Luciano Nota, un poeta con Accettura nel cuore
In data 12 agosto 2010, u.s., in Accettura, è stata presentata la raccolta di poesie "Sopra la terra nera", Campanotto editore, 2010, di Luciano Nota. Ma non si tratta della prima silloge, perché Luciano Nota è anche autore di altra raccolta – Intestatario di assenze -, pubblicata presso lo stesso editore nel 2008.
Luciano Nota è nato ad Accettura. E’ laureato in Pedagogia ad indirizzo psicologico e in Lettere moderne. Ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza in Accettura, conducendo la vita propria di un ragazzo di paese, con tutte le difficoltà che la vita in un paese del Sud e della montagna interna comporta. Questo significa molto gioco in strada e di gruppo, ma anche una realtà culturalmente attardata e certamente non stimolante. Gli studi di Nota, infatti, diplomatosi presso l’Istituto Magistrale, sono avvenuti con faticosi viaggi fra il paese di residenza e la città sede della scuola. In queste condizioni, solo una ferrea volontà e un alto senso del dovere possono aiutare ad arrivare fino in fondo. Ad Accettura, naturalmente, Nota ha legato i suoi affetti più profondi, che significavano sentimenti di amore, ma anche, a volte, di dispetto e di scontento, per le difficoltà che il paese, obiettivamente, ha creato al suo processo d formazione.
Da Accettura, come tanti, Nota è stato poi costretto ad andare via, alla ricerca di un lavoro. Ora vive a Pordenone.[...]. Gli anni che passano, la condizione di isolamento in una terra che si finisce col sentire per natura non propria, sono i motivi per cui sempre più vivi si vanno facendo i ricordi dell’infanzia e del paese, sicché sempre più si rafforza il desiderio del ritorno. Naturalmente, il ritorno non significa il rientro materiale al proprio paese, anche se, negli anni, con l’avanzare dell’età, in genere i rientri materiali si fanno più frequenti. Il rientro è da intendersi soprattutto in senso spirituale. Oggi Nota, come attestano le sue ”confessioni” poetiche, mentre con maggior dolore sente lo sradicamento, sempre più è portato a cercare legami col suo passato nel paese.
E’, questo, un motivo che si può cogliere, in tutta evidenza, nella prima raccolta, in cui le “assenze”, di cui “intestatario” è lo stesso Nota, sono il “vizio del vuoto”, che coglieva il Leopardi, e che coglie il pastore errante dell’Asia, significativamente definito “errante” e collocato in un luogo deserto. E’ una sensazione e condizione che può ricondurre a Ungaretti, che si dice “non in armonia” con il mondo; ed è una condizione di sradicamento, così dolorosamente registrata: “Esisto come cane sdentato dallo spazio / sull’avaro silenzio di una zattera. / L’estrosità di questo mare nulla risana./ E’ apparenza di freschezza per chi vive spuntato / in solitudine”. In siffatta realtà, anzi in siffatta “in-e-sistenza”, cui induce, anche etimologicamente, la “abs-entia”, unica certezza e unica “e-sistenza” è il proprio vissuto, cioè il proprio passato vissuto nell’abbraccio del proprio paese, della propria famiglia, del padre e, soprattutto, della mamma. E’ molto significativo, perciò, il fatto che la raccolta Intestatario di assenze porti questa dedica: “Alla memoria di Giulio e Lucia (mio padre, mia madre”). Il cuore di Luciano Nota, in definitiva, palpita di affetti, cioè di tensioni, quando evoca il passato e, nel passato, per quattro volte almeno, evoca la madre. Fino a supplicarla così: “Che entri mia madre... / che entri per quell’attimo che basta. / Le somiglio lo so / in scioltezza di cuore / in pienezza d’affanno. / Che entri per governarmi l’assenza”.
