Nuove conferme sull'utilità dell'Arte come Terapia

Lug 0812
Nuove conferme per l’utilità dell’Arteterapia
Pubblicato da Emanuela Zerbinatti alle 12:07 in Arteterapia, Neuroscienze
L'urlo di Munch secondo un paziente_Granada.jpgL'arteterapia funziona bene nei pazienti con disturbi mentali acuti. Non è una novità assoluta: una delle prime e principali applicazioni di questa terapia è proprio la cura di problemi di natura psicologica o mentale, ma il nuovo studio condotto dai ricercatori dell'università di Granada aggiunge un ulteriore tassello a quanto già saputo. La ricerca realizzata con l'aiuto di Elizaberta López Pérez, laureata in Belle Arti e specializzata in pittura presso la stessa università, è il primo studio sull'arteterapia realizzato in Spagna e questo è già un punto di svolta.
Il suo lavoro, basato su principi psicoanalitici, parte da una premessa fondamentale: un opera d'arte è un segno formato come elemento vitale la cui traccia materiale essenziale è l'umanità dell'uomo che lascia la sua memoria nel mondo.
Delle origini dell'arteterapia, o terapia realizzata attraverso l'arte, abbiamo già accennato altrove. Qui basterà ricordare che si tratta di un approccio psicologico nato intorno alla metà del XX secolo, per utilizzare le arti visive a scopi terapeutici. Essa si basa sull'idea che le rappresentazioni visive, o la realizzazione di oggetti attraverso materiale plastico, possono contribuire alla costruzione di un significato per i conflitti psichici e favorirne la risoluzione. In particolare la rappresentazione plastica sarebbe, da questo punto di vista, un processo di costruzione riflessa.
Al fine di svolgere la sua attività di ricerca, López Pérez ha lavorato per più di un anno con 20 pazienti psichiatrici in fase acuta provenienti dalla Comunità terapeutica dell'Ospedale di Granada Virgen de las Nieves, i quali partecipavano volontariamente a sedute di terapia due volte la settimana durante le quali dovevano reinterpretare dipinti di artisti come Modigliani, Munch e Van Gogh, offrendone una loro personale visione (nelle immagini due dei dipinti realizzati).
Modigliani secondo un paziente_Granada.jpgNell'articolo, la ricercatrice dell'Università di Granada mette in evidenza, in particolare, il carattere liberatorio dell'arte per questi pazienti, che riescono a proiettare fuori da sé il loro mondo interiore e i loro desideri repressi attraverso i dipinti o gli altri oggetti artistici realizzati. In questo modo, imparano ad affrontare paure e desideri portati alla luce e resi "reali" durante il processo artistico in cui è possibile sia creare che distruggere.
Non ho ancora letto l'intero studio, però Luigino Bardini, il nostro esperto di arteterapia, magari potrebbe chiarirmi se questo compito di reinterpretazione è pratica comune nell'arteterapia e se mira a raggiungere un obiettivo preciso, non raggiungibile lasciando libero il paziente di realizzare quello che vuole o dandogli un compito più preciso ma senza un modello davanti. È vero ciascuno di noi, anche quando realizza qualcosa di "artistico" senza un "modello" davanti, si rifà o reinterpreta comunque in base al suo mondo interiore un modello che ha in testa e che gli deriva dall'esperienza nel mondo reale, però mi piacerebbe capire se ha un suo significato affidare un compito così direttivo e almeno all'apparenza meno libero e creativo rispetto ad altre soluzioni che si potevano prendere.
In attesa di avere una risposta a queste mie domande da ignorante in materia, vi posso dire che i lavori prodotti nel periodo di studio dai pazienti hanno dato vita a un'esposizione intitolata The fugitive memory organizzata dal Vicerettorato di Studi Extramurali dell'Università di Granada e tenuta a Corrala de Santiago nel 2003. Non so se anche questa è una prassi nell'arteterapia, ma per quello che ne capisco, credo sia importante per i pazienti vedere che le loro proiezioni interiori nel mondo reale vengono anche viste e quindi riconosciute dagli altri che nel caso dei pazienti con difficoltà di natura psichica sono quasi sempre entità da tenere a debita distanza o da temere. Spero che Luis possa chiarirmi anche questo dubbio, ma non so se le finanze in cui versa la sanità italiana consentirebbe di realizzare mostre foss'anche per il bene del paziente: mi sa che rimane tutto nelle mani dell'iniziativa e degli sforzi degli arteterapeuti che si arrabattano come possono.
