Mario Stefano

L’opera di Mario Stefano può riassumersi (e comprendersi) in pochi punti fondamentali: il suo lavoro si basa su collage pittorici sospesi e su una rete di collegamenti e citazioni. Non mancano gli spunti presi dalla letteratura, dalla fotografia, dalla musica, dal cinema, da pittori che appartengono alla storia dell’arte. Per quanto riguarda la modalità della pittura, ci troviamo di fronte ad una modalità di stesura fredda, distaccata, accattivante negli accostamenti cromatici, ma piatta e priva di vera matericità. Con la messa a regime dei vari spunti pittorici e di tutti questi riferimenti (o con il loro adeguato incastro formale), Mario Stefano diventa un direttore di orchestra, un pittore che sa suonare una polifonia, dosando i passaggi e rendendo accattivante la sua narrazione perché ci obbliga a soffermarci sui vari passaggi, sui dettagli, sugli accostamenti. A parte le citazioni colte, la sua pittura pesca anche nelle esperienze personali, nel coinvolgimento emotivo con alcuni tipi di immagini o soggetti illustrati; e questo sembra quasi un controsenso rispetto alla stesura fredda delle sue superfici pittoriche, ma la sfida è proprio questa, rifarsi a Cézanne per continuare ad affermare che si è alla ricerca della regola che tiene a freno l’emozione, senza che questa debba ancora basarsi su un lessico costituito dai solidi geometrici. Possiamo pensare che questo suo lavoro possa stare anche sotto l’egida della Pop Art? Se per Pop vogliamo intendere una immagine popolare e che cioè proviene dalla cultura popolare e al popolo ritorna, beh, qualche riscontro possiamo averlo, se non altro perché ci troviamo di fronte a immagini parlanti e molto immediate, ma di certo con la Pop Art storica (con i suoi intenti programmatici) non ha proprio nulla in comune se non per quell’aspetto di stesura piatta del colore che può trovare dei riscontri nel lavoro di Rosenquist.

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