APPUNTI SU LUCIANO NOTA. UNA MENTE DEL SUD DOLOROSAMENTE CIFRATA…
Ennio Abate legge "Sopra la terra nera" e "Tra cielo e volto"
1.
Nella prima raccolta «Sopra la terra nera» (Campanotto 2010) ci sono tre gruppi di componimenti. Il primo e il terzo hanno la forma concisa degli epigrammi (o degli haiku). Affermano. Accennano. Alludono. (Si vedano, ad esempio, qui: GIARDINO e MI RISANO). Soprattutto nascondono poeticamente. E tale nascondimento (che non è mai piatta rimozione) avviene non solo in base alla poetica di riferimento di Nota, quella della tradizione ermetica ma anche classicista, che privilegia il frammento, ma perché il groppo di esperienze vissute (credo giovanili) era di intensità esplosiva e forse inenarrabile in modi più distesi o pacati quando la memoria ci è tornata su. Da qui la cifratura in parole selezionate, una loro immobilità archetipica (e mediterranea), l’assenza di racconto, di storia, la sintesi a volte fin troppo fulminante: «Ho tentato a lungo/ Di essere re./ Ora posso scendere». E pure in questo ci sento il Sud (che è stato anche mio e credo di un tempo storico abbastanza preciso: anni Cinquanta all’incirca).
2.
Si è, perciò, in questi versi come di fronte a tracce fossili di una vicenda biografia, che si vuol far conoscere e non far conoscere. Tracce difficili da riportare a cause esistenziali (o anche familiari, sociali o contingenti), che possono essere solo alluse. Al centro c’è un’io – meridionale, passionale, inquieto, traversato da pulsioni oscure, terrestri e spirituali – alle prese con una “sua” gelosa solitudine. E con i simboli interni/esterni che l’hanno catturato (il nero in particolare, presente emblematicamente nel titolo stesso della raccolta). Discorre, com’è tradizione dell’io lirico in generale, che è stato nei secoli la maschera poetica di tanti io concreti ben più magmatici; e – ci siamo accorti da Rimbaud a Freud – problematici, niente affatto razionali. Discorre tra sé e sé. O con un tu. O con un suo Dio. O con i fantasmi silenziosi più pressanti e vicini: «il padre, la madre, il figlio». Ma mai espone o rivanga gli eventi, che sono da lui ormai risaputi e forse neppure più interrogati o esposti agli altri. Anzi la volontà di esposizione, che in tanti altri poeti è incontrollata esibizione, in Nota non c’è. Gli eventi, le passioni sono, come devono essere in poesia, definitivi e sepolti: «Ed eccomi ancora qui».
3.
Nel gruppo dei componimenti intermedi siamo di fronte ad una maggiore distensione emotiva e linguistica. La memoria prende più spazio. Si legga LA CASA (non riportata nella scelta qui pubblicata):
Rivedo quella casa
Le notti in cui si accalcano i cavalli
La casa chiusa a chiave.
Gli enormi bicchieri
Poggiati sugli scranni
Alcuni ocra alcuni neri.
Quando morì mia madre
Non ebbi tempo d’imbiancare la stanza.
Qualcuno mi additò come fumo
Altri come sabbia
O peggio ancora come frasca di strada.
Io attendo che costoro
Sposati alle lusinghe
Mi serbino quel muro
Sporco e defilato
Per continuare a disegnare
Nelle sere di plenilunio
I miei anfratti e le mie rane.
Gli oggetti circostanti ora si moltiplicano. Vengono nominati nella loro concretezza (e colore). Viene pure indicato, ma in modi scarni, qualche fatto preciso senza addentrarsi nella potente e lancinante valenza emotiva che esso ha avuto per l’io. Il tono si fa meno apodittico, più (di poco) confidenziale e quasi di condivisione (Vedi qui: SAPESSI CHE PESO). O anche più drammatico. O persino speranzoso. L’enfasi resta però tutta concentrata sull’io. Nota è poeta pre-rimbaudiano, non dilaniato (nella scrittura) dalle ambivalenze e dalle sfumature novecentesche. Poeticizza le sue fantasticherie, si esalta, esorcizza la propria fantasia di morte, s’abbandona a sogni di rinascita (Vedi qui: PAURA DI DIO), s’accomuna con gli altri «poveri vivi». E sempre con sfondamenti d’angoscia trattenuti dalla forma classica del verso, inquiete autoraccomandazioni e, in crescendo, invocazioni amorose ma costipate. È come se la gabbia dell’epigramma cominciasse a rompersi e la sentimentalità si presentasse sempre ben padroneggiata ma con più violenza espressiva.
4.
La seconda raccolta, «Tra cielo e volto» (Edizioni del Leone 2012) è in piena continuità con «Sopra la terra nera». Persiste la brevità cifrata degli epigrammi. Ma il tono più disteso presente nei componimenti intermedi di «Sopra la terra nera» si fa più cordiale. C’è la stessa volontà di eleganza, di cura (persino maniacale?) del verso, di ricerca di effetti metaforici leggeri e sorprendenti («versare più aria nel vento»; «masticare per bene le pietre»), di rime interne e anafore. A differenza della prima raccolta, dove ogni verso, iniziando con la maiuscola, è una microunità a sé, c’è maggiore scorrimento. In alcuni componimenti qui riportati e collocati quasi alla fine della raccolta (LE ANZIANE LUCANE GIUSEPPE MELFI, AL MIO PAESE) pare di cogliere quasi una svolta pur nella continuità. C’è maggiore concretezza poetica, minore volontà di essere – diciamola la parola – letterato.
5.
Dove si dirigerà la poesia di Luciano Nota? Qui dico solo una mia impressione, bisognosa di futuri approfondimenti. L’impianto lirico in lui mi pare così consolidato e maturo, che in questa direzione – il filone da noi dominante della tradizione petrarchesca – avanzerà la sua ricerca. E del resto nel blog «La presenza di Erato» (http://lapresenzadierato.com/), che egli cura assieme ad un gruppo di altri poeti, pur nella varietà o “liquidità” delle posizioni dei singoli, che è oggi quasi di norma in qualsiasi aggregazione culturale specie ai suoi inizi, questa visione della poesia sembra prevalere. Con i rischi – mi permetto di dirlo – o di purismo o, persino, di spiritualismo. Ma su queste ipotesi ci si confronterà.
Hai bisogno di informazioni?
Vuoi chiedere maggiori informazioni? Lasciami un messaggio, risponderò al più presto