E' strano: ma in questi disegni di Totò Amico, e negli altri che mi è stato dato di vedere, il mondo del lavoro - per Amico che è siciliano - è del tutto assente.
C'è il luogo: il campo, la terra bruna, l'albero, il muro a secco, ma restano elementi privi di una esistenza "sociale", dati che per se stessi non tendono a un significato condizionante. Vuol dire che la direzione di Totò Amico è diversa da un certo affannoso (talvolta affannoso) realismo che contraddistingue qualche cospicuo filone dell'arte isolana e meridionale; vuol dire che Totò Amico tende a rifiutare la funzione di cronista del suo paese che inevitabilmente sembrerebbe la parte (nel vario gioco delle parti) assegnata all'uomo dell'isola. Non vuol dire, però, che Totò Amico sia fuori dalla Sicilia, perché quei toni particolari, quei tramonti lussuosi e lugubri, quei colori di verde e grigio di alberi contorti e di macchie aggrovigliate, il rosso e il bruno della terra, il bianco delle pietre, gli stessi attoniti silenzi, sono colori e silenzi che la Sicilia possiede.
Quello che c'è in Totò Amico è la costante e quasi disperata esigenza di una fedeltà verso il mondo e insieme di una emancipazione dalla schiavitù verso le cose e verso una oggettualità fissata e limitante, a prò di un cromatismo che (pur tenendo di una esattezza ottica quasi da macchiaiolo) vuol essere esso stesso l'oggetto primo, la realtà quasi esclusiva, e che perciò si fa corpo, segno e significato.
E' il colore la cifra dei disegni di Totò Amico, ed è esso che in qualche modo spiega la "monotonìa" dei paesaggi, dove la diversità nasce soltanto dalle diverse vibrazioni, dalla varia e ricorrente dialettica: colore-luce, e proprio per restituire una condizione che nulla vuole avere di metafisico e di trascendente; perché lo spazio di Totò Amico è uno spazio chiuso, e il suo orizzonte non tende a suggerire un al di là di esso, bensì tende a riportarci all'interno del disegno medesimo, dove luce e colore riescono a comunicare una perplessità esistenziale, la sottile, intellettualistica inquietudine d'un mondo senza storia. La Sicilia, ancora. Ma restituita così: nel panico mortale di un tramonto, nella malinconia chiusa che nasce da un tronco roso dal tempo, la linee di colline dove l'uomo non passa, da una pietra insensatamente presente e che ha riflessi talvolta di acciaio.
E accanto a tutto questo, in una dialettica che si scopre necessaria, c'è la dialettica del silenzio. Noi viviamo nel silenzio del fracasso, aveva osservato Sklovskij. Il tema di Totò Amico è invece il silenzio e la sua significatività, quegli spazi raccolti e chiusi che sono la deliberata alternativa alla città, i colori rapidi che gremiscono la superficie, il macerarsi lento e inesorabile delle cose, il corso lungo della vita, l'albero che allunga il suo ruvido e affaticato tronco per esplodere improvvisamente nella violenta trasparenza d'un verde, nella viva ebbrezza delle sue foglie.
E le figure umane dei disegni in bianco e nero, le testine di ragazze, le vecchie col loro triangolo di volto che emerge da un cupo sfondo di scialle e d'agonìa, sono anch'esse cifre e metafore di questo silenzio che pur impone una sua presenza attiva e indocile, momento di un discorso dove la rabbia ha ceduto il posto a un lontano - e rifiutato - ricordo di dolore e idillio.
Sebastiano Addamo [Scrittore e poeta]
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