Presentazione di Franco Rizzi
“Terre d’acqua e altre emozioni” Verano, 15 marzo 2014
Mario Piana
La mostra ha un titolo suggestivo, “Terre d’acqua e altre emozioni”, che ci fa subito pensare alle risaie, alle marcite, alla Lomellina, un territorio che confina con Casale Monferrato dove l’artista è nato e dove ha trascorso parte della sua giovinezza.
Nella mostra, come vedrete, c’è molto di più, c’è l’acqua dell’Adda, l’odore del Naviglio in secca, ci sono i paesaggi lacustri, l’acqua della laguna, i boschi e gli alberi di Fontainebleau, il tema della città su cui sta attualmente lavorando…
Poi ci sono le colline. Ecco, se io dovessi dire Gaminella, o collina della Gaminella, forse molti di voi mi guarderebbero stupiti….alcuni forse potrebbero ritrovare un vago ricordo letterario…. Si, la collina della Gaminella, è la collina della luna e i falò, la collina dove rivivono i miti ancestrali, la luna che regola il trascorrere delle stagioni e detta il tempo al lavoro dei contadini, i falò che nelle notti d’estate incendiavano le sagre di paese. Gaminella è una di quelle colline mandate a memoria e ripercorse incessantemente da Cesare Pavese.
Perché vi racconto queste cose ? Perché proprio le colline di Pavese, sono state il tramite tra me e Mario Piana e in un certo senso giustificano, o comunque rendono ragione, del fatto che io sia qui oggi a presentare la sua mostra.
Pavese ci ha fatto rincontrare, a distanza credo di 25 – 30 anni, da quando io seguivo come cronista politico le vicende dei comuni della Brianza e lui, laureato in architettura, sedeva in consiglio comunale occupandosi delle vicende urbanistiche di Carate con la cura, la precisione, il metodo, il rigore partecipativo e morale che oggi mette nei suoi quadri.
Sto lavorando in questi giorni ad un testo che mi ha portato in diversi luoghi e mi ha fatto incontrare alcune persone: nell’atrio di una scuola superiore mi ha colpito una bacheca con appesi tanti volantini e, sopra, come fosse una cornice, una frase che diceva, il bello dell’educarsi al bello. Poi, qualche giorno dopo, una persona mi ha detto una cosa che declina, in un certo senso completa, il primo pensiero: solo la bellezza introduce alla conoscenza per cui, unendo i due concetti, deriva la necessità di educarsi al bello perché solo la bellezza ti consente poi di conoscere.
Questo, in fondo, è ciò che oggi siamo chiamati a scoprire nelle sue opere, il gusto estetico, la bellezza come strumento per consentire il viaggio verso la conoscenza.
Una pittura di conoscenza – mi diceva ieri – ti mette al riparo da possibili scoramenti di fronte alle difficoltà della pittura stessa…
Ecco, soprattutto mi colpiva l’idea del viaggio, non soltanto per la molteplicità dei luoghi che qui vedrete rappresentati, ma soprattutto perché dietro quei luoghi c’è la memoria, la ragione stessa del suo dipingere: il suo amore per i colori freddi dei paesaggi del Nord, l’Islanda, la Bretagna, la bassa Normandia, la baia di Mont san Michael, e lui impressionato nel contemplare il momento in cui all’improvviso monta l’alta marea e allo stesso tempo preoccupato nel vedere lo scempio che di quei luoghi stanno facendo – dicono – per favorire il turismo, per poi ritornare ai più caldi colori delle colline del Piemonte che per lui hanno un fascino pari a quello delle pianure lombarde.
Appassionato da sempre alle arti figurative, ha ripreso a disegnare e a dipingere con continuità, soltanto quando la fine dell’attività lavorativa glielo ha permesso, dopo anni di lavoro dedicati all'Urbanistica e alla conservazione dei Beni Ambientali. Ma dentro di lui covava una voglia a lungo repressa, derivante da una naturale inclinazione a dipingere e dall’aver frequentato il liceo artistico.
Ha iniziato tardi, ma ha bruciato le tappe, come se avesse fretta di dire, come se avesse urgenza di comunicare il carico di emozioni che sentiva dentro, aiutato in questo dall’incontro con coloro che sono stati e sono ancor oggi i suoi due principali maestri, Ettore Maiotti e Luisella Lissoni.
A lui piace sfruttare le molteplici opportunità che l’acquerello gli offre. Per questo, non chiedetegli se abbia uno stile particolare o se prediliga una tecnica specifica tra quelle che l’acquerello consente: a lui piace dipingere adeguandosi alle situazioni, per questo alterna l’acquerello alle tempere o ai pastelli.
