Livia Carta e Giuseppe Segato
Una bipersonale che affianca quadri astratti di vibrante cromatismo alle sculture in marmo e in legno scolpito
Inutile attribuire ad altri significati, se non al profondo affetto che li lega, la scelta di esporre insieme i loro ultimi lavori alla galleria Polid’Arte di Spoleto, nel corso del festival dei Due Mondi. Esperienza peraltro tutt’altro che nuova per i coniugi veneti Livia Carta e Giuseppe Segato, artisti di indiscusso talento, affiatati nella vita quanto complici e compagni lungo il cammino della ricerca artistica, cui approdano con diversi linguaggi.
Livia Carta espone opere di carattere astratto, la cui viva espressione materica, mischiata alla pittura ad olio, le ha procurato ampi consensi sia in Italia che all’estero. Allieva di Saetti all’Accademia di Belle Arti di Venezia, l’artista trevigiana riporta nei suoi quadri i luoghi dell’esperienza, cercando di riprodurre sfumature e sensazioni attraverso il colore e la profondità della composizione. Forte di una cromaticità accesa e vibrante, ispirata agli elementi materici della terra e dell’acqua, indagati ampiamente nei precedenti lavori, volge oggi lo sguardo al concetto di spazio, alle masse che si muovono nel vuoto e che dal caos danno origine all’universo. Livia dipinge orbite apparentemente casuali inserite in un labirinto cosmico, dove la materia si fa carica di energia. Segni e cromatismi, a cui accosta materiali diversi, sabbie e cemento, inerti che si mescolano con movimenti dinamici e rotatori, conferendo spessore alla superficie. “Lo spazio”, “Infinito”, “Sole nero”, sono alcuni dei quadri presentati alla galleria diretta da Anna Maria Polidori. Tutto si riconduce alla dimensione di vastità, di solitudine ed isolamento, concetto che accomuna i passaggi del suo percorso artistico, dove assistiamo, rapiti dai bagliori pulviscolari creati dalla materia pigmentata, ai mutamenti provocati dal soffio del vento che ridisegna il profilo del deserto, al fluire dell’acqua che trascina la vita, e che rimanda al corso degli eventi, e dove tutto appare coinvolto in un continuo divenire. L’indagine espressiva si concentra, soprattutto nel ciclo dedicato all’acqua, alle atmosfere evanescenti prodotte dai vapori della laguna veneziana, dove il connubio tra acqua e cielo tende a confondersi in un unico afflato. “Luci a Venezia”, dedicata alla città che ama e che vive assiduamente pur abitando nel vicentino, ritrae i toni freddi dell’azzurro suggeriti dalla percezione visiva del cielo.
La sua pittura, basata su una modulazione armonica del colore, esteso per strati e sovrapposizioni, diviene strumento primario di un linguaggio che esplora l’interiorità e l’inconscio, attribuendo alla sua forza evocativa tutto un mondo di sensazioni e reazioni emotive. Un raffinato gioco cromatico che Livia riproduce anche con gli acquarelli e la tecnica grafica. Osserviamo ammirati gli originali e delicati monotipi, realizzati con una tecnica xilografica elaborata e complessa, basata su tre matrici colorate, appresa a Venezia da un maestro tedesco. Si aggiungono le opere ad olio diluito su carta, di stampo minimalista, come il “Libro della vita”, una composizione a prima vista speculare della forma che presenta al centro fratture, segni ed estensioni, che suggeriscono l’idea dell’oggetto. Tra le opere esposte, di grande suggestione il trittico intitolato “Il Soffio”, riferito al soffio nello spazio, e “Caos”, un magma caotico di luce e materia, caratterizzato da colature, dove il segno fluisce come la forza di un’energia cosmica. Perviene agli occhi dello spettatore una vasta gamma di linguaggi, con cui l’artista esprime le varie tematiche affrontate nell’evoluzione del suo percorso artistico, riuscendo ad riprodurre segni, colori, e trasparenze, elementi fedeli alla sua idea compositiva.