Fonte: ScienceDaily
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Tag: Amedeo Modigliani, arteterapeuta, arteterapia, arti visive, dipinti, Edvard Munch, Luigino Bardini, malattia mentale, pittura, scultura
Commenti
1. Luis, Sabato 12 Luglio 2008 ore 13:56
Emanuela innanzitutto grazie per l'opportunità che mi offri di parlare dell'Arteterapia. La tua sensibilità ci permette un momento di confronto su un argomento complesso rappresentato dai diversi orientamenti dell'Arteterapia. La tua modalità di presentazione del post consente di approcciare l'AT con un atteggiamento aperto e libero da pregiudizi e schematismi rigidi e improduttivi.
Tu scrivi:
"Al fine di svolgere la sua attività di ricerca, López Pérez ha lavorato per più di un anno con 20 pazienti psichiatrici in fase acuta provenienti dalla Comunità terapeutica dell'Ospedale di Granada Virgen de las Nieves, i quali partecipavano volontariamente a sedute di terapia due volte la settimana durante le quali dovevano reinterpretare dipinti di artisti come Modigliani, Munch e Van Gogh, offrendone una loro personale visione (nelle immagini due dei dipinti realizzati)."
Qui si entra nel setting terapeutico e si osservano alcune modalità di conduzione della "seduta di AT". Io, per ora, mi limiterei a ribadire l'importanza di creare un contesto terapeutico che favorisca la libertà espressiva. Disegnare, dipingere, scolpire, manipolare, interpretare un'immagine (copia), ecc... sono tecniche artistiche che collocate in un setting espressivo particolare, possono acquisire un'importante valenza terapeutica. Si opera per favorire l'espressione spontanea del paziente, libera da resistenze e inibizioni, al fine di esteriorizzare in termini analogici e metaforici il proprio mondo interiore.
Pertanto, e qui vengo alla tua domanda, la nostra scuola (vedi Lyceum- Vitt.3 Milano) ha un'impostazione più libera e meno direttiva. Penso comunque che Elisaberta Lòpez Pérez abbia fatto un lavoro significativo e importante basato " sull'idea che le rappresentazioni visive, o la realizzazione di oggetti attraverso materiale plastico, possono contribuire alla costruzione di un significato per i conflitti psichici e favorirne la risoluzione. In particolare la rappresentazione plastica sarebbe, da questo punto di vista, un processo di costruzione riflessa."
A presto... per le considerazioni circa una eventuale esposizione dei lavori creati in un contesto di Arteterapia.
Luis
2. Emanuela Zerbinatti, Sabato 12 Luglio 2008 ore 17:25
Sapevo di poter contare in una tua risposta ricca di altri spunti di riflessione. il discorso che fai sui diversi approcci di AT mi fa venire capire quanto poco si sappia di questo campo che pure ha tutto per risultare affascinante. Agli occhi dei più l'AT è un modo per "intrattenere", tenere occupati con un attività piacevole divertente e rilassante che, tra l'altro richiama l'infanzia in modo da distrarre il paziente dai suoi reali problemi.
Quelli un po' più sensibili alle varie dinamiche mentali o alle virtù intrinseche dell'arte, magari riescono ad intuire un po' di più le problematiche e il tipo di lavoro che l'arteterapia cerca di affrontare con i pazienti.
ma nemmeno questi riescono a pensare che l'AT posso avere un suo progetto di fondo che viene disegnato sul e con ciascun paziente e rivisto in base ai risultati che di volta in volta questo rimanda coi suoi miglioramenti o peggioramenti o blocchi espressivi. Progetti che sono così pregnanti da aver dato origine a diversi approcci e scuole di pensiero che ciascun terapeuta adotta secondo la propria sensibilità e, mi auguro anche secondo quella del paziente.
