La visione ironica del tempo e dell’odissea esistenziale nel nuovo libro di Mariapia L. Crisafulli
Come un’Odissea (Macabor Editore, 2019) è la narrazione di un viaggio (interiore), quello di Mariapia Crisafulli; ma anche il mio, il tuo (A te che leggi, chiunque tu sia…). Durante questo viaggio – perché un’Odissea è un viaggio verso gli altri e sé stessi, più che verso una destinazione – s’incontrano persone differenti; persone che ami – ricambiato – o che sono sconfitte dalla vita. S’incontrano i perduti, come il barbone del Po, un outsider che rinfacciava alla sorte gli sbagli di una volta / gli stessi che adesso pagava / con la propria inquietudine. Si incontrano la notte, il buio, l’oscurità: non si vede tanto chiaramente quanto nella notte, una notte che vivifica il ricordo, ma anche la presenza, benché tutto tranne noi. Ciò che Mariapia Crisafulli cerca non è tanto una terra promessa, un orizzonte da superare, quanto l’Ineffabile, l’invisibile, l’imprendibile.
In questa raccolta trova posto la visione ironica del tempo e dell’odissea esistenziale dell’individuo (E i miei capelli / inganneranno un’altra volta / il conto tuo degli anni). Ma al piano ironico si sostituisce, inavvertitamente, quello più tetro, caratterizzato dalla cecità, dalle incertezze e dal rifiuto quasi della stessa capacità poetica, che viene definita fatica dei miei gesti, come se fosse quasi un remare incessante verso la tanto agognata terra ferma. Alla fine, però, Poesia è la (mia) vita che non muore, segno di resistenza della poesia, vista come un dardo da scoccare contro la preda. Una vita dedicata alla poesia ci distrae, non ci fa vivere il presente, perché ci porta a vivere nel passato e soprattutto nel futuro. Non manca, tra le varie tematiche toccate nella raccolta, quella dell’alterità, che ha occupato gran parte della letteratura occidentale. L’Altro, inteso come “non-io” ci spaventa, ci disgusta, ma allo stesso tempo ci attira, ci incuriosisce in positivo. In Mariapia Crisafulli l’Altro si identifica in un non meno definito profilo, descritto nella sua inaspettata bellezza, piena di particolari nascosti. La descrizione dell’Altro è davvero approfondita, ma il tutto scompare letteralmente alla velocità della luce, poiché questo profilo sparisce al clic della luce, dopo il quale resta solo il nulla.
Com’era ovvio, il collegamento con l’Odissea omerica avviene proprio parlando del personaggio di Ulisse. Dentro ognuno di noi c’è sempre un Ulisse che vuole partire e tornare attraverso avventure mitiche, e questo è espresso proprio tramite un incipit epistolare (Ulisse caro…), quasi fosse un nostro caro amico al quale mandiamo una cartolina da un viaggio, il viaggio della vita. Come un’Odissea / la mia vita / è un folle viaggio. Al personaggio di Ulisse vengono poste delle domande, alle quali dobbiamo trovare una risposta per poter tornare a casa, per poter riabbracciare la nostra Penelope. La quale è Mariapia stessa, che aspetta nella temibile Città dell’attesa un Ulisse che tarda ad arrivare e che forse non arriverà mai. Ma Penelope/Mariapia sa che quello non è il suo posto; il suo posto è altrove: sulla nave, verso Itaca. Solo viaggiando possiamo scoprire noi stessi e gli altri, possiamo trovare le risposte alle tante domande poste ad Ulisse: trovare un senso al viaggio stesso.
Tommaso Vitale
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