Se poi si passa alla seconda raccolta – Sopra la terra nera – colpisce la seguente dedica: “A me stesso / e all’altro che è in me”. In epigrafe, si citano versi dell’amato Leonardo Sinisgalli, che sono un urlo lanciato alla luce che fugge: “La luce era gridata a perdifiato / le sere che il sole basso / arrossava il petto delle rondini rase...”. E’ evidente che la dedica a sé stesso e all’altro che sta in sé adombra una condizione schizofrenica (nel senso etimologico del termine), essendoci un doppio, in cui sono ugualmente veri i due elementi. Che se poi si fa attenzione al titolo - Sopra la terra nera -, ancor più evidente appare una condizione che si è fatta decisamente più cupa rispetto alla condizione di “assenza”. La vita – si vuol dire - si è fatta più che mai angosciante. ”Ho muri da spianare” – proclama Nota già dall’incipit della raccolta. E poco dopo ribadisce: “Occhi ho lasciato / ai carboni / e mani alle croci”. Si sente, in altri termini, in una condizione esistenziale disperata, cioè senza speranza, come disperato e incongruo è un tamburo che non suona. E’ una riflessione o sensazione che ricorda, ancora una volta Ungaretti, tra i contemporanei amato da Nota almeno quanto Sinisgalli, Pasolini e Pavese: “Sono stanco di urlare senza voce” – aveva scritto Ungaretti. E Pavese disse una volta di sé: “Mi sento come un fucile sparato”.
Ma non si pensi che tale condizione nasca da una personale incapacità di Nota a rapportarsi col mondo esterno, quasi che sia una “sua” debolezza. Si vuol dire che non è, la sua, una condizione soggettiva, quale potrebbe essere configurata dai seguenti versi: “Calma è la luna dietro il muro. / Dietro il muro calmo / faccio all’amore con la luna”. In realtà, il male è oggettivo, perché è nelle cose. Non per nulla, come si anticipava a proposito del titolo, c’è una presenza ossessiva del nero. Il “nero” – si dice ricorrendo ad un felice ossimoro - è una “chiara” verità. Ed è dappertutto: “In fondo il nero / in alto il nero / in superficie il nero”. Peraltro, è un “nero tenace / forte / resistente”. Insomma, la vita è tutta nera. Se poi si vuole spiegare in che senso essa sia tale, si può leggere che è ”un fluire interminabile / di soli senza soli / di forze impavide e sghembe”.
La condizione umana, e non solo umana, dunque, così stando le cose, è “assolutamente “ dolore, quale si coglie in un quadretto familiare normalmente indicato come luogo di quiete, e anzi idillico. Ecco i versi di Nota: “Mi sono affacciato alla finestra / per meglio scorgere il dolore. / C’erano tutti: / il padre, la madre, il figlio / e una vecchia labile, stanca / che mondava una mela fradicia”. Con una frase che ricorda altra frase famosa (“Non c’è pace fra gli ulivi”), il poeta proclama: “Neppure gli ulivi / placano i nidi”.
Non c’è, in definitiva, un solo punto fermo, perché anche la casa del paese, cioè della nascita e dell’infanzia, è andata materialmente perduta: “Rivedo – si legge in una lirica particolarmente intensa - quella casa / le notti in cui si accalcano i cavalli / la casa chiusa a chiave [...] /Quando morì mia madre / non ebbi tempo d’imbiancare la stanza”. Se così è, si vive sempre “in bilico sui ponti. / Noi / poveri vivi / a invidiare i morti”. Ma non per questo – ed è un dato che si registra con rilievo - c’è rassegnazione o stoica rassegnazione. Proprio leggendo lo stoico Seneca, Nota ha scoperto che “tutti vogliono essere felici, anche se è difficile dire cos’è che renda felice la vita”. E’ vero, tuttavia, che la ricerca della felicità è innata nell’ uomo, e quindi anche in Nota. A darla potrebbe essere l’amore, anche se Venere, purtroppo - scrisse Tibullo, - cerca blandizie, cioè ipocrisia, e si nutre di pianti e lamenti.
Ma se la ricerca della felicità è nella natura umana, non può non registrarsi, rispetto alla assenza della prima raccolta, uno scatto di ribellione o di volontà suprema, da cui nasce un impegno di vita, anche sociale, cioè di apertura e slancio verso gli altri e le sofferenze degli altri. “Per carità, nero, smorza il tuo imbuto – si invoca in altro passaggio lirico - /e non macchiarti di voracità”. Quanto a lui, Nota, nell’incipit, mentre confessa di avere muri da spianare, aggiunge e promette che ha “fiori tanti fiori da piantare”. Pavese tornò al suo paese, Santo Stefano Belbo, convinto che un paese ci vuole per trovare la forza di vivere. Pavese anche a Santo Stefano Belbo, però, visse da appartato, da osservatore, avendo come interlocutore e informatore il solo Nuto, falegname e bottaio del paese. Nota, invece, da Accettura, il 12 agosto 2010, si è portato applausi e consensi, un paese, cioè, anche materialmente e socialmente ritrovato.
Giovanni Caserta