NOTA CRITICA Luca Nannipieri
di Luca Nannipieri
Marco Catellani si è imposto, nel panorama italiano, con uno stile talmente riconoscibile e distintivo che, non più tardi di qualche decennio, avrà anche epigoni o emulatori che chiameremo catellaniani. Tutti gli artisti infatti che - nella modernità - si caratterizzano con una forma espressiva archetipica, inevitabilmente, che lo vogliano o meno, generano una figliolanza che a loro si ispira. Quanto più la forma è archetipica tanto più i succedanei sono molti. Non è un caso che le Marilyn Monroe di Andy Warhol abbiano avuto molti più riciclatori o emuli delle nature morte di Giorgio Morandi o delle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico; non è un caso che le figure bulimiche di Botero siano ripetute da svariati allievi, che i mezzi busti paffuti di Antonio Bueno abbiano germinato più discendenze dei volti espressivi e drammatici del fratello Xavier. La forma archetipica è iconica e l'icona, grandiosa o modesta che sia, genera seguito e tendenza. Le opere di Catellani non rappresentano uomini, ma archetipi di uomini, simulacri della figura umana, ominidi, uomini macchina, uomini profilo. In questo loro essere archetipi, cioè impronte, marchi, diventano iconici. Perciò, negli anni a venire, a seconda della fama e del riconoscimento pubblico dell'artista, è prevedibile che la sua arte produca una significativa filiera di successori. Le figure umane, post-umane, di Catellani, impassibili, senza espressioni di sentimenti, senza delineamenti specifici, che invece dell’unicità e dell’irripetibilità delle nostre rughe, degli arrossamenti, delle tessiture epidermiche dei nostri volti, dei nostri corpi, hanno la ripetuta meccanica dei rulli, dei dadi, dei bulloni, della produzione in serie, tipiche del modello industriale, queste figure umane, post umane - dicevamo - sono certamente moderne, ma hanno una lunga tradizione alle spalle. I primi millenni dell'arte e dell'espressione umana sono caratterizzati da figure archetipiche, prototipe, come quelle che oggi Catellani attualizza con efficacia: la Venere di Willendorf (25.000 anni fa) esemplarizza la figura della donna attraverso l'abbondanza dei seni e delle curve: il volto non esiste, ciò che rende individuale una persona non esiste. Esistono i lineamenti che sono quelli di tutte le donne, di tutte le madri. La sua forma archetipica, dal momento della sua scoperta ad inizi Novecento, la renderà icona per svariate sue riproduzioni fino ai nostri giorni (al punto che attrici come Sophia Loren e Monica Bellucci devono molto della loro celebrità all’abbondanza dei loro seni, che si rifanno alla tradizione millenaria della fertilità femminile, espressa nell’arte con l’esuberanza delle mammelle in migliaia di immagini iconiche). Ma anche la Sfinge egizia della necropoli di Ghiza, le statue dei faraoni dei templi di Karnak, Luxor e Abu Simbel, la maschera funeraria di Tutankhàmon, sono immagini che, pur spersonalizzando ciò che rappresentano, diventano impronte, marchi dell'identità umana stessa. Anche i Tori androcefali degli assiri, i bassorilievi sumerici, gli idoli dell'arte cicladica, al pari delle immagini dei papiri egizi, non ritraggono nei dettagli, nelle fattezze, nei minimi particolari, un particolare re, un particolare sovrano, un particolare guerriero. Effigiano l'immagine iconica del re, del sovrano, del guerriero, così come nell'arte greca e romana il Discobolo esemplarizza la virtù fisica dell'uomo atleta, la Venere di Milo idealizza la soavità della figura femminile. Marco Catellani, nel nostro tempo, attualizza quella spersonalizzazione della figura umana, tipica per millenni della nostra arte. Come artista non è partito immediatamente con questo stile. Il suo è stato, però, un veloce maturamento. Dopo una vita passata a far coesistere il bisogno di pittura con una diversa professione per vivere, ha potuto dedicarsi esclusivamente alla ricerca artistica in età matura, dal 2006. Prima ha cominciato con prove di cantiere dedicate al paesaggio, alla natura morta, a ritratti e figure espressionistiche, a composizioni astratte. Il raggiungimento del suo personale stile, che deve molto alla Pop Art, lo affina intorno al 2013-2014, quando infatti cominciano le mostre personali di un certo riguardo. Adesso la sua espressione è inconfondibile, come ben individua Vittorio Sgarbi prefacendo il catalogo editato da Prearo Editore. Ma che cosa colpisce nelle sue opere? Che cosa le rende così stregonesche? Colpisce, soprattutto, un'evidenza: il fatto che, pur non rappresentando la figura umana così come ci appare a nostri occhi, queste opere sappiano indagare a fondo la nostra inquietudine. Anzi i suoi ominidi, il loro essere replicanti uguali a se stessi, come in serie, ci turba, genera silenzioso sbalordimento, conturbazione. Se queste figure possono essere uguali a se stesse, senza personalità individuali, finiremo anche noi umani un giorno per essere identici e indistinti? La nostra natura sarà quella di essere una macchina fatta in serie, clonata in migliaia di multipli che non si distinguono l’uno dall’altro? Questa domanda insidiosa e maledetta, profondamente moderna, nasce guardando le opere di Catellani, ed è nella modernità di questa domanda, nell’inquietudine che sa generare, che risiede la sua unicità d’artista, e la sua forza.
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