Così lontano, così vicino
VR60768 è la sigla di un raro reperto del Paleolitico, ma per chi non è un esperto archeologo questa stessa sequenza alfanumerica potrebbe essere scambiata per un “stringa”, ovverosia un codice genetico digitale capace di trasmettere una moltitudine di informazioni come, ad esempio, un programma, un brano musicale o un film caricati sul web; anzi, potrebbe trattarsi addirittura di un’intera enciclopedia multimediale dove i vari media si fondono per darci un’esperienza del sapere totalizzante. Se da un lato questo equivoco potrebbe essere frutto di un ingenuo errore, dall’altro questo stesso abbaglio trova però una sua ragione d’essere. Come è stato giustamente rilevato da Silvia Grandi in altre occasioni, infatti, vi è una sorta di corrispondenza o, per meglio dire, identità funzionale fra le immagini echeggianti gli antichi graffiti rupestri create dall’artista e gli odierni simboli che hanno invaso il nostro vivere quotidiano (da quelli che campeggiano nella segnaletica stradale sino alle più sofisticate icone dei computer); sia le une che le altre, essendo realizzate mediante segni minimi che riducono i protagonisti di questa nuova “alba del contemporaneo” a pure sagome stilizzate, riescono con estremo agio a imprimersi nella mente dell’osservatore e a farlo reagire immediatamente. In altre parole, queste leggerissime e “magre” figure antropomorfe sono portatrici di tutta una serie di indicazioni combinate in segni di facile emissione e decodificazione che, comprensibili a tutti proprio in virtù della loro iconicità perfettamente condivisa, sono in grado di richiamare dal nostro database esperienziale momenti e sentimenti solo apparentemente dimenticati. Questo alfabeto arcaico inoltre risponde, ieri come oggi, a una necessità intima, profonda che l’uomo porta dentro di sé da sempre, ossia affermare la propria esistenza. Come dice lo stesso Andrea Benetti, infatti, “All’alba dell’umanità, ancor prima di inventare la scrittura, l’uomo sentì la necessità di comunicare, di lasciare una traccia di sé nel mondo” (Manifesto dell’Arte Neorupestre). Tra i primi segni tracciati dai nostri antenati sulla pietra e i contemporanei mezzi di trasmissione dati dunque, il concetto di base non cambia: dichiarare la propria esistenza, ovvero affermare “io sono qui”. L’artista insomma con questo ciclo di opere vuole stimolare e rigenerare l’uomo di oggi attraverso un energetico tuffo nel passato che, lungi dal presentarsi come un semplicistico e ottuso regredire verso formule passatiste, vuole rivitalizzare il presente, come sottolineato del resto dal prefisso “Neo” (nuovo) apposto all’aggettivo “rupestre”. VR60768 quindi vuole essere una vera e propria password in grado di generare un produttivo cortocircuito fra il passato e il presente, fra il lontano e il vicino.
Prof. Giuseppe Virelli [Ricercatore della Facoltà di Lettere e Filosofia Dipartimento delle Arti Visive, Performative e Mediali Università di Bologna]
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