La sua pittura è fresca, solare, una pittura che piace, che avvince per il suo carattere di genuinità e di immediatezza.
I suoi lavori risultano ricchi di trasparenze e pieni di luce.
Il tratto appare sottile e senza sovrapposizioni, anche perché la tecnica non consente di correggere un segno poco riuscito sovrapponendone un altro a quello già fatto.
Per ottenere dei buoni risultati, è necessario acquisire una buona tecnica. E Piana in questo è maestro, rigoroso e metodico: disegna, sperimenta, confronta, studia, analizza, sino ad arrivare ai risultati che potrete vedere nella mostra.
Da un lato la terra, vissuta con dedizione e passione, la terra scelta come il suo spazio vitale, dal quale traspaiono i colori della natura, il calore del sole, il fresco dei boschi, le semplici architetture delle case o delle abitazioni rurali, i tetti di Praga….
Dall’altro l’acqua, con le sue trasparenze, i suoi giochi di luce…
Non importa che siano quelli degli ambienti marini o quelli ambrati delle marcite.
L’effetto coloristico offerto dai suoi cammini d’acqua, i suoi chemins d’eau, come lui li chiama alla francese, è garantito.
Terra e acque si caricano di significati, hanno il sapore del mito sacrale, che viene rivissuto, attualizzato.
In mezzo, come in uno spazio ideale, le emozioni suscitate dalle sue opere. Lui propone in modo garbato, quasi non volesse turbare chi osserva, ma sono emozioni che ti colpiscono nel profondo, si fanno strada dentro di noi e vi rimangono a lungo, a volte con il vago sentore di una malinconia diffusa, a volte con il colore delle nebbie, la voce dei ricordi, il suo mondo insomma, quel mondo che oggi mette a nostra disposizione perchè ci sia possibile approfittarne.
Di norma io non faccio paragoni, non faccio accostamenti, anche se nel suo caso sembrerebbe doveroso, oltre che logico indicare almeno gli acquarellisti inglesi, che lui studia da tempo o, tra gli americani, Winslow Homer che lui apprezza moltissimo.
Vorrei però dire che quando ho visto per la prima volta i suoi lavori, mi sono tornati in mente degli acquerelli che avevo visto a Zurigo e poi nella loro sede più naturale, la casa museo di Montagnola a Lugano. Mi riferisco alle opere di Herman Hesse, si proprio lui l’autore di lingua tedesca del novecento più letto nel mondo, il quale ad un certo punto della sua vita ha capito che la parola non era più sufficiente a esprimere ciò che sentiva dentro e, pertanto, ha fatto ricorso alle immagini. Nei lavori di Hesse c’era un disegno più geometrico, un segno a volte quasi infantile, un maggior lavoro introspettivo, dato che si era avvicinato alla psicanalisi e alla spitualità orientale, ma garantisco che l’approccio al paesaggio e la modalità del colore, il passare con facilità dai toni freddi a quelli caldi, appaiono davvero molto simili.
Alcuni critici che si sono occupati di Piana e della sua pittura, hanno parlato di una tranquillità di fondo, di una serenità che gli deriverebbe dalla contemplazione delle cose più semplici, come per esempio quando dipinge le nature morte.
Io non sono del tutto d’accordo su questa interpretazione: sicuramente possiamo parlare di delicatezza, soprattutto nell’uso del colore, di eleganza formale, di un’armonia fluente e godibilissima, ma personalmernte credo che il suo dipingere sia frutto di un lavoro interiore sofferto, a volte lacerato e lacerante, che intinge il pennello nei colori del dubbio, la pittura di chi non ha certezze precostituite ma è sempre in posizione di ricerca, di chi non dipinge per sorprendere, per stupire, ma piuttosto per poter avere la possibilità di dialogare e confrontarsi.
Avevo iniziato con una citazione letteraria e con una citazione letteraria voglio terminare per dire che questi luoghi, questi paesaggi fangosi, queste terre amate nel profondo, sono anche le terre, i luoghi, le colline partigiane, di un altro suo illustre conterraneo, Beppe Fenoglio, che lui da qualche tempo sta rivisitando, scoprendone e portando in luce aspetti sempre nuovi.
Pavese diceva che non c’è nulla di più triste dell’alba di un giorno in cui nulla accadrà. Io credo che per noi oggi, il solo fatto di essere stati qui a visitare questa mostra e a educarci al bello, contemplandolo nei suoi lavori, sia qualcosa che davvero ci possa far sentire assolutamente appagati.
Franco Rizzi [Giornalista]
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