Opere su Bob Dylan
Dpinti, disegni e opere grafiche dal 1976 al 2008
Si tratta di un gruppo di opere che ho cominciato a realizzare nei primi anni ’70,
combinando insieme le poetiche in qualche modo riconducibili alla Pop Art - quella romana di Piazza del Popolo - e la Poesia Visiva. Due mondi attuali all’ora (anche adesso) nelle arti visive, che mi permettevano l’uso delle tecniche pittoriche tradizionali affiancate da testi molto spesso leggibili ma spesso anche usati come elementi compostivi: Nel caso dei testi dylaniani la scrittura funzionava per entrambe le esigenze, quella comunicativa e quella compositiva
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Di seguito un testo di Paolo Merci (del 1978), tratto dal sito www.angeloliberati.it , utile ancora oggi per un approccio alle opere di Liberati.
PAOLO MERCI
Il discorso di Liberati si propone ostentatamente, già ad una prima lettura, come un intreccio di osservazioni essenzialmente metalinguistiche. Il referente immediato, la realtà a cui rimanda il suo mondo di segni è infatti, per gran parte, quella (linguistica) di immagini già caricate di precisi valori semantici: dalla storia dell'arte (van Eyck, De Chirico, Rembrandt - una costante -, Ingres, Vespignani, su cui varrà tornare), ai media (pubblicità, cinema, pop music, Dylan - un'altra costante-), e poi cartoline, stampe d'animali, ecc. Una prima opposizione, una prima elementare dialettica si instaura subito tra questa realtà al quadrato, tra la pluriforme riproduzione del già rappresentato e la entrata quasi costante, talora prepotente dell'esperienza immediata: degli oggetti e delle presenze quotidiane o comunque dirette. Pendant a livello ideologico della contrapposizione tecnica, linguistica, tra i riporti (diluente alla nitro) e disegno-pittura. Quasi un'affermazione dell'alterità del vissuto a fronte del livellante appiattimento della civiltà dell'immagine. Ma è conclusione affrettata, seppur non falsa. Il discorso si complica infatti di distinzioni e di intrecci più sottili: la rappresentazione riferita si serve del riporto ma anche della pittura, del rifacimento puntiglioso di Rembrandt, della minuta riproduzione a pennello di Vespignani, e così via. II vissuto d'altro canto, il quotidiano, si propone non raramente attraverso il filtro di esperienze visuali precise, di citazioni o impegni di lettura. E l'interesse per (il discorso su) l'altrui segno non si separano mai di netto da più ambigue, torbide riflessioni sulle proprie radici, trame di raffinate ruminazioni culturali. Basterebbe il Rembrandt ossessivamente evocato da Vespignani. O ancora il Vespignani diretto, di citazione precisa, che si alterna e si fonde con quello indiretto, mediatore di finestre e muri, di angoli di un romanticismo da bohéme, visitati con un'autoironia che non spegne passioni e commozioni della memoria. Abolizione dei confini tra il vissuto immediato ed esterno e quello della coscienza e della mente: che vuol dire degli spazi e tempi dell'accaduto, compressi e raccontati in un presente occasionale, colloquiale, ma denso di depositi di storia privata e di esperienze comuni. I riporti sono talora nitidi e asciutti, autonome emergenze, qualche volta grammaticalmente reduplicate, seriali.La presenza soggettiva, che è distacco, coscienza critica, è affidata a pochi tratti di muro, ad oggetti "umili". Talora invece essi si affollano e si sovrappongono, confuso, quasi indistinto sfondo al recupero di idee e riflessioni dominanti. Talora infine ritornano (identici e pur sempre variati) in momenti differenti di discorso, in opere che si dispongono in serie: tentativo da un lato di critica decomposizione dei meccanismi evocativi, verifiche dall'altro di ritmi mentali, di passaggi costanti. La pittura vi si giustappone a volte senza turbarne l'impatto e le capacità di richiamo: costruisce scansioni, in una sintassi spaziale che suggerisce accostamenti alla lirica: le