Milano Art Gallery: Roberto Villa si esprime in merito alla mostra su Pasolini, prolungata fino al 28 Gennaio
Dato il grande successo e i consensi ottenuti finora la Milano Art Gallery, il manager Salvo Nugnes ha deciso di prolungare fino al 28 Gennaio la mostra fotografica dedicata a Pier Paolo Pasolini dal titolo “Il fiore delle mille e una notte”. L’autore degli scatti fotografici, il Maestro Roberto Villa, si esprime in merito a questa esposizione, che ha riscosso straordinario successo tra i media e il pubblico.
D. Abbiamo avuto notizia del grande successo di questa mostra fotografica dedicata a Pasolini, presso la storica “Milano Art Gallery”, che è stata prolungata fino al 28 Gennaio; è compiaciuto di questo straordinario consenso?
R. Si, essendo un documento importante, al di la delle fotografie; spesso viene confuso con la voglia di esporre fotografie piuttosto che di presentare un documento. Io non ho mai fatto mostre in vita mia perché sono sempre stato indifferente alla realizzazione di fotografie in sé.
Questo caso è eccezionale perché si tratta di un documento articolato e complesso che mi è costato oltre tre mesi di lavoro sul set del film di Pasolini, che ho voluto seguire su suo invito per fare si fotografie ma fondamentalmente per parlare degli argomenti che avevamo di comune interesse riguardanti il linguaggio cinematografico. Mi fa molto piacere perché questa fase di estensione della mostra permette a chi non ne avesse avuto il tempo di poterla vedere e rivedere in questi giorni.
D. La mostra espone gli inediti scatti fotografici da lei realizzati durante le riprese del film “Il fiore delle mille e una notte”; c’è un’immagine o una serie di immagini a cui ricollega un particolare aneddoto riguardante Pasolini e le scene di lavorazione del film?
R. La quantità di immagini realizzate in totale è di molto maggiore rispetto a quelle esposte, anche per ovvie ragioni di spazio fisico. Ce ne sono alcune che rappresentano bene Pasolini; una di queste, che è anche presente alla mostra, è quella in cui Pasolini presenta il ciak de “Il fiore delle Mille e una notte” e che è stata un po’ forzata. Ho visto Pasolini fermo mentre impugnava la macchina da ripresa, vicino c’era un giovane che teneva il ciak in mano, gliel’ho tolto e l’ho dato a Pier Paolo dicendogli “Ti faccio uno scatto”. Lui ha risposto “Si ma è una finzione” e siccome il dibattito tra me e lui si era imperniato sul cinema come finzione, e lui riteneva che il cinema fosse il linguaggio della realtà, allora ho detto “Beh ma anche il cinema è una finzione”, lui ha sorriso e io ho scattato l’immagine.
Questo vuol dire che lui non ha mai guardato la macchina fotografica sorridendo, e questo è l’unico scatto in cui sorride spontaneamente, non per fare un piacere a chi sta davanti, quindi è una foto autentica.
D. Ritiene che questo film sia un’opera ancora attuale nel panorama cinematografico odierno?
R. Il film espone un problema che non viene mai trattato. La sessualità che appare nel film è una sessualità di tipo infantile, che mette in imbarazzo chi guarda perché non sono mai eventi di rapporto sessuale come quelli che siamo abituati a vedere nella cinematografia, soprattutto statunitense, dove i due si scaraventano l’uno sull’altro con furia spasmodica, a volte addirittura anche quasi comica; chissà quante volte avrà visto che i due buttano via tutta la roba che è sul tavolo come se poi passasse qualcuno a rimettere in ordine la casa devastata dalle loro voglie erotiche; in realtà queste cose non accadono mai, accadono solo nei film.
Quella che invece Pasolini rappresenta è questa sessualità ingenua di giovani che pur facendo quell’attività erotica che noi conosciamo lo fanno con una visione del tutto priva di modelli di riferimento e atteggiamenti a cui riferirsi quindi molto spontanea, così infantile da imbarazzare perfino; il nudo stesso rappresentato da Pasolini nel film è un nudo del tutto ingenuo e castico.
D. Essendo stato a stretto contatto con Pasolini e avendo carpito il suo modus operandi durante le riprese, quali riflessioni può spendere sul ruolo di Pasolini regista?
R. Pasolini ha fatto una scelta trasferendo il suo impegno socio-economico e socio-politico verso la cinematografia dai mondi della prosa, della poesia della letteratura da cui veniva, portando nel cinema tutto il suo impegno che era quello di far vedere come l’essere umano cambiasse antropologicamente.
Un fatto che lui racconta molto bene in “Ragazzi di vita” lo dimostra: c’è una coppia di giovani su una barca, vedono una rondine cadere in acqua e si buttano per salvarla; molto tempo dopo, nell’arco dell’evoluzione del racconto del romanzo, accade che invece un giovane cade in acqua, loro sono sulla barca ma non si sporgono assolutamente. Quindi Pasolini sostiene che questo tipo di società modifichi antropologicamente la nostra natura, e quindi i sentimenti, il modo di vedere e pensare.
D. A suo parere c’è un regista della generazione attuale che può raccogliere l’eredità di Pasolini in ambito cinematografico?
R. Non vedo nella cinematografia italiana registi impegnati socialmente. La generazione dei registi impegnati è la cosiddetta “vecchia generazione” dei giganti del cinema italiano che vanno da De Sica a Olmi; persino escludendo Fellini, è un gigante ma non ha mai fatto cinematografia finalizzata al sociale, ha raccontato delle storie. Quindi attualmente non c’è nessuno, ci sono dei cineasti internazionali che hanno fatto cose formidabili ma che purtroppo sono scomparsi. Ce n’è invece qualcuno nel cinema inglese, e questo ci consente di sperare in bene, che almeno qualcuno faccia l’emulo.
D. Queste suggestive fotografie hanno ispirato anche la stesura di un interessante libro “L’Oriente di Pasolini”; com’è strutturata quest’opera?
R. Il libro è strutturato in maniera da raccontare sia il film, in modo da spiegarlo a chi non l’ha visto o non l’ha capito perfettamente, sia ancora raccontando, attraverso un’intervista che mi è stata fatta, qualcosa su di me e sulla mia visione dei rapporti con Pasolini. Ci sono poi articoli gestiti da diversi esperti che fanno il punto su Pasolini e la cinematografia. È un volume piccolo ma molto condensato e interessante.
D. Da esperto maestro dell’arte della fotografia quali consigli/suggerimenti piò dare alle nuove generazioni di aspiranti fotografi?
R. Guardare molto i lavori dell’arte dei classici, perché la fotografia non è altro che il prolungamento tecnologico di quello che era la pittura un tempo.
Walter Benjamin nel 1934 scriveva un saggio “L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, che è importante perché spiega che l’opera d’arte si riproduce tecnicamente ma le costruzioni linguistiche sono sempre le stesse, quelle che fanno in modo che un’immagine sia comprensibile perché rispetta i codici di scrittura; in fin dei conti tutto quello che noi riusciamo a capire è perché viene costruito attraverso un linguaggio che in parte o totalmente ci è comune. Se non si rispettano questi linguaggi si fanno delle cose che non hanno nessun tipo di capacità comunicazionale.
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