Leonardo Checchia

pittore





Formazione

I colori mi hanno sempre affascinato. Li guardavo da bambino chiedendomi cosa contenessero, di che cosa fossero fatti. Che cosa c’era nel rosso, da renderlo rosso? E così per gli altri colori. L’atelier di mio padre è stato il primo luogo di studio. Lo ricordo disegnare -come un titano- su enormi tavoli disposti in una grande stanza con soffitti altissimi, quelle bellissime geometrie che si sviluppavano su tessuti pregiati fino a concretizzarsi in veri e propri capolavori di abiti.
Rigore compositivo e sapienze tecniche molteplici tutte perfettamente utilizzate all’occorrenza. I suoi famosi “trucchi” che consentivano la perfetta vestibilità a chiunque, anche in presenza di particolarissime fisionomie corporee. Il suo laboratorio era il mio mondo fiabesco di bambino. Trovavo sempre qualcosa che catturava la mia fantasia. I rocchetti di filato dalle svariate tonalità, le “forbici dei giganti” appartenute a chissà quali entità sconosciute o piuttosto i meravigliosi campionari di tessuti, che sfogliavo continuamente, ipnotizzato dalle geometrie, dai colori e dalla bellezza delle stoffe, delle lane di cachemire, al tatto. La mia preferita, però, era solo una, quella che scompariva spesso e che mio padre era costretto a cercare invano fino a quando non mi costringeva a restituirgliela. Splendida, insostituibile, non l’avrei ceduta per nulla al mondo, neppure in cambio di tutte le altre o dei pezzi di ricambio delle macchine da cucire (vere e proprie microsculture), che collezionavo di nascosto: la mazzetta di tessuti a trama Principe di Galles.
I primi contesti visivi sono quelli che continueremo a “riconoscere”. Il nostro campo visivo si delineerà privilegiando sempre quelle immagini, profumi, suoni, tinte, di cui abbiamo fatto esperienza all’inizio della nostra vita. Come il giallo, la gamma degli ocra, colori che amo da sempre, ritrovo “evidenti” e dei quali ho fatto esperienza -essendone stato interamente immerso- durante le mie corse sfrenate attraverso i campi di grano sterminati del Tavoliere pugliese. Vivere è un infinito ritrovare.
Il mio istinto è da autodidatta. Cerco sempre, se posso, di acquisire conoscenze attraverso percorsi di studio poco convenzionali. La mia formazione è prevalentemente tecnica sorretta, però, da profonde passioni letterarie, poetiche e musicali. E’ ancora nitida nella mia memoria, l’immagine di mio nonno, la sua sagoma indefinita, che fluttuava modificandosi continuamente a seconda delle variazioni musicali, che riprovava ossessivamente e che scrutavo attraverso i vetri opachi della sua stanza, seduto per ore nella mia piccola sedia a dondolo, mentre si esercitava nello studio del sassofono. La musica, mai, ha provato ad insegnarmela. L’ho praticata da adulto, ormai troppo tardi, prendendo lezioni di violoncello, ma con risultati, purtroppo, da dilettante curioso. Frequenti i miei cambi di residenza e prospettiva anche geografica, di domicilio interiore ed umano. Sono nato a Foggia nel 1962. La città dalla quale sono partito e non mi sono ancora fermato. Vivo, ora, temporaneamente a Trento.