COME SCIOGLIERE UN MALIGNO INCANTESIMO (ARTE E MAGIA?)
7 opere
La necessità di questo lavoro è sorta in me da tempo, crescendo ed incalzandomi fino al momento della realizzazione pratica. Tanta urgenza e determinazione non potevano essere dovute al caso, né si imponevano per me “normale” esigenza di espressione artistica. Ho dunque cercato di trovare il senso di questa produzione, ripercorrendo le tappe di una lunga malattia che solo recentemente sembra essersi risolta positivamente e collegando le paure e le ansie legate al mio corpo con il bisogno di esprimermi per immagini.
La brutta malattia di cui ho sofferto per circa quattro anni è una infiammazione agli occhi chiamata con il termine medico-scientifico di “uveite posteriore”; infiammazione che, procurando il distacco dall’uvea di “corpi mobili” poi galleggianti nell’umor acqueo, rende difficoltosa la messa a fuoco dei particolari e può determinare in certi casi anche la cecità. Avevo diciannove anni quando mi fu diagnosticata questa malattia e il ricovero in ospedale mi procurò una discreta regressione, dovuta soprattutto alla sfiducia degli stessi medici nella mia possibilità di guarigione: purtroppo, nei primi anni ‘80, dell’uveite si sa ancora poco e le terapie sono generiche e sperimentali. A causa dei frequenti esami cui ero sottoposto, si andava accumulando materiale fotografico e radiografico sul mio corpo e in particolare sui miei occhi, che mi preoccupava e affascinava allo stesso tempo; inutile dire che ormai sapevo tutto sulla struttura fisica dell’occhio.
Quando finalmente sono guarito, ho sentito il desiderio di “giocare” con tale materiale radiografico e fotografico, trasfigurandolo artisticamente. Penso che questo tipo d’intervento abbia avuto per me un significato magico, simile a quello dei dipinti sulle pareti delle caverne degli uomini primitivi. Le pitture di scene di caccia sono state interpretate dagli esperti come un sintomo del desiderio degli uomini primitivi d’impadronirsi “magicamente” della selvaggina e placare così le ansie della comunità di patire la fame.
Anch’io cerco di placare le mie ansie, cioè la paura di un possibile ritorno della malattia, poiché, nonostante gli innumerevoli esami diagnostici, la causa dell’infiammazione non è mai stata trovata. E non è tutto, infatti, dopo quattro anni di malattia con esiti incerti, alternando miglioramenti e peggioramenti, non mi basta guarire per sentirmi padrone della situazione: ho bisogno di continue conferme della fine della malattia e la manipolazione a piacimento del materiale radio-fotografico ha forse anche questa funzione, cioè confermarmi e rassicurarmi psicologicamente che non sono più vittima della malasorte, ma che ho il pieno controllo della situazione e non c’è più di che preoccuparsi.
Direi che per me produrre queste tavole è stato come sciogliere un malvagio incantesimo mediante una serie di rituali magici.
La tecnica scelta per questo lavoro è quella fotografica. Dalle radiografie del cranio ho separato le varie tonalità di grigio con una pellicola fotomeccanica, poi ho scelto un retino tipografico commerciale con una decorazione uniforme di tante foglioline una vicina all’altra, infine con un sandwich di pellicole e retino ho stampato il tutto a contatto su carta ad alto contrasto ottenendo immagini in negativo e positivo dai bianchi e neri puri. Per l’elaborazione dei negativi della retina ho usato lo stesso procedimento con la differenza che ho preparato personalmente il retino, disegnando sull’acetato un intreccio capriccioso di linee curve. Il risultato a prima vista potrebbe richiamare alla mente una sindone, ma la decorazione alleggerisce questo effetto. Il passe-partout tende a sottolineare la falsità della composizione, o forse meglio, la “distanza” ormai presa dal soggetto prescelto.