Recensione a "Dentro"
di Nazario Pardini
venerdì 1 marzo 2013N. PARDINI: LETTURA DI "DENTRO" DI L. NOTA
Luciano Nota Sabatella
Dentro
Collana di “Scritture clandestine”
Associazione Culturale LucaniArt Onlus
Nazario Pardini
Luciano Nota, in questo nuovo lavoro, dal titolo Dentro, conferma il suo stilema, la sua cifra poetica, con tutte le sue peculiarità. Culto della parola, stile asciutto, estemporaneo, estremamente intimistico, distaccato, anche, quel tanto, da vedere le cose con animo quieto, proiettato all’oltre, sì!, oltre le cose minute da cui parte. E qui risalta, appunto, con maggior nitore, questa cura attenta del verbo, del suo suono, dei suoi intrecci; degli effetti di un contesto magistralmente progettato per accompagnare stati d’animo di grande partecipazione emotivo-esistenziale. Ma il tutto si dipana con nonchalance, come se ogni cosa fosse normale, e ogni accadimento, anche il più drammatico, appartenesse al diluirsi fatale della vita e al suo implacabile scorrere, visto con sguardo quasi epicureo; e l’autore appare, non di rado, spettatore di questi avvenimenti; pur sentendosi Dentro, e Dentro ruffolando, e Dentro impigliandosi, riesce a uscirne con sguardo disincantato. Ma sono pur sempre occasioni che hanno inciso profondamente in un animo che ora ha trovato il suo equilibrio e riesce a considerare le cose dall’alto, da una torre dalla quale il mondo appare con figure sminuite, con accidents meno strazianti. Da qui, soprattutto da qui, deriva questo stile riposato, e mai eccessivo. Se lo è eccessivo lo è nella parola, nel suo spiazzamento, nella sua avventura iperbolica. E i fatti sono tradotti in un dire che non accenna mai all’eccezionale, né mai scivola in sentimentalismi o affreschi di georgica fattura in cui affogare strascichi di disperazione. Sono le cose più umili, le più semplici, quelle più reali, quali i grilli, i girini, una vasca per i pesci, una panca, un piatto, o la tavola da pranzo a gironzolare attorno all’attenzione del poeta; gli si propongono per un loro coinvolgimento; per raffigurare, allusivamente, quei segmenti di un Dentro che il poeta scandaglia con grande minuzia, con un’analisi psicologica attenta, e plurale; per la costruzione di un castello con mattoni ben connessi tra loro, indispensabili gli uni agli altri, per la totalità del “poema”. Toglierne uno equivarrebe demolire il castello stesso. E quello che infine emerge da questa analisi è che la poesia è frutto soprattutto di dolore; il poeta si deve guadagnare la parola, quella vera, quella eccelsa, attraverso un percorso di sofferenza e di esperienza. La deve rivivere, farla di nuovo sua, per poter osservare il mondo da quella torre.
Ed è allora che i versi scorrono, aggrappati all’anima, in maniera quasi miracolosa; sconcertanti l’elasticità, la duttilità, la semplicità, anche, - e quanto è difficile fare vera poesia senza oberare - e la familiarità del suo dire. “Coraggio quindi/ mettiamoci le scarpe/ e andiamo”. E non si disdegnano rime interne, assonanze, allitterazioni, o dilatazioni – tante – verbali di grande effetto espansivo a rendere il dettato musicalmente e stilisticamente valido. E’ qui che il confine fra il nuovo e il classico si assottiglia; è in questo processo personalissimo che il poeta dimostra quanto tale differenza sia inconsistente. Mi piace citare una poesia fra le tante validissime per dare l’idea di quanto l’azzardo del poeta vada oltre la parola; e in questo corpo a corpo con la lingua, come riesca l’autore a fare del classico una novità. Qui non si vuole staccare, interrompere un percorso, ma si vuole solo far poesia spontaneamente; e la poesia unisce, ingloba, è al di là e al di sopra. Tutto si fa romanza, e ogni particolare, ogni ritmo, ogni contraddizione, ogni armonia, in A Sara, contribuisce, sia metricamente che contestualmente, a convalidare l’assunto di cui sopra.
(…)
Sei giorno
se dentro mi guardi
montagna fatta d'acqua
che schiacci la notte
incantevole massa cortese
che allieti la presa.
Insomma, la plaquette di Nota contiene tutta la vita con le sue fughe e i suoi rimandi, con le sue croci, e le sue memorie, e soprattutto quella vita che l’autore vede scorrere, fuggire e cancellare con una indifferenza da lasciare senza fiato. Proprio come quella noce che si consuma gradatamente sotto il tavolo del mondo testimone di tanta “danza”.
Ma Luciano Nota la ingemma quella danza, e non solo ricorrendo ai suoi sentimenti, ma soprattutto fasciandoli, i suoi sentimenti, con invenzioni di alta levatura metrico-stlistica:
(…)
La noce rivoltola
svolta a destra
si consuma
fissa arguta la stanza.
Muore al centro di un armadio
al cui lato s'infiamma la danza.
Nazario Pardini 25/02/2013
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