recensione di Antonella Nigro
Le dolci forme della notte Materia, luce e rarefazioni nella scultura di Luigi Caserta L’arte di Luigi Caserta, ricca di pathos ed emozione, è figlia di una disciplina che annovero tra le più complesse per la rappresentazione del reale come del chimerico: la scultura. All’artista che la pratica è richiesta una vastissima cultura, da esibire su più e complessi fronti: l’elaborazione mentale e la preparazione del modello sulla base di un fondamento scientifico che comprenda poesia, storia, letteratura per la scelta dei soggetti; fisiognomica e simmetria per i ritratti e lo studio dell’espressione; geometria e matematica per calcolare e raffigurare con rigore l’anatomia e, non ultima, la conoscenza delle regole prospettiche da applicare alla totalità dell’opera. Luigi Caserta vanta una lunga e proficua carriera artistica e propone una ricerca in continua evoluzione e sperimentazione pur restando fedele a tematiche a lui particolarmente care, come la figura femminile, il mito, il sacro. L’incessante indagine si rivela modus operandi determinante nella felice resa dell’opera, poiché la pratica e l’esperienza risultano fondamentali alla conoscenza, senza la quale ogni sapere è vano, perché si ridurrebbe a pura e vaga speculazione. La teoria e la critica relativa alla scultura hanno interessato da sempre i maggiori studiosi, anche se con esiti spesso contrapposti, poiché ha sempre gravato, sulla sorte di tale disciplina, la secolare condanna che la discrimina rispetto alla pittura o alla poesia perché maggiormente legata al lavoro manuale. In merito Plutarco fu il più severo, ma Leon Battisti Alberti, che si può considerare il fondatore della trattatistica d’arte moderna con il suo De Statua, riconosce alla scultura una dignità intellettuale che, come ogni arte, possiede una propria autonomia e specificità. A ben vedere, la scultura, come “arte del levare” di michelangiolesca definizione, dimostra non solo la scoperta, faticosa e magnifica, dell’ideazione concettuale e del genio dell’artista, ma anche e soprattutto una precipua fruibilità totalizzante, poiché coinvolge un nuovo senso: il tatto. Le belle figure concepite dall’artista sono dominate dalla dolcezza, le forme fanno trapelare l’inclinazione per un ideale estetico che superi le rigide regole classiciste e che si apra al concetto di suggestione ed evocazione. Il valore concettuale dell’immagine è, dunque, libero, sintetico, scevro da ornamenti esteriori, da dettagli e abbellimenti, lineare ed essenziale, esprime chiaramente la tematica della meraviglia che si palesa, quasi magicamente, nell’improvvisa conoscenza di ciò che prima era nascosto o ignoto, in una bellezza assente in natura, che non miri alla riproduzione oggettiva del reale ma ad una scelta che aspiri all’ineffabile. La mitologia greco-romana ha ispirato grandi scultori dell’Ottocento, quali Antonio Canova, Bertel Thorvaldsen e Auguste Rodin che ne hanno interpretato i personaggi più suggestivi, Luigi Caserta si sofferma su alcuni aspetti femminili del mito e realizzando bronzi ispirati ad amazzoni, baccanti, sirene, veneri e tuffatrici ne sintetizza il carattere istintivo e inconscio, coraggioso, potente e primitivo, ove è fuso divino e umano in una magica e profonda correlazione che l’artista scopre e ammira. E poi donne dai nomi comuni, spesso declinati al vezzeggiativo, interpreti di una contemporaneità vissuta nel suoi istanti di riflessione ed astrazione: ripiegate su se stesse o aperte verso il sole, le fanciulle dell’artista, pensose e bellissime, donano all’osservatore frammenti del loro mondo interiore senza svelarlo completamente. E’ il sentimento dell’attesa ad aleggiare sui volti e sui corpi delle effigiate, una lirica sospensione temporale le colloca in una dimensione irraggiungibile, spesso onirica, ove protagonisti sono il sogno e il suo mistero (Dormiente) e la dolcezza della memoria (Io nei ricordi). Una volontà di disattendere la staticità della materia e di creare un’opera in trasmutazione, ove il concetto di fusione tra forma in movimento e spazio sia palesato e insito nella modellazione, è mirabilmente tradotto nella grazia delle sue danceuses. I contorni delle figure, concepite dall’artista, sfumano e si frangono nella luce e posseggono un senso d’indistinto che caratterizza ciò che non può essere narrato: l’amore, la solitudine, la maternità, il tempo, il sacro. E’ l’ossimoro della materia scolpita che, nella pietra di tufo, nel bronzo, nella terracotta, diviene inconsistente, fluttuante come ombra leggera e sfuggente, rimembrando notturni profili, suggerendo obliate storie, ispirando impossibili visioni. Antonella Nigro Critico d’Arte
Antonella Nigro [Critico d'arte]
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