supporti sempre rigidi.. Matite o pennelli che scavano, entrano e feriscono… E che feriscono me. È sempre e comunque una piccola battaglia. La sensazione di aver terminato un lavoro non avviene mai, o quasi mai, da un punto di vista estetico, visivo o concettuale… Ma dalla consapevolezza di essere uscito vincitore da un duello doloroso che mi ha segnato profondamente.” Conclude Zuccheri.
ALCUNI BRANI DAL TESTO DEL CURATORE
“I suoi lavori sono ipotesi emotive, luoghi in cui è possibile davvero riconoscere la propria storia o una storia che ci è stata tramandata dalla tradizione classica, sono attimi di vita di ciascuno, reali o mitologici che affondano visivamente nel nostro presente, nel momento in cui li osserviamo. La loro storia, i loro resti ci guardano negli occhi. Portano le tracce di quello che è stato e di quello che Beppo ci vuole raccontare.
Anche i vuoti urlano. Quello che non è sulla superficie, il non detto, il non mostrato, il censurato ha senso tanto quanto il resto. Perché in fin di conti la storia esiste solo se viene raccontata in tutti i suoi anfratti, luminosi o bui essi siano e in queste opere riprendono vita storie profondamente interpretate dall’artista. Scritte illeggibili perché troppo rapide o perché cancellate diventano accenni a scritture antiche forse male interpretare, geroglifici attuali che rimandano alla impossibilità comunicativa, agli attriti tra differenti linguaggi. Sono ammissioni amare, dichiarazioni di quella consapevolezza propria di chi ha vissuto per secoli attraverso la storia. Scale che salgono ma non sfondano, oggetti reali che palesano la bidimensionalità della superficie, bende sugli occhi come silenzi visivi, come divieti. Zuccheri toglie. Toglie abiti, toglie la libertà ai suoi soggetti legandoli, toglie dettagli che spiegano, nasconde dietro drappi parti di racconto, cancella, priva della funzione originaria tutti gli oggetti che poi si trovano imbalsamati sui suoi lavori. Sono però quei vuoti che ci chiamano, non solo a guardare bene ma anche ad ascoltare. […]
Composizioni, pezzi di realtà che vengono rimaneggiati, riutilizzati, assemblati e ricomposti per assumere nuovi significati e nuove funzioni. Bulloni che diventano gioielli, corde che diventano scale che portano al cielo, pezzi di legno che diventano sipari. Sbaglia chi parla di Arte Povera nel suo caso. Sbaglia chi crede sia una derivazione del ready made si tratta piuttosto di una congregazione di oggetti coscienti che si riuniscono per dare luogo a dimostrazioni sui concetti di movimento mettendo in rapporto lo spazio della tela con il tempo da cui proviene e che essa riesce a comunicare. La presenza di questi oggetti reali, rende la pittura più vicina all’installazione, alla tridimensionalità operativa dell’arte dove l’assemblaggio caotico riesce a condursi in un ordine perfetto, sia strutturale che di lettura….[…] Ogni suo prodotto, mai finito, sempre rimaneggiato è un punto d’incontro tra la magniloquenza dei temi filosofici dei soggetti mitologici e la cruda presenza di materia grezza. Mito e scarto. Due estremi di una stessa tensione che nonostante tutto si posso incontrare sulla stessa superficie, possono parlare lo stesso linguaggio, possono unirsi, fondersi, confondersi per generare una nuova realtà visiva. Ed entrambi hanno lo stesso peso, la stessa importanza, si nutrono a vicenda per condurre lo sguardo tra le pieghe dei dettagli e tra le fughe della prospettiva.”
Chiara Casarin [Art Curator]
The last voyage of Hatshepsut / L'ultimo viaggio di Hatshepsut
mista, 2013
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