In effetti non mi aspettavo che mi avresti detti che si un approccio così direttivo è prassi comune, né che avresti denigrato la collega dicendo che è poco terapeutica una simile direttività. Mi piace la tua onestà intellettuale. IL mio dubbio però nasceva per due motivi principalmente.
Il primo è che la mia scuola di psicoterapia si fonda sul pensiero di Milton Erickson il quale ha fatto della non direttività del terapeuta il suo cavallo di battaglia. Approccio a suo modo rivoluzionario rispetto alla psicologia precedente che vedeva nel paziente chi aveva il problema e nel terapeuta quello con le risposte. Per Milton Erikson il paziente ha il problema ma anche le risorse necessarie a risolverlo, solo che ancora non lo sa e quindi il compito del terapeuta è quello di aiutarlo a vedere le sue risorse che poi sarà libero di decidere se e come utilizzare per risolvere i suoi problemi attuali e futuri. Per cui l'approccio della López Pérez mi sembrava paragonabile a quello che i miei insegnanti cercano di scoraggiarmi a fare.
Il secondo motivo è molto meno teorico, ma più esperenziale: lavorando coi bambini mi è capitato spesso di vedere piccoli (non necessariamente pazienti) già fermamente convinti per pensieri loro o perché glielo aveva detto qualcuno di non saper disegnare. Qui bisogna fare un bel lavoro per convincere questi bambini, ma anche adulti, che il compito del terapeuta non è quello di giudicare la qualità del disegno, ma dare voce a una parte di loro che in altro modo difficilmente uscirebbe. Penso che l'approccio della López Pérez di mettere davanti al paziente un capolavoro anche dicendogli di reinterpretarlo e non di copiarlo inibirebbe anche i più sicuri di sé che non si sentirebbero in grado di fare qualcosa di nemmeno paragonabile. In pratica la mia paura è che un approccio di questo tipo alzerebbe barriere piuttosto che abbatterne. E' vero che Freud amava anche le resistenze perché anche queste dicevano qualcosa però .... bisogna anche essere proprio bravi a gestirle queste resistenze una volta che le si provocano.
Sarebbe proprio interessante approfondire almeno i principali approcci nell'AT, ma mi rendo conto che per troppe persone è ancora solo un lavoro di intrattenimento. Cosa che in parte deriva dal fatto che, soprattutto nelle comunità psichiatriche spesso vengono davvero fatti lavoretti d'arte al puro scopo di intrattenere, ma dovrebbero essere meglio considerati atelier e non AT nel vero senso del termine.
Mi incuriosice invece il tuo rimandare la risposta sull'utilità delle mostre delle opere dei pazienti: ho toccato un tasto dolente? ;-)
3. Luigino Bardini, Martedì 29 Luglio 2008 ore 14:16
"Per Milton Erikson il paziente ha il problema ma anche le risorse necessarie a risolverlo, solo che ancora non lo sa e quindi il compito del terapeuta è quello di aiutarlo a vedere le sue risorse che poi sarà libero di decidere se e come utilizzare per risolvere i suoi problemi attuali e futuri." citato da E. Zerbinatti
Condivido il pensiero di M. Erikson. E' una delle strade per permettere al paziente di fare un percorso interiore significativo e ottenere dei benefici sul piano psichico e per modificare alcuni aspetti problematici della propria personalità.
Mi chiedi:
"Mi incuriosice invece il tuo rimandare la risposta sull'utilità delle mostre delle opere dei pazienti: ho toccato un tasto dolente? ;-)"
Non direi dolente, ma come tu ben sai, delicato per molteplici fattori. Penso che anche in questo aspetto riguardante la divulgazione dei lavori realizzati in un percorso di Arteterapia, si possa fare delle distinzioni e delle differenziazioni. Punti focali da prendere in considerazione sono: il tempo (periodo trascorso dalla conclusione dell' arteterapia), le caratteristiche diagnostiche (ci possono essere delle controindicazioni per proporre al paziente la pubblicazione anonima dei suoi lavori?), la scelta ambientale (in che contesto verranno esposti i lavori d'arte?). Non è molto... , ma se si procede con questa prassi operativa, si potrebbe fare delle scelte finalizzate a valorizzare e fare conoscere significative esperienze cliniche nel pieno rispetto della privacy e della libertà dell'individuo.
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