PASSAGGIO SEGRETO
LA VIOLENZA DEL RICORDO
Se non ricordiamo non possiamo comprendere.
E.W. FORSTER
Che peso può avere la memoria in una contingenza storica che tende a spazzare via in un lampo ogni tipo di legame col passato? Apparentemente poco, in realtà immenso. Margherita Levo Rosenberg, con una spiccata sensibilità femminile, ripropone il suo individuale e personalissimo concetto di memento, per lei stessa rivendicato come un sacrosanto diritto. E lo fa occupando uno spazio, con una modalità assolutamente scevra da ogni retorica, dandogli la paternità di luogo scelto e interamente adibito alla facoltà del ricordare.
La costruzione espositiva di Margherita Levo Rosenberg - in cui la cultura ebraica rimane sottintesa ma ben vigile come una spinta sotterranea - è intensa come una preghiera laica, strutturata ma nel contempo libera da costrizioni di sorta. Le sue sculture dall'apparenza quasi organica, in realtà composte da pellicole e lastre, dalla forte valenza simbolica, si muovono leggere nell'aria ma con la pesantezza di un portato artistico non indifferente, costruito in anni di ricerche.
Attraverso l'ossessione ripetitiva degli elementi, che si intersecano sbocciando come fiori o si allungano come strane protuberanze e lo sfrangiamento della pellicola a cui concede un'ulteriore verginità, l'Artista rimanda al recupero del procedimento mnemonico, talvolta anche inconscio. Per organizzare la sua moltitudine caotica di idee e di pensieri, Margherita Levo Rosenberg sceglie il colore blu, non a caso viatico della pulsione cerebrale e razionale, caricandolo però di effusione sentimentale con l'intersecarsi deciso di rami di vite. Il materiale freddo della lastra si sposa così al calore sanguigno del vitigno creando un connubio tutt'altro che stridente, al contrario amalgamandosi assieme in un concerto emozionale di rispondenze e richiami sia alla mente che alla vita e terra madre.
Il significato va a coincidere col significante all'interno della scelta estetica dell'artista, che mantiene sempre una valenza sociale e politica, nonché psicoanalitica e filosofica, mischiando drammaticità a mai troppo segreta ironia.
Margherita Levo Rosenberg cerca, ricamando e costruendo, di trasmettere modi diversificati di rappresentazione della realtà, con codici di decodificazione ben precisi. Materializza le emozioni per renderle accessibili e fruibili, a farsi struttura con materiale tradizionale o tecnologico, con una delicatezza di donna e proprio per questo mai eccessivamente esibita o calcolata, al contrario più pura. Denuncia una libertà d'espressione spesso negata, con la leggerezza sottile di opere evanescenti e trasparenti che creano spessori e chiaroscuri, giochi tra pieni e vuoti, legittimando un'integrità passata da ritrovare nelle proprie radici, a nome di tutti i popoli e non soltanto di quello ebraico.
Tema scottante e quanto mai attuale in una società che ricerca a tutti i costi l'integrazione e la più scontata omologazione. La violenza di un ricordo identitario che vuole imporsi e rimanere si accosta così a quella della forzata e coercitiva rimozione.
Numerosi artisti si sono cimentati e tuttora si cimentano a sviscerare il tema della memoria, in particolar modo legata alla Shoah, e pensando al lavoro poliedrico di Levo Rosenberg mi viene in mente la rilettura degli stermini nazisti di Christian Boltanski, di padre ebreo, che incentra l'intera sua opera sulla materializzazione dell'assenza attraverso il processo del ricordare.
Ma mentre Boltanski utilizza materiali, vecchie fotografie, oggetti appartenuti a persone reali e sconosciute, facendoli rivivere con impianti installativi e video, Margherita Levo Rosenberg parte da una radice del tutto autobiografica e intima riportandocela con una chiave di lettura molto personale e un processo di rielaborazione concettuale ben preciso, in stretta sintonia coi suoi legami familiari. Ad esempio dedicando al padre venuto a mancare le preghiere che non ha mai detto per una forma forse inconsapevole di ripudio. Prendono così forma le sue Preghiere perdute, ciuffi di pellicole e vitigni appesi a mezz'aria come escrescenze fluttuanti e pochi versi che fanno un tutt'uno con l'installazione, il sacro della parola e il profano del terreno per testimoniare una perfetta fusione tra spirito e materia e un dialogo nascosto tra cose e persone.
