L'anima dell'entroterra nelle opere di Luigi Fuschetto
La mostra - intitolata “Entroterra” e a cura dell’Arciconfraternita di Sant’Anna dei Lombardi e San Carlo Borromeo nonché della Cooperativa Sociale ParteNeapolis - raccoglie le più belle opere di Fuschetto che nella sua San Marco dei Cavoti, dove svolge tutt’altro mestiere, a un certo punto della vita ha deciso di cimentarsi nella pittura esordendo ultracinquantenne. E con risultati straordinari che provano come la vera arte possa nascere anzitutto dall’anima e dal sentimento e non soltanto nelle accademie o sotto la guida di grandi maestri. Autodefinendosi “dilettantista”, ha potuto difatti esprimere liberamente in ogni opera i suoi stati d’animo trasponendoli nei tratti di una pittura affascinante e coinvolgente che per certi versi richiama lo stile di Monet, di Van Gogh e di altri artisti del passato, molti dei quali però ritraevano campagne e paesaggi nel desiderio di fuga dalla città che già ben oltre un secolo fa iniziava a trasformarsi in metropoli. Nel caso di Fuschetto invece si tratta di una semplice e serena - ma non per questo meno suggestiva - “cronaca” delle realtà che lo circondano, tradotta nei ritratti dei campi, dei piccoli borghi, degli scorci di paesaggi fatti di sola natura e dove a stento coglie la labile presenza umana in un tetto o in una figura in lontananza. Queste realtà sono quelle - come giustamente evidenzia il titolo della mostra - dell’entroterra sannita che ha avuto la sorte, ma sarebbe meglio dire la fortuna, di non essere industrializzato e sovrappopolato e di non aver dovuto cedere aree rurali all’invasione dei capannoni industriali o di grigie e disordinate periferie suburbane. Nell’entroterra sannita, infatti, tutto è rimasto com’era secoli fa, e qui la magia della natura e dei suoi silenzi riesce dunque ancora ad emozionare l’artista facendogli peraltro cogliere la sua straordinaria forza dinanzi ad ogni possibile intervento umano: nei quadri di Luigi Fuschetto, infatti, talvolta appare anche qualche dettaglio di “modernità” - come nel caso delle pale eoliche, delle strisce d’asfalto tra i campi o dei segnali stradali tra le campagne innevate - eppure ciascuna di queste tracce umane sembra sempre destinata a passare e a non lasciare alcun segno se solo la si mette a confronto con la grandezza immutabile della natura, con i suoi tempi, i suoi spazi, i suoi silenzi. In quest’ottica il “dilettantismo” di Fuschetto si rivela stilisticamente una risorsa di grande valore poiché è un mezzo espressivo che gli consente di passare liberamente dall’impressionismo all’astrattismo a al verismo - persino con qualche sporadico omaggio al futurismo - con qualche variazione sul tema del colore qualora il pennello si concentri sui dettagli di figure umane, di un albero o di un fiore. Ma in linea generale le sue opere restano soprattutto un intenso omaggio a quelle realtà rurali che per secoli hanno scandito la vita dell’uomo e oggi sono inspiegabilmente trascurate o dimenticate, se non addirittura disprezzate, a tutto vantaggio della vita moderna e frenetica nelle città che tuttavia ha svelato tutti suoi limiti proprio negli ultimi due anni, quando la pandemia ha bloccato alcuni ingranaggi del vivere frenetico e ne ha mostrato tutto l’essere in fondo effimero sgretolando bruscamente tutte le certezze che per lungo tempo sembrava invece riuscisse ad assicurare. Quello di Luigi Fuschetto non è dunque un angoscioso desiderio di “ritorno” alla vita rurale, né tantomeno una nostalgica rievocazione di luoghi e tempi lontani e perduti, bensì è il ritratto decisamente più ottimistico di una realtà che l’artista ha la fortuna di vivere quotidianamente e di cui, attraverso le proprie opere, attesta la rasserenante “esistenza” neppure tanto lontana da una città come Napoli, che in questi giorni lo ospita, o da qualsiasi altra metropoli del mondo, poiché ovunque, a pochi passi, la natura resta sempre silenziosamente ad attenderci. C’è tuttavia anche un messaggio sociale e antropologico in cui si evidenzia quanto questo “entroterra” negli ultimi tempi si stia tristemente spopolando: «Uno dei pochi numeri in crescita negli ultimi anni, nei comuni interni della Campania, è quello degli arrivi nei cimiteri. Per il resto questi paesi vivono un tanto lento quanto incessante declino demografico. I più anziani vagano, avanti e indietro, come su dei binari immaginari, fra le panchine della piazza e le strade vuote, nelle scuole c’è un’aula ogni cinque ragazzi e le strade sono percorse da case con finestre chiuse e arredate da cartelli con la scritta “Vendesi”». Il messaggio dunque è di tornare ad apprezzare l’anima più vera di queste comunità e dei paesaggi straordinari che le circondano, laddove lo scorrere del tempo non rappresenta mai un dramma da combattere quanto piuttosto un’opportunità e una risorsa che ad ogni cambio di stagione offre sempre diverse mutazioni di clima, di colore, di suggestioni. È una risorsa che appartiene e che apparterrà sempre all’umanità, e all’artista spetta il compito di ricordarlo attraverso le proprie opere. Una missione non sempre facile, eppure sempre necessaria, e che forse non a caso fa muovere i primi passi dell’arte di Luigi Fuschetto proprio dalla San Marco dei Cavoti, il suggestivo borgo natio circondato dalle campagne dove il fascino incontaminato dei tempi passati continua ad essere tenacemente vivo tanto da far apparire ancora attualissima la poetica descrizione fatta quasi un secolo fa da un grande artista di fama internazionale come Ettore Cosomati (1873-1960) che qui trascorse l’infanzia e iniziò a dipingere, dovendo poi però scontare il duro prezzo dell’allontanamento: «San Marco...Sono sicuro che se lo rivedessi non lo riconoscerei più, ed invano vi cercherei le tracce di quello che io conobbi. Spesso mi è capitato, in paesi lontani, nel brusio di affollate metropoli, nel silenzio stellato di notti alpine, di rivivere con un'intensità prodigiosa qualcuno di quegli aspetti e di quei lontani piccoli casi, avvolti d'indicibile incosciente dolcezza. Quegli aspetti e quei ricordi fanno per me parte del mondo dei sogni che è un regno a sé, con altitudini speciali e propri mezzi di comunicazione e, in esso, per vie misteriose si è subitamente portati in luoghi e tempi lontani, con la possibilità di guardare e sentire come in quei luoghi e quei tempi si guardava e sentiva».
Anfrea Jelardi [scrittore]
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