Equilibri contrapposti
EQUILIBRI CONTRAPPOSTI
personale presso Palazzo Genovese, a cura e con il procinio del Comune di Salerno
Le figure a mano a mano finiscono risucchiate come in un vortice – è lontana memoria di un linearismo già veduto nella voga simbolista di secondo Ottocento – che le trascina altrove, le sperde in tante tracce, le fa fine pulviscolo atmosferico; altrove è lo sgranato alla Turner, prossimo al puntinismo, a smussarne i volumi, a sfumarle. Questo è l’antefatto dell’esperienza pittorica di Mariangela Calabrese, il suo prima; il qui ed ora del suo work in progress contempla pure che a tratti, sporadicamente, le preesistenze affiorino, nella forma di linee solo accennate, di incerte trasparenze fossili, di velati ectoplasmi di una figurazione già stata; epperò l’azzurro vi recita oggi la parte da protagonista e calca la scena pressoché in assolo.
Azzurro è il colore eletto dell’aria e dell’acqua, il loro colore per antonomasia. Non che la terra e il fuoco, per stare alla teoria presocratica dei fondamenti e dei costituenti dell’essere, non siano della partita, ché anzi quando prende a pretesto scene e personaggi della tradizione d’arte e di letteratura, o quando costruisce per accostamenti e per variazioni le tessere seriali del suo “discorrere” espressivo, o quando apre un dialogo con il contesto in cui vivono le sue installazioni, Mariangela Calabrese addensa i rossi e li vira sul marrone e mixa adoperando il verde. L’aria e l’acqua, nondimeno, rimangono dominanti; e tutto è riportato all’azzurro e tutto dall’azzurro parte per tornarvi: un azzurro ora più forte e denso, ora diluito e sbiancato fino all’evanescenza: un azzurro comunque.
La semantica dell’azzurro dell’aria e dell’acqua dice tanto, insieme: dice di una condizione cangiante e plurima che non ha termine, dice di una trasmutazione ininterrotta in cui trova regola qualunque esistenza, dice dell’origine della vita che nasce dall’acqua, dice di una leggerezza che si fa volo, dice di un politonalismo che è potenzialità di accordatura armonica ed è voluta prossimità a partiture atonali, dice di una ariosità e di una acquosità della pittura che ambisce così a conoscere tutte le diramazioni e non solo la via maestra, ad esplorare tutti gli interstizi penetrandovi con la sua strumentazione polisensa, a suggerire il movimento e la sua profonda necessità antropologico-umana.
Mariangela Calabrese fa leva sull’azzurro. E ne fa spazio di riflessione tra presenza e assenza, essere e non essere. E ne fa territorio di viaggio sulle rotte segnate dalle emozioni e dal pensiero, dalle riflessioni intorno alle grandi questioni sospese sulla condizione della specie dell’uomo. E ne fa schermo su cui si proiettano e scorrono sequenze riscritte della letteratura che ha accompagnato con il suo ritmo la nostra formazione, da Virgilio a Dante. E ne fa bacino di pesca per la memoria. E ne fa equivalenza di suoni in musica. E ne fa libro che ospita citazioni memorabili, di conforto all’umana compagnia. E ne fa immensità a cui abbandonarsi. E ne fa luogo ospitale per raccogliere e fondere le lingue svariate dei diversi gesti creativi. E ne fa culla e ne fa persuasa approssimazione alla ineluttabilità della fine.
Mariangela Calabrese riconduce la terra e il fuoco all’acqua e all’aria; e consegna i colori alla mutabilità dell’azzurro in una pittura che percorre i confini lungo tutto l’informale, mantenendosi sempre fedele, tuttavia, alla voglia di esprimere, alla responsabilità di significare.
Prof. Marcello Carlino [Docente Università La Sapienza Roma - Critico d'arte - Scrittore.]
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