immagini vi interferiscono senza sovrapporsi, secondo metriche cantabili, in ricorrenti disposizioni trapezoidali. Altrove l'intervento si carica di più feroci istanze dialettiche: i riporti sono coperti quasi del tutto, pittura stessa si sovrappone a pittura, riporti nuovi ad elementi disegnati. Le immagini si frammentano e si fondono, perdono individualità; i valori metaforici prevalgono, in un accumularsi di subordinazioni, sulle trasparenti, rarefatte metonimie di altri momenti. Un altro intervento tipico della pittura di Liberati è la velina: l'applicazione ai riporti li grinza e li vira, talvolta vi diffonde ombre rossastre, verdi muffe, talaltra li sfuma di vapori nebbiosi. E' un elemento in più di distacco, di filtro, non bastasse il capovolgimento di immagine che è organico al riporto. Ma è anche un elemento di scansione temporale: la velina ricopre e modifica non solo i riporti, ma spesso anche una parte dei successivi interventi pittorici: separa momenti di intervento, fasi di azione e ripensamenti. Un elemento di distinzione di qualità assai diversa dagli altri in uso: se infatti l'ombra o l'adesivo, lo strappo o la piega dipinti che illusionisticamente incorniciano e separano un piccolo Rembrandt ridipinto dal resto del quadro, sono elementi decisamente razionali, investiti di compiti comunicativi esatti, lo sfasamento proposto dalla velina, oltreché produrre effetti ottici opposti (d'amalgama piuttosto che di estrazione) si carica di valori connotativi, di inespresse ambiguità. La velina è d'altronde, per usare una metafora linguistica, un elemento "fonologico" della pittura di Liberati, un tratto costitutivo del suo sistema cromatico, il modo di materializzare, sfruttandone trasparenze e porosità, i colori sfatti e muffiti delle pareti di cesso, degli umidi orli di vicolo, di quella quotidianità minore, solo apparentemente crepuscolare, che resta uno dei temi costanti del suo racconto. Così esse si dilatano a volte fino a diventare discorso a se stante, in una prudente (mai fino in fondo perseguita) esplorazione informale. Ma anche qui ineliminate presenze fisiche, la matita, un pacchetto di sigarette vuoto, richiamano programmatiche rinunce alla poesia. La meditazione stessa sui linguaggi figurativi, il processo della memoria, operano secondo leggi forse arbitrarie o che non sono immediatamente riconoscibili, ma non di meno ineluttabili. Perchè Dylan, a differenza ad esempio dei Rolling Stones, non è quasi mai riportato, ma dipinto? Perchè i nudi, o in generale il corpo, anche quando non si frantuma in un occhio isolato o s'affida metonimicamente alle sole labbra, è sempre dipinto? In generale, in questo gioco di parziale desemantizzazione (e risemantizzazione in un contesto diverso) di segni già caricati, in questo processo di "fissione semantica", ci sono dei privilegiati. Esiste, mi pare, un preciso livello idiomatico di creazione simbolica. Si prenda Dylan: si presenti con il suo ritratto, o il testo trascritto d'una canzone, una copertina di disco o il nome solo, ha via via poteri evocativi diversi, che forse variano da quadro a quadro, da contesto a contesto, ma che sono tutto sommato stabili: e che vanno al di là sia del fenomeno Dylan, sia della stessa musica pop. A questo livello di lettura, la pittura di Liberati ci parla della cultura di chi ha oggi trent'anni, del '68 e di Marcuse, di Reich e delle università occupate, di Kerouac e dell'angoscia di sogni infranti, del rapido riaprire gli occhi, dei tormentati rapporti con la sinistra istituzionale, dell'ebbrezza semiologica, della nostalgia di campagna e di terra, di rabbiosi moralismi, di voglie covate e represse, ma non rifiutate, di ricerca appassionata e disillusa a un tempo.
Cagliari 18-10-1978
Angelo Liberati è nato a Frascati (Roma) il 2 giugno 1946, vive a Cagliari e Roma
Via Corte d’Appelllo, 28 – 09124 Cagliari – Tel. 070/669278
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