La Poesia di Mariapia L. Crisafulli. Ciò che appare esile ed esitante si vela e svela essere… apodittico
È a partire dal titolo, “La vita là fuori” (Macabor Editore, 2021 che vuole prendere le mosse questo viaggio attraverso il mondo “apparentemente” esitante ed esile di Mariapia Crisafulli. Si è in già in quel “là fuori” dove la poeta indica quasi apoditticamente essere, sorprendentemente la stessa vita. Il sottotitolo “poesie e metapoesie” sta a caratterizzare – lo vedremo- quello stato quasi “limbico” e di sensibilità aumentata che è proprio di ciò che è “oltre” la stessa poesia nel suo farsi, con una quasi naturale e spontanea trasformazione… mitopoietica. È importante nel seno di questo tempo, questo nostro tempo, segnato da una “sospensione” alla quale tutti quanti- e non solo la giovane poeta- siamo in un certo senso e per molti versi costretti ad un tu per tu con noi stessi, ripeto: è importante non andare, con quella fantasia metatestuale a co-costruire metalinguaggi e realtà che esondano dalle intenzioni della giovane. La tentazione è forte, perché tanti sono gli sviluppi possibili a partire dalle sollecitazioni di Crisafulli. Giovane attenta, già nella sua prima opera Come un’Odissea, non tanto – o non solo- a ciò che “le sta dentro” ma anche -e soprattutto- la vede impegnata nella realtà della polis di tutti i giorni. Certo: non mancano riflessioni di carattere esistenziale, legate soprattutto alla precarietà di questo nostro vivere. Aggiungiamo che, corre l’anno 2021, nel pieno di una pandemia che ha rovesciato i paradigmi interpretativi, dell’interiorità e anche dell’esterno… di ciò che era vita e non lo è più. Singolare e stupefacente dunque quell’apodittico “La vita là fuori” quasi a delineare un territorio neutro, dove la poeta possa coltivare quel poiein, fare poesia e nello stesso tempo andarne anche oltre (metapoesie). A ricordarci quanto siamo umani troppo umani, direbbe Nietzsche, quell’esordio dei Reperti quotidiani, dove salta all’occhio “dentro libri mai aperti/ e mai paghi di attenzione/ Sotto il letto/ che non dormi o su cui/ ti abbandoni (…)” dove l’enjambement sembra servire ad accompagnare quel verbo (dormire) da intransitivo in (metapoeticamente) transitivo. Tanti sono gli sperimentalismi con i quali si confronta la poeta, a partire dalle allitterazioni insistite, le assonanze e dagli ossimori concettuali (uno su tutti “(…) anche nella burrasca// Nonostante la burrasca”), all’uso delle parentesi quadre, a volte aperte e chiuse, altre volte solo aperte, quasi a segnare una epochè, una sospensione che permetta di leggere il testo con una maggiore intensità, senza per questo essere “interrotti” (elemento che la poeta ascrive alla parentesi tonda). E -ancora- l’uso del corsivo per significare la presenza di un osservatore esterno. La prima parte (che dà il titolo anche alla prima composizione della quale abbiamo riportato qualche verso) è, per l’appunto, Reperti quotidiani, divisa al suo interno in La misura delle cose, Le notti del pellicano, Generazioni contrarie e La casa della nonna. La seconda parte titola Sull’invenzione poetica. Ad un occhio allenato non sfuggono elementi caratterizzanti la filosofia di Weber, come il concetto di individuo (centrale nel pensiero del filosofo tedesco) dunque un indugiare, -trasversalmente – nei componimenti, sul concetto di “individualità” di contro a quello di “individualismo”. Inoltre “una colloquialità rende illuminante il voler rappresentare un io dentro un noi del mondo e dell’universo, con le implicazioni metafisiche che ciò comporta” scrive dell’autrice in una nota di lettura, Enrico de Lea, in riferimento alla silloge precedente Come un’Odissea, e noi la riportiamo a testimoniare un’unità, una prosecuzione di quello che era stato il viaggio… e che si fa carne, corpo, presenza, in questa seconda raccolta. In La misura delle cose, l’immaginazione viene vissuta come antitetica al “sapere” (“immagino, ma non so”) e sempre in questa sezione leggiamo il Divertissement, dove ancora la poeta si misura con quella antinomia, quella dicotomia esserci-non esserci che si risolve però, a nostro avviso (in questo testo come in altri) in una superiore, e altra continuità. “Sono qui, ma non ora// Bussate più in là per favore”. Dove ancora prevale un carattere determinato, quasi a decidere, apoditticamente, dell’esserci o meno della stessa poeta, dello stesso individuo in senso più ampio e universale. Soprattutto in questa sezione, prevalgono le antinomie, vissute in modo molto dinamico (“Amo in te quanto in me manca// estraneo al mio vivere/ necessario al mio corpo” e ancora “chiamato la mattina/ stretto la sera”). A dominare l’intera raccolta è poi il tema del tempo, del cui orizzonte la poeta ama giocarne le direzioni (“ci vediamo domani. // Ma domani è già ieri/ da parecchi giorni”). Un senso più ampio di disorientamento, pervade e si insinua in particolare a cavallo tra Le notti del pellicano e Generazioni contrarie, dove la poeta esprime il suo male di vivere e -riprendendo la nota di de Lea- quel fragilissimo equilibrio giocato tra l’io e il noi, e dell’io dentro il noi, un po’ si incrina ( “il mio male di vivere/ lo conosci anche tu/ gli dai un altro nome/ ma è lo stesso del mio”). La poeta, ha forte dalla sua parte, l’apodittico esserci, ma confrontandosi con i giovani della sua età, ritorna quasi ossessivamente sull’antinomia “ricordi / io no”, “abbiamo la stessa età ma non gli stessi anni”, e ancora quel vedere la vita “là fuori”. Della seconda parte, Sull’invenzione poetica, richiamo la Réverie “Passare le notti lontano// e scrivere, scrivere” dove ritrovo quella “Poetica della réverie” di Gaston Bachelard, il cui tema centrale è proprio quella sospensione del tempo, tanto caro anche alla poeta siciliana, e quella capacità di colui che coltiva réveries di “essere autore della propria solitudine”. E di nuovo torna il tema della autodeterminazione, dell’apoditticità, che rende la poeta, nonostante il male di vivere e il disorientamento, padrona non solo della propria vita ma anche, e qui lo dimostra, soprattutto in questa seconda parte dove leggiamo “Enjambement?// Spezzo/ i versi/ per riprendere /fiato”, padrona… anche della propria penna .
Marta Celio
Hai bisogno di informazioni?
Vuoi chiedere maggiori informazioni? Lasciami un messaggio, risponderò al più presto