I Miei Testi - II
- Quando La Forza di un Sogno Affiora
Vivere nella incessante ricerca di quello che ci potrà completare e farci sentire “Uno”, unico. È quello che potrebbe essere l’ideale? La ricerca di perfezione dopo una disintegrazione provocatoria?
Enrico Bartolini prima scompone la “materia” per poi comporre la sua arte, una singolarità, visto che il bisogno di rifare e provare è in lui qualcosa di pulsante e vivente.
La tecnica utilizzata dall’artista è la frammentazione dei componenti, taglia il tessuto, ricuce e lamina con la vernice; così inizia il suo processo creativo.
L’artista esprime un sentimento restauratore e non solo, un sentimento dove l’elaborazione significa ricercarsi per trovarsi nel mondo, un mondo suo ma che deve appartenere a tutti nel momento in cui espone le sue idee e presenta le sue opere.
La materia utilizzata dall’artista, prima è maneggiata con calma, poi tagliata tempestivamente, quasi senza pudore, perche lui stesso sa quello a cui darà vita e significato in breve tempo, in modo da poter vivere il suo impeto artistico.
Pensare e ripensare, unire poco a poco le parti, fino a formare una sola immagine, una sola forma in un ricco immaginario dove le mezze sfere rappresentano la vita. Tutto che va ritornerà e così vediamo un immaginario di un creatore, le sue idee, i suoi pensieri, la sua arte, che definisce “Inevitabile”.
E l’arte è inevitabile, è una forza maggiore che emerge dell’essere artista per riempire l’atmosfera terrena e le anime che si permettono di sentire la voce della creatività.
Visionare l’arte di Enrico è lasciarsi andare per mondi emotivi, mondi in cui il cuore vivo potrà sentirsi a volte distante, altre volte tanto vicino al nucleo dell’Essere. Ricorda Paul Klee “ L’arte non riproduce quello che si vede, l’arte ci fa vedere” e per vedere bisogna immaginare, percorrere le righe “desertiche” di certe opere dell’artista, righe queste che ci porteranno a mondi lontani di solitudine, di cui gli esseri umani sentono la necessità in certo tempo dalla vita, per capirsi.
E dal momento che si comprende l’esistenza dell’essere si guadagna coraggio nel “proseguire”.
Le righe di un deserto freddo e vuoto ma pieno di speranza. Un cammino da percorrere e oltrepassare sopra un ponte non ermetico, un ponte apparentemente fragile, dove le linee provocano e fanno in modo che l’immaginazione si senta in vicinanza con i sentimenti, con un impulso forte e avventuroso verso la sfida: questa è l’opportunità che l’artista propone.
Vite Parallele è la continua ricerca di un “ Essere” che per “ essere” deve dispiacersi e conseguentemente piacersi, denudarsi per coprirsi e impaurirsi per acquisire passione e sostegno in se stesso nel andare avanti e così poter dire: Ci Sono!
Vittorio Veneto, ottobre 2010.
Monica Martins
- L' ESSENZA DEL CUORE
Al primo contatto con le opere dell'artista Ennio Montariello, si apre un ventaglio di domande.
In ogni spazio, fra colore e luce, fra il bianco e il nero che illuminatamente la matita fa esaltare nell'immagine, si può ammirare il “raggio della morbidezza” sulla carta che traspare vuoti quasi vivi.
La sensibilità si sfiorisce negli occhi, nel sembiante, nella pelle dei suoi personaggi. E tuttavia, nella creazione artistica del pittore possiamo anche sentire una turbinosa bellezza effusa nei corpi nudi che si presentano colorati, raccogliendo in sé l'unione dei caldi colori che insinuano parte dei “nostri esseri”.
Con le tracce tra la levità delle donne o con quello che si intuisce come l'aria chiara o notturna, si sveglia attraverso il colorato delle tinte un equilibrio armonico e di scoperta.
Vittorio Veneto – Aprile 2010
Monica Martins
(Pubblicato sulla rivista EuroArte - settembre 2010)
“Sinto saudades de tudo que marcou a minha vida.
Quando vejo retratos, quando sinto cheiros,
quando escuto uma voz, quando me lembro do passado,
eu sinto saudades...”
(Clarice Lispector)
- I Colori di una “Nostalgia”
Consumarsi, arrendersi e trovarsi in un profondo sentimento, che innalza tutta una interiore e singolare storia.
Geovana Cléa nella sua creazione artistica compone le sue opere con la forza vivente nell’anima.
La forza di chi ha bisogno di rivelare al mondo quello che per la pittrice è fondamentale: la sua esistenza, la sua nostalgia di vivere lontano dei sapori della sua infanzia.
I colori viventi, l’oro che risplende insieme alle forme astratte, ambientano gli spettatori ad una leggera atmosfera spaziale, dove si può lasciarsi assorbire dalle immagini che, come la magia creativa dei ludici giocattoli, configurano la interiorità singolare esistente ad ognuno di noi.
Geovana fa l’esaltazione dei colori, li manipola e li fa interagire con i sentimenti veri che germogliano dal suo “Io”. Alcune delle sue opere accolgono la fantasia in modo blando, avvolgente, in’altre ostinatamente l’artisticità rompe lo spazio come un fulmine.
In quest’area di luminosa forma creativa, l’artista in certi momenti contraddice la calma del “blu marittimo” come nel quadro “Fligt to Brasil” e impetuosamente emerge con vigore nell’opera “Black Queen”.
Quest’ultima opera piena di energia e fugacità si mescola con “l’urgenza” dell’esistere e conseguentemente con la “fretta”.
