Recensione "Tra cielo e volto"
di Elisa Davoglio
La scrittura di Luciano Nota si caratterizza da una profonda ricerca intrapresa lungo un viaggio in cui tempo e materia si compenetrano, realizzando una sintesi tra infinito e “io”, scopo già presente nel titolo della silloge “tra cielo e volto”.L’autore si rende cioè “testimone” – come scrive nella prefazione all’opera Paolo Ruffilli – portatore di “parole e messaggi”, che scandaglia le possibilità comunicative dell’uomo contemporaneo attraverso una reinterpretazione del valore dei significati e di un rapporto interlocutorio con il fronte dell’ignoto; una sorta di metafisica del quotidiano che si trasferisce nel dialogo rinnovato tra l’autore e se stesso.
“Acqua sia (..) | ho più sete di un muro. | Ieri sera di fronte all’infanzia | ho rivisto me stesso. | Ho sognato l’inverno | in un fossile d’erba”: l’incontro con l’acqua, come con altri elementi naturali citati nei testi, rappresenta l’espediente di una “riflessione” a mo’ di specchio, che propone a Luciano Nota una nuova chiave per introdurre altri significati alla apparente normalità della natura, sempre simile a se stessa senza timore del tempo e del caso.
I testi che sono racchiusi in questa opera “tra cielo e volto” sono contraddistinti da una forma lirica raffinata, mai trascurata e mai banale, che sedimenta bene le motivazioni e gli slanci di un autore che nella sua versificazione ci ricorda la più feconda stagione dell’ermetismo.
Una eredità di valore che Luciano Nota interpreta a suo modo, raccogliendo lo stupore necessario a costruire liriche di agile intensità e delicata ironia, pure nella percezione dell’essere, con parole proprie: “(..) Noi macchia, fibra | nuvolaglia. | Impronte millenarie | della sabbia. | Per averci tra cielo e volto | compagno d’aria | così sacro al mio collo”.
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