Alberi e volti di Totò Amico
Non sappiamo quanto valesse come pittore quel Carl Graf che nel 1815 pubblicò a Stoccarda due volumi di impressioni e notizie di un viaggio in Sicilia fatto qualche anno avanti, naturalmente seguendo l'itinerario di Goethe. Non molto, forse: ma le ventisei incisioni che accompagnano il testo hanno una certa immediatezza e felicità, e decisamente si discostano dai modelli, che allora dovevano essere ben presenti, del Saint-Non e dell'Houel quanto, per fare un esempio, un reportage di Cartier-Bresson si discosterebbe dal volume fotografico dedicato alla Sicilia dal Touring Club. Evidentemente al Graf i monumenti e i luoghi mitici interessavano relativamente: e se con la parola ne dà ragguaglio, col segno ne dà lievissima e lontana traccia. Le città, i templi greci, l'Etna si delineano appena sugli sfondi: mentre la campagna, gli alberi soprattutto, si accampano in primo piano assumendo, a contrasto dei profili appena tracciati di paesi, montagne e monumenti, una vibratile qualità di segno, quasi ad animarsi e a stormire. Questa attenzione alla natura è, si capisce, spiegabile nella differenza coi viaggiatori che lo avevano preceduto; ma ugualmente ci sorprende, un secolo e mezzo dopo, che il Graf rappresentando la campagna e gli alberi e, per cosìdire,individualizzandoli, abbia più o meno consapevolmente tentato un discorso sulla Sicilia realistico insieme simbolico che in un certo senso precorre quello che i pittori siciliani oggi fanno. Guttuso, Caruso, Mirabella (e tanti altri più o meno noti): ciascuno a suo modo, ma sempre cogliendo l'albero come teatro di quella metamorfosi, di quel mito, di quel mistero. E così è negli alberi che Totò Amico disegna e colora, nella campagna, nelle rocce: la natura sembra si sia appena richiusa (involgendo in una vita di radici e di foglie, nodi, schegge, rughe, immemoriali secrezioni e levigazioni) sull'uomo. Per cui sembra poi del tutto ovvio che sui fogli si realizzi come un processo inverso, per cui dalle rughe e dai nodi dell'antico ulivo, del mandorlo, riaffiori il volto umano, confitto nella pena della vecchiaia e nell'antica pena del vivere. E non voglio entrare, come si suol dire, nel merito, giudicare la sua pittura coi valori della pittura: ma mi pare che le sue cose siano tutt'altro che "facili", o lo sono nella misura in cui lo sono le cose vere e sentite; e che cioè dicano non soltanto di uno stato d'animo, ma di un modo di essere e di una condizione umana di cui la Sicilia è, dice un poeta brasiliano, "banco di prova".
Leonardo Sciascia [Scrittore]
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