Verbalizzando uno dei suoi sentimenti si chiede l’artista nel suo poema “Fretta Cara Fretta”: Che emozioni mi dai fretta?... E come faccio per farti dormire? e cosi riuscire a fare il mio cuore battere forte senza la tua corsa, ma per l'amore della vita! .
Fra la calma e la fretta, fra il chiaro e il buio, fra il certo e l’incerto… questo senso di dubbio/dolore, bene spiega Schopenhauer : “Abbiamo bisogno in ogni momento di una certa quantità di dolore o di privazione come una nave ha bisogno della zavorra per mantenere stabilità”.
In questo coniugare dell’arte e di vita Geovana Cléa traccia il suo significato, esprimendosi sa rendere viva la sua “voce” e la sua Arte.
Dentro a questo suo “mondo” l’artista trova la realizzazione e la felicità, celebrando e annunciando: così mi sento felice, così mi sento a “casa”!
Vittorio Veneto, giugno 2011.
Monica Martins
"Il grande poeta, mentre scrive se stesso, scrive il suo tempo."
(T. S. Eliot)
- Il Tempo Idealizzato
L’idea: travolgente enigma mentale che emerge prodigiosa nella nostra mente. Portandoci “ad uno” tutt’altro, a mondi diversi da quelli visibili, mondi non palpabili, mondi nostri dove la memoria - solenne madre – e l’immaginario, ci guidano.
Il bianco davanti agli occhi di chi con una penna in mano esprime sul cartaceo l’idealizzazione di un pensiero, di una visione, di un ricordo, di una vita!
Le tracce cominciano a guadagnare forme varie. L’illusorio, libero, raffigura quello che è l’essenziale agli uomini: lasciare un ”segno”: una forma di tramandare l’esistenza umana.
Tra realismo e sogno, possiamo vedere nei disegni di Andrea Jacchia la forza di un essere che “parla” attraverso le sue immagini. Possiamo anche fare un viaggio mentale e immaginario, quando l’artista attraverso la lettera “A”, una delle sue opere, ci trasporta alla sfinge in Egitto. Questa porta alla fronte un segno: Una stella? Sarebbe questo un segno di potere? Di singolarità? Forse si. Ma soprattutto ci trasporta all’incanto di un vivente mistero. Questo incidibile nel tempo: signore di tutta un’esistenza, di tutto ciò che sta per avvenire e di tutta la reminiscenza immaginaria e vitale.
Come bene ricorda Gilbert Durand: “ ‘E in lei “ L’immaginazione” che passa la donazione del senso e dove funziona il processo di simbolizzazione, in cui il pensiero degli uomini... i sogni e l’immaginario si insinuano nei desideri presi da una “realtà” inerente.
I disegni di Jacchia elaborano una forma di “realismo” che si oppone allo “schematico” , all’esattezza del visionario.
La creazione dell’artista si presenta verso l’originario di un “Io” artistico nel suo processo creativo, in cui chiede ausilio alle parole per perfezionare con affezione le sue opere.
Trova la “sicurezza” nell’abbandonarsi passivamente; la creazione inonda l’artista, portandolo a realizzare quello che il suo universo visionario ha lasciato intrinseco nel suo essere.
E con questo suo linguaggio pieno di riflessione Andrea Jacchia regala ai suoi spettatori motivi di vivere un perenne viaggio.
Vittorio Veneto, giugno 2011
Monica Martins
“ La sola arte di cui mi accontento è quella che, elevandosi dall'inquietudine,tende alla serenità “
(Andrè Gide)
- La Carezza di un “Porto”
La diversità stilistica e di “movimento” fanno dell’arte contemporanea un insieme armonioso, dove la creatività assume forma inusitata, insinuante e irreverente.
La memoria riporta gli artisti ai loro mondi, dai loro antenati e anche da quel “futuro immaginativo” abitante in ogni mente umana.
L’interessante è pensare che “oggi” gli artisti si esprimono con la sperimentazione evocativa di tutto quello che portano nell’anima. Suscitando così la differenza con l’arte antica: dove il produrre arte era sempre in pro di qualcuno oppure di qualche entità.
L’arte creata da Loredana Mortellaro ci riporta alla antica civilizzazione mesopotamica, che per mezzo del “mosaico” – oltre a significare il “senso della “pazienza delle muse” - raccontava il momento di quella attualità. L’artista partendo della frammentazione costruisce la sua arte conducendo il suo spettatore a ricostruire mentalmente, attraverso la visione e la storicità, un insieme di armoniosa riflessione.
Con questo suo modo di dare vita alla sua arte, Loredana invoca le mani, i fiori, i volti di personaggi suoi, dove la percezione riportata nell’inconscio è involta in un clima di atmosfera “temporale”, sentita dai colori, dai “profumi”, dalla durata di tutta una esistenza, dalla saggezza che conduce alla vivenza.
Nell’opera intitolata “Inno alla Luce” si scorge la raffigurazione del “passaggio”, dello storico/memorabile. La forza vitale dei girasoli che sfolgorano con discretezza le mani raffigura un “percorso”, in particolare: un tempo di tutta una umanità.
Loredana Mortellaro, palermitana, ha in sé la magica luce di un “ porto” che la circonda. Essendo la città di Palermo accarezzata, non soltanto, per il mare, il sole, i colori, ma soprattutto per tutta una contagiante e emozionante cultura storica.
Città di numerose conquiste, di molteplicità culturale, avuta dai fenici fino ai romani e da tanti altri popoli.
Vittorio Veneto, giugno 2011.
Monica Martins