L’opera d’arte totale di Vittorio Rainieri, costruttore di forme e dispensatore di emozioni
L’opera d’arte totale di Vittorio Rainieri,
costruttore di forme e dispensatore di emozioni
Il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi non è un anniversario riducibile a semplice ricorrenza, una fra le tante che celebriamo ogni anno in Italia. L’Italia deve molto al maestro di Busseto. Verdi le ha dato prestigio continuando la tradizione della grande musica, tenendola così collegata, almeno in tal settore, alla grande cultura europea in un momento in cui, immemore dei fasti del passato, il Bel Paese non godeva certo d’immenso prestigio e non splendeva di grande fulgore.
Ma non solo per ciò: Verdi ha incarnato lo spirito del Risorgimento, l’anelito alla libertà intesa come valore primario e assoluto. La libertà politica ed economica fu per lui un valore equivalente alla libertà dello spirito, dell’affermazione della coscienza individuale. Il suo nome, prestato agli slogan del patriottismo (Viva V.E.R.D.I.) evocava altresì il rispetto e la venerazione di cui sono oggetto tutti i grandi della storia.
In ogni italiano, senza eccezione alcuna, lo spirito verdiano, rivelatore di sentimenti alti, è indice di profondo orgoglio, e ispira un senso di appartenenza a qualcosa che sconfina al di là del contingente o dell’estemporaneo. Possiamo immaginarci come tali sentimenti possano amplificarsi in tutte quelle persone che con Verdi condividono i luoghi, la lingua locale, i sapori e gli odori di quella terra che ha come punto di riferimento la bellissima città di Parma.
A Parma è nato infatti Vittorio Rainieri, artista d’ottima caratura espressiva, che non ha voluto rimanere insensibile alla ricorrenza verdiana e che, dunque, già dal 2009, ha iniziato a prepararsi su questo terreno specifico per omaggiare al meglio il grande maestro di Busseto con una iniziativa che non potrà non lasciare un suo particolare segno. Di cosa si tratta? Procediamo con ordine.
Forse non tutti sanno (ma i parmensi si) che nella città natale di Vittorio Ranieri esisteva una maestosa architettura, eretta nel piazzale antistante la stazione, per ricordare Giuseppe Verdi. Questo monumento, progettato dall’architetto Lamberto Cusani e dallo scultore Ettore Ximenes, consisteva in un arco di trionfo incastonato fra due ali di un grande peristilio semicircolare. Al centro stava un’ampia ara in granito (oggi risistemata in Pilotta) che esibiva un grande bassorilievo in bronzo raffigurante scene della vita di Verdi e altre ispirate alle sue opere.
Il monumento a Giuseppe Verdi, inaugurato nel 1913, rimase danneggiato nel 1944 da un bombardamento. Non era in condizioni di irrecuperabilità ma il Comune, con in mente ben altri progetti (sicuramente più remunerativi), sciaguratamente lo fece demolire. Rimangono come testimonianza della bella architettura eclettica solo nove delle ventotto statue in cemento che raffiguravano simbolicamente i ventisei melodrammi verdiani più la Messa da Requiem e l’Inno alla Guerra.
Vittorio Rainieri, dopo attente ricerche e documentazioni sul monumento scomparso, decide di impostare il suo omaggio di riconoscenza a Verdi cercando di far rivivere simbolicamente, coi mezzi della pittura (ma non solo), l’antico manufatto, con tutto il suo significato culturale e storico, estrapolando dalle partiture musicali e sceniche gli elementi più rappresentativi di tutto ciò che collega le arti visive alla musica.
Ciò comporta un’attenzione e una sensibilità del tutto particolari, anche se a Rainieri non è dovuto sfuggirgli il legame di parentela strettissimo che lega indissolubilmente le due discipline espressive. Altrimenti perché arti visive (soprattutto la pittura) e musica condividerebbero lo stesso lessico? Per entrambe le arti si parla di armonia, di timbri, di scale cromatiche, di ritmo, di composizione, di accordi, di spazio e tempo, di improvvisazione, di colori (o suoni) squillanti, di suoni (o colori) chiari e scuri, e via discorrendo. Sarà forse un caso? Per artisti del calibro di Seurat, Delaunay, Klee e Kandinskij, no. Per musicisti come Alexandr Scriabin, Wladimir Boronoff-Rossiné, Arnold Shönberg e tantissimi altri neppure.
