shifts in register
Stefano Arienti _ Antonio Catelani _ Daniela De Lorenzo
Con questa prima mostra la WeGallery intraprende una sintetica e accurata indagine nell'arte italiana degli anni Ottanta del Novecento, per mezzo di una rassegna espositiva composta di tre tappe principali: ciò nell'intenzione di portare all'attenzione del pubblico berlinese e internazionale il lavoro di un nucleo di artisti oggi particolarmente attivi, individuato tra quelli che hanno avuto i loro esordi a partire dalla metà degli anni Ottanta. Una selezione ampiamente rappresentativa, intenzionalmente non esaustiva, operata tra tutte le figure del periodo di questa che potremmo definire una "generazione di mezzo".
Generazione di artisti che ha avuto il merito di operare una sterzata rispetto all'espressionismo pittorico dei primi anni Ottanta, reintroducendo un fare consapevole delle proprie prerogative, ponendosi in posizione dialettica di continuità/discontinuità con l'arte degli anni Settanta.
Adottando una linea "di morbidezza" quale caratteristica comune, nella loro pratica artistica si assiste ad una ritrovata complessità che apre alla pluralità e marca la differenza rispetto alla precedente corrente, Transavanguardia e pensieri affini, operando una vera e propria variazione di registro, resa possibile dall'aver introiettato vantaggiosamente, nella struttura linguistico-formale dell'opera, l'apertura offerta dalle tendenze "post-moderne" inauguratesi in architettura e in arte già nel decennio precedente. Liberi da accenti ideologici o stilistici unitari, nell'opera di questi artisti non si osserva alcun passo implicito o ulteriore derivante dallo statuto modernista, bensì essi aprono ad una nuova fase di sperimentalismo ricca di accenti e modi che preludono "al possibile", in un incessante rigenerarsi che va ben oltre ogni finalismo, non perseguendo un codice teorico formale unitario, conseguente e dovuto, dunque programmatico. Ciò si evince dall'assenza di uno "stile" peculiare comune, perseguito dal gruppo o comunità di generazione, non più necessario e opportuno, optando in favore di un procedere mimetico, articolato e complesso, che spesso si sostanzia in un corpus di opere non omogeneo o composto da distinti cicli talvolta distanti se non apparentemente in antitesi, rendendo difficile la decodifica, l'individuazione ed il raggruppamento sotto una comune definizione di "scuola" o movimento.
Il molteplice, il possibile, è sfuggente anche alla nominazione: non si possono dunque applicare prefissi quali "neo" o "post" poiché si è infine giunti in un "qui puntiforme" non omogeneo ma denso, dove il concetto di stile implode od evolve in un coacervo di modi, in una compresenza e "democrazia degli stili".
Il trait d'union è pertanto da ricercarsi altrove, nel substrato concettuale che governa la sintassi: l'insieme dei rapporti significativi che intercorrono tra gli elementi dell'opera artistica, tanto quanto nella comune pratica digressiva che ridefinisce incessantemente lo statuto dell'opera nei suoi nessi e confini: da stabiliti a possibili, variabili, infine provvisori. Un'attitudine a de-costruire che diviene al contempo possibilità rigenerativa dello specifico disciplinare, attuata operando uno slittamento dal "centro" normativo verso il lato, il basso, il diminuito, il precario, l'instabile di un "canone" reso provvisorio.
Qui il valore del dubbio, della perdita di certezze e ruoli definiti, assume fondamentale importanza nella pratica artistica che perviene ad un oggetto d’arte ‘ridotto’ o ‘diminuito’, senz'altro memore di una perdita occorsa. Il tema del primato, dell'avanzamento in arte, caratteristico della prima e della seconda avanguardia, non è più presente, implode, e ciò non di meno non si produce alcun atteggiamento ansioso, dal momento che in questo modo d'intendere "tutto si abbraccia e niente si ritiene". Abdicare quindi ad ogni programmaticità di fatto rende l’artista coerentemente libero da ogni omologazione: svincolato da un’estetica abilitata - consona ai tempi e ai modi, che va dall'esposizione di semplici elementi linguistici alla presentazione di schemi e idee - può quindi vantaggiosamente perseguire un’estetica "altra", che sovverte le regole e metonimicamente travasa senso. L’arte è pratica arbitraria; in una società ampiamente estetizzata quale ultimo retaggio dell’Avanguardia, la nota nuova è dunque quella dell’arte ‘diminuita’ nella forma e nel ruolo. Un modo questo, o habitus, totalmente nuovo, ampiamente diffusosi nell'arte degli anni Novanta e Duemila ma inaugurato da questa generazione di mezzo che qui prendiamo in analisi.
A trent'anni dal loro esordio, una ridefinizione e collocazione dell'opera di questi artisti nel continuum storico temporale, rispetto al pensiero teorico artistico nazionale ed internazionale e in relazione alle comuni radici culturali, si rende pertanto necessaria e va quindi tentata. Anche in ragione del fatto che possiamo, senza incorrere in errore, definire questa l'ultima generazione di artisti specificatamente “italiana".
venerdì 16 settembre 2016
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