C'è il sapore sano e onesto del diario personale, nelle opere pittoriche di Loredana Pasta.
Un diario intimo nel quale l'artista intraprende un viaggio garbato e silenzioso alla scoperta della straordinarietà dell'ordinario della vita, perfino dell'apparentemente banale, quando si dissuade lo sguardo dalle grandi manifestazioni per concentrarsi in aspetti più segreti, di dimensione borghese e domestica, che potrebbero ricordarci sapori legati a qualcosa d'antico, a una certa nostra letteratura decadente, diciamo fra Pascoli e Gozzano. E invece, poco di tutto ciò, perché i dipinti di Loredana Pasta ci risultano, rispetto a quei richiami, di un tenore evidentemente più asciutto, come a essere coscienti di vivere in un'epoca diversa da quella, moderna, che può ancora credere nel sentimento, ma non più al Romanticismo. Anche pittoricamente, se ci pensiamo bene, la Pasta propone un'arte che può essere definita di tangenza, ma non di aderenza al Decadentismo. Sarebbe una novella, aggiornata nabis, se liberasse il colore all'inseguimento di atmosfere di forte suggestione, espansione diretta di cuori votati all'eccitazione febbrile. Quando vediamo opere come Lava, tutta giocata nella ricerca della massima corrispondenza fra materia, rappresentazione ed emozione, saremmo indotti a credere che la chiave giusta per capire la Pasta sia proprio da individuare lungo i binari del Post- Impressionismo, se non in certe derivazioni nazionali meno conosciute, come nel caso, ad esempio, del bolognese Alfredo Protti. Ma poi, vedendo il ciclo di Alessandra, ci convinciamo che l'obbiettivo della Pasta sia altro rispetto a quello dei nabis, più concreto e diretto, da liricità non perseguita ossessivamente, ma incrociata quasi involontariamente nelle cose di ogni giorno, con la stessa normalità con cui ci potremmo accorgere del fascino irresistibile di un raggio di luce mattutina che penetra dalle fessure di una veneziana, o l'espressione improvvisa di una persona cara che venisse colta a sua insaputa, rubata e gelosamente difesa da sguardi estranei. Scartata dalla vita la bella confezione, la Pasta cerca di trovarne nel contenuto il palpito più autentico, che è come dire il punto primo dell'emozione, facendo però in modo che non eserciti un effetto stravolgente sulla percezione comune della realtà. Mantenere il controllo della forma, un controllo non maniacale, ma comunque robusto, certamente intenzionale, esprime, sul piano ideale, l'aspirazione della Pasta a mantenere anche un certo controllo del mondo, con il valore dell'ordine che assume il carattere di antidoto rispetto al baratro, materiale e spirituale, del caos. Un istintivo rispetto per il dato oggettivo, quello palesato costantemente dalla Pasta, che mi viene da associare alla sua attività parallela di restauratrice, laddove il recupero si configura come operazione volta a preservare una materia che rimane viva in quanto deposito della nostra memoria, sedimento di nostri affetti passati, ancora in grado suscitarne nuovi. Bisogna ascoltarla, la vita, assecondandone i tempi, con la giusta pazienza, senza inventarci niente che possa ostruire il suo discorso sempre a bassa voce, ci dice in sostanza Loredana Pasta. Se lo facciamo, potremmo scoprire piccoli, sorprendenti miracoli anche in ciò che riteniamo più scontato.
Vittorio Sgarbi
VITTORIO SGARBI [Critico d'arte]
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