L'arte parte da un'idea passando dalla realizzazione. Il percorso è sempre una sorpresa, così come l'arrivo ma anche, stavolta, la partenza. La partenza è una violenza di destinazione, un'aberrazione di genere.
(Primo tempo)
La materia che costituisce il colore crea, deve creare, legami e biunivoche corrispondenze con il suo doppio d'elezione: la pittura ha il muro, l'olio ha la tela, l'acquerello ha il foglio, lo smalto ha l'automobile. Ecco, lo smalto. Uno smalto steso su una tavola rompe il legame di basilare affinità chimica per il quale entrambe le cose sono nate, penetra verso l'interno e si diffonde all'esterno in superficie, rapido e incontrollabile a cercare la sua lamiera, il suo ferro elettivo. In questo momento inizia il lavoro di violenza, di contenimento e di controllo su ciò che si dibatte; lo smalto, ancora vivo, si contorce distonico e ti lascia pochi minuti per dargli una direzione e un senso prima che una prima morte lo cristallizzi, lucentissimo e cangiante, in una nube astratta.
(Intervallo)
Asciughiamoci, aiutiamoci coi catalizzatori anche. Ci sta una sigaretta e quella sensazione di pericolo.
(Secondo tempo)
Poi arrivano i colori istituzionali. Acrilici ad esempio, quelli fatti per la tavola. Gli acrilici si stendono a costruire forme e sagome convenzionali, strade palazzi luci cantieri forme persone, reali in rappresentazione reale. Ma anche l'acrilico tituba sulla sfondo astratto, uno sfondo non suo, uno sfondo non tavola. Fuori luogo ancora una volta.
Combattono, i colori.
Combattono in rappresentazione, astratto contro figurativo.
Combattono in territorio, l'acrilico cerca la tavola e lo smalto la rifugge interponendosi.
Combattono in chimica: dove l'acrilico si stende lo smalto si solleva, soffia e sbuffa, si contorce per chimica e per sdegno; si fanno in là i colori, ora per rispetto e ora per aprire il cerchio alla rissa.
Poi il tempo acquieta, la chimica si porta all'equilibrio e i colori si acquartierano definitivamente sulle loro posizioni di eterna trincea.
Sul campo di battaglia restano paesaggi e scorci e persone e strade, vividi reali del reale, su uno sfondo acido di una Morte Grata.
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P A L L I
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Nelle opere di Dalcò , ci è offerta la possibilità di assistere, di essere testimoni all’emergere del colore, del donarsi del colore alla vista, di mostrarsi alla visibilità. E del costituirsi delle forme attraverso il colore.
Colore che si diffonde che scorre, scivola sulle “tavole” e si arresta solamente quando un altro colore gli impedisce di fluire, di uscire da un qualsiasi ostacolo o controllo.
Ciò accade nelle ultime opere dove il sentimento verso la mimesi della natura è superato ma mantenuto all’interno della materia coloristica.
La pittura di Dalcò è la liquidità che sgorga dalla (Madre) natura, liquidità in cui egli è immerso e che lo ha condotto a scegliere l’acquerello e la vernice da auto perché questa presenta la brillantezza l’intensità e la purezza del colore, insieme alla fluidità simile all’acqua, nonostante la densità intrinseca che la caratterizza.
Questa materia pittorica essenzialmente consona alla pulsione che lo domina, costringe Dalcò, a causa della sua tossicità a proteggersi. Egli non la tocca, non la può toccare, infatti prende tutte le precauzioni affinché il liquido possa entrare solamente in rapporto con gli occhi e non con la vista- è attraverso questa che il liquido colorato entra in lui ne è compenetrato – in lui la liquidità degli occhi – vista e del colore si identificano – il colore – il liquido colore, è interiorizzato.
Nella sua taverna – studio sono esposte insieme due opere (forse le prime esperienze pittoriche) rivelatrici e “programmatiche”.
La prima consiste nella rappresentazione di un feto color nero immerso in liquido (amniotico) color giallo; vicino a questo è appesa l’altra opera rappresentante un uomo, un giovane nell’atto di scagliare violentemente una pietra contro il sole, il quale si infrange spruzzando intorno miriade di colori.
M. Granet studioso della tradizione del pensiero cinese, lo Hong Fan, del secondo e terzo millennio a.c. mostra la corrispondenza di serie combinatorie e l’equivalenza tra il colore, il sapore, l’orientamento, le stagioni e i numeri. Così il giallo è il centro - terra – dolce seminato e mietuto. Il centro è il ventre della terra madre, il liquido amniotico in cui l’artista abita … il rosso invece è identificato con l’estate, il sud, il fuoco, e analogamente agli elementi democritei, al sapore amaro, all’alto.
Si tratta allora di vedere qui un’altra connessione, quella più intima che riguarda il conscio e l’inconscio, dove il simbolo (il colore liquido) la sua liquidità, richiama l’origine ed il fondo inesplorato che nessuna parola può riassumere e comprendere, ma è quello spazio dell’immagine, del rimosso.
La psicanalisi ha insegnato: quando l’oggetto originario di un moto di desiderio è andato perduto in seguito a rimozione, spesso viene sostituito da una serie interminabile di atti sostitutivi nessuno dei quali soddisfa pienamente, di cui però l’immagine – Simbolo (creativo) è in prossimità di tale oggetto. Tale immagine, la sua produzione soddisfa, si è detto, parzialmente il il desiderio mai finito reiterato, e qui si riallaccia, comunica di nuovo alla creatività della natura. Nel pensiero primitivo, al tempo del culto della fertilità la terra era considerata Dea Madre della vegetazione; Dalcò sembra essere in ascolto e udire l’eco di quel primordiale culto: le manifestazioni arboree, la loro rappresentazione sembrano sorgere da movimenti della terra e dalle acque che vibrando insieme creano gli alberi, le foreste, foreste che tengono il tempo rinchiuso nella loro promiscua matrice, che non permettono altro e favoriscono la dispersione, l’indipendenza, l’anomia, la poligamia anche l’incesto tra padre e figlio e tra madre e figlio – un magma di potenza ctonica- liquida intrisa di colore.
Colore che si distende invade deborda, non conoscendo limiti se non quelli posti attraverso lo scontro con altre forse liquide e altre forze sorgive dalla potenza coloristica pura – intensità di forze pure, di colore puro, il quale nel loro incontro entrano in conflitto o si risolvono rinfrangendosi sui loro bordi, amalgamandosi reciprocamente e producendo talvolta accordi.
Questo aggregarsi nel moto organico tende quindi forse a realizzarsi come equilibrio tra la pulsione dell’artista e le forze della natura da lui stesso individuate nel colore – simbolo; a ricomporsi dopo la violenza disgregante mostrata nel dipinto del sole infranto … E’ questo il problema che necessariamente Dalcò dovrà affrontare con urgenza.
Fabrizio Sabini
Marzo 2003