Giuseppe Segato, apprezzato chirurgo e artista di grande sensibilità umana, è un autodidatta. L’incontro col mito alimenta la spinta creativa che si manifesta in molteplici campi espressivi. Pur prediligendo l’arte scultorea, che libera dalla pietra marmorea l’idea di un soggetto in esso imprigionato, nonché l’ebanisteria, che incide la linea e la forma nel legno morbido e profumato del cimbero, non esclude altri linguaggi quali la pittura, il disegno e la grafica. L’applicazione alla scultura della pietra risale agli anni ‘70, e dà l’avvio alla sua produzione che, come afferma l’artista, non è amplissima, ma sufficiente a caratterizzare la sua tematica. “L’Acheo”, “l’Androgino”, “Ercole e Anteo”, chiari richiami alla cultura ellenistica, sono piccole opere realizzate in marmo di Carrara, che nell’ambito della sua attività scultorea si alterna a quello di racines, una varietà più friabile, ricca all’interno di venature e cristalli naturali. Alla pietra scavata e modellata, affianca piccole sculture in legno: “la Danza”, è una piccola struttura dove le figure ruotano in cerchio, fissate su perni mobili inseriti su una base in plexiglass. Un gioco di equilibri nel quale l’artista crea il movimento ispiratogli dal cerchio danzante dipinto da Matisse. “La tentazione di Eva”, “Giuditta e Oloferne”, sono soggetti ripresi dal vecchio testamento. La lettura dei classici lo conduce ad una interpretazione abbastanza fedele della tradizione, anche se è nell’esecuzione che si rivela l’originalità della sua arte. Segato ama la fluidità della forma e cerca di estrarla dalla materia, togliendo il superfluo. Sono realizzazioni di vuoti e pieni che appartengono ad una concezione moderna della scultura. Una rappresentazione della figura che tralascia la proporzione e il dettaglio della fisionomia, limitandosi alla sagoma e al profilo scolpito. Non è l’uomo ciò che l’artista vuole rappresentare, quanto piuttosto la sua verità, il suo essere oltre la materia. Segato indaga il concetto di anima, che indipendentemente dalle religioni, non ha aspetto. Questo soggetto è pienamente espresso in una piccola opera: una mano aperta di legno, ossia l’azione, che contiene l’anima, quindi il pensiero. Segato si chiede dove essa alberghi e se sopravviva alla nostra limitata esistenza. Dubbi che emergono indipendentemente dalla religione, cui Segato volge la sua indagine artistica. La sua arte è evocatrice di significati.Risponde all’esigenza narrativa dell’artista, che ama affinare la conoscenza del pensiero umano in tutte le sue declinazioni, partendo dalla dialettica classica di Platone, insistendo sulle leggende greche per giungere all’interpretazione dell’opera di Ovidio; percorrendo la strada tortuosa della filosofia hegeliana, per approdare alla parola divina contenuta nei testi sacri e nelle leggende ebraiche di Ginzberg. La conoscenza del sapere umano, che indaga il mistero della nostra esistenza, ci perviene anche attraverso il suoi libri d’artista dedicati a due episodi delle “Metamorfosi”, dove riproduce le forme e i colori del vasellame greco, e dai dieci pannelli sull’Apocalisse, esposti in una mostra a Vicenza in occasione dell’anno biblico. Opere monumentali di cui l’artista cattura l’essenza, tirando fuori dai contenuti il predominate significato incisivo.
Carta e Segato, due artisti, due linguaggi diversi, altrettanto le tematiche, che indagano i misteri dell’uomo, della natura che si manifesta attraverso i suoi elementi, dello spazio cosmico senza confini, alla ricerca di improbabili risposte, nel tentativo di svelare ciò che non ci è concesso sapere. Opere che già ad un primo impatto richiamano la nostra attenzione chiedendoci di andare oltre l’immagine, astratta o figurata, di ricercare, tra le linee cromatiche distese sulla tela e le pieghe incise nella materia, le verità che aneliamo raggiungere.
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Rosa Orsini [critico d'arte]
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