Con tali convinzioni e con la coscienza dei propri mezzi, Rainieri inizia la sua dedica a Verdi realizzando delle opere in tutto corrispondenti alle statue contenute nel monumento verdiano dispiegando la sua salda poetica pittorica e considerando il soggetto obbligato non un elemento di limitazione creativa, bensì un cimento con cui raggiungere i più alti esiti creativi pur attenendosi fedelmente ai preesistenti caratteri dei personaggi.
L’artista nel raccontarli non tralascia niente e così, piuttosto che personaggi imbalsamati dal tempo e dalla storia, balzano dalle grandi tele (ciascuna misura156 x 106 cm.) in tutta la loro vitalità e in tutta la loro spavalda realtà quasi, nonostante i loro costumi anacronistici, come se si trattasse di personaggi del nostro tempo.
Nessun sentimento attribuito a loro viene dimenticato o, semplicemente, trascurato; tutti rivivono i loro ruoli con fedeltà storica. La cosa più interessante è però il fatto che Rainieri non utilizza il metodo pedante del verismo descrizionista ma quello, di gran lunga più efficace e poetico, dell’affioramento evocativo, supportato talora da appropriate simbologie di cui il ciclo di opere complessivamente abbonda. I loro complessi problemi, i loro profondi turbamenti, gli affanni, i tormenti e le gioie appaiono con l’universalità che è propria a tutti i grandi temi umani.
Fra i tanti simboli che potremmo andare ad evidenziare ve n’è uno, in particolare, di somma efficacia. Mi sto riferendo alla luce che non è atmosferica e impressionistica ma, piuttosto, di natura concettuale.
La luce di Rainieri ha una vocazione teatrale ma non è concepita, semplicemente, per far meglio risaltare i personaggi nel loro ambiente. E’ una luce che balena a guizzi fulminei con staffilate chirurgiche, che attraversa come lame taglienti lo spazio scenico, e che scandiscono un tempo metafisico, immobile, non convenzionale, che non fluisce, e uno spazio che si destruttura e si ricompone secondo leggi che non sono quelli della natura, ma quelli della mente e delle emozioni.
Si, la luce che Rainieri porta in scena ha una natura emozionale; essa svela il turbinare delle pulsioni e i sentimenti più intimi dei personaggi che pian piano prendono forma e si concretizzano nelle apparenze essenziali della verità sensibile. E una luce, infine che crea geometrie caleidoscopiche che appaga un bisogno di ordine e di chiarezza teorica mentre evoca efficacemente anche la luce dello spazio scenico distribuita e diffusa dai riflettori. E’ in tal modo che i personaggi verdiani di Rainieri diventano immortali. Immortali perché fuori dal tempo. Fuori dal tempo perché eterni.
Tanto tempo fa il grande Richard Wagner componeva il suo "Wort-ton-drama" (dramma teatrale di parole e suoni) che aspirava a un'arte globale in cui musica, parola, azione, scena, luci e colori, costituissero un'unità inscindibile. Egli pensava all’opera d’arte come ad un evento totale, qualcosa che superasse i generi artistici e anteponesse a tutto il risultato d’espressione al di là delle singole discipline che compongono l’immenso universo della creazione artistica.
Anche Rainieri pensa in grande. Questo evento dedicato a Verdi è un insieme di pittura, scenografia, musica e, per intensificarne il dato sensoriale, anche di gastronomia, di sapori e odori tipici dei luoghi di provenienza. E’ un evento che mira alla sintesi delle arti ma anche a risultati di armonia e bellezza, valori variabili nel tempo e nello spazio ma a carattere universale.
L’arte di Rainieri è fondata, oltre che sul parallelismo con la musica, soprattutto sull’assioma che essa debba essere compresa da tutti. Emozioni, vibrazioni e suoni devono assumere forme “solide”, tangibili. Trattandosi di un’opera frammentaria in quanto suddivisa in ben ventisette reparti (come in un ciclo rinascimentale), il risultato non poteva certamente dirsi scontato. Eppure l’artista ha saputo tenere saldamente in mano il filo della continuità stilistica e formale, della univocità e coerenza espressiva dei vari temi, spesso, per caratteri e temporalità, molto distanti fra loro.
“Lo spirito verdiano” di Rainieri è una di quelle opere insidiose che potrebbe presentare, per la sua complessità, falle di natura espressiva, contenutistica e comunicazionale; invece consacra l’artista come un grande narratore visivo; un vero regista di immagini, di forme e di emozioni.
Franco Migliaccio
Franco Migliaccio [ Critico d'Arte]
Hai bisogno di informazioni?
Vuoi chiedere maggiori informazioni? Lasciami un messaggio, risponderò al più presto