Ma non soltanto il sostrato religioso interessa all'artista, anche i ricordi di un passato ormai remoto come quello delle nostre contadine, che raccoglievano nei grembiali la legna per accendere il fuoco durante il vespro. La tradizione della fatica ritorna dunque nell'opera Grembiale del vespro, in cui un grembiule-scultura diviene grembo raccoglitore di anime.
Fitti cespugli materici si trasformano in trame di tessuto sul pavimento dove subitaneo compare il rosso. In Tramare rosso velluto l'autrice descrive i punti affettivi in cui ha letto negli occhi del padre un legame tra la sua persona e i racconti delle sue origini mai apertamente dichiarate.
Un ricamo di trine circolari vellutate che la lega come in un tessuto a quello che c'è stato e che condiziona tuttora la sua esistenza. Mentre in Ordire rosso velluto, dichiaratamente speculare e collocata a parete, l'autrice rimanda alla complessa struttura della cultura, attraverso le lettere dell'alfabeto italiano ed ebraico, come vero pilastro della costruzione di civiltà.
Passaggio segreto è l'opera cardine che racchiude già nel titolo il significato dell'esposizione. Coni di pellicole radiografiche del torace attraversate dal vitigno a rappresentare la psiche e il numero di ossa che compongono la mano nella numerologia ebraica. Una comunicazione inconscia molto potente della violenza subdola che costringe le persone a nascondere le proprie origini per paura e nello stesso tempo un forte segnale di resistenza.
Bisogna inoltrarsi nello stretto passaggio segreto che penetra nell'anima per capire tutti i condizionamenti di un'eredità tramandata anche in forme sotterranee oppure addirittura volutamente seppellita. E se l'arte può aiutarci a farlo ben venga, sembra dire l'autrice. Ma qualcosa deve necessariamente lasciare.
Francesca Baboni
THE VIOLENCE OF MEMORY
Unless we remember we cannot understand.
E.W. FORSTER
What is the weight of memory at a historic time, when any type of link with the past tends to be swept away like lightning? Such weight, while apparently very little, is actually immense. Margherita Levo Rosenberg, with her strong female sensitivity, once again shows us her individual and very personal concept of memento, which she claims as her undisputable right. She does so by occupying a space, in a manner completely free from any rhetoric meaning, a sort of chosen space, fully dedicated to memory and remembrance.
Margherita Levo Rosenberg has constructed her exhibition as an intense secular prayer. While well organised, her work, where the hint at Jewish culture is at the same time its underlying driving force, is free from constraints. Her sculptures, look as if they were organic, but are actually made of X-ray films. With their strong symbolism, they flutter lightly in the air, carrying with them the weight of some remarkable artwork, which she has developed in many years of artistic research.
With an obsessive repetition of elements, which criss-cross into blossoming flowers or stretch into strange protrusions, and the frayed films endowed with further virginity, the Artist points to the - sometimes unconscious - mnemonic process. In order to organize her chaotic multitude of ideas and thoughts, Margherita Levo Rosenberg has opted for blue - not by chance the colour of cerebral and rational drives – which, however, she has loaded with the sentimental effusion of densely intertwined vines. The cold X-ray film material is thus matched with the warm blood-red colour of grapes, to create an all but clashing union, mixed into an emotional concert of references and allusions to the mind, life and the Mother Earth.
Signifier and signified coincide in the artist’s aesthetics, which always has a social, political as well as psychoanalytical and philosophical significance, with a mixture of drama and never too much disguised irony.
Through her embroideries and constructions, Margherita Levo Rosenberg aims at transmitting different ways of representing the real world, using a well-defined decoding system. Emotions, materialized to be more easily accessible and available, morph into structures thanks to conventional or technological materials. Her delicate woman’s touch is never flaunted or calculated, but rather purer. She speaks in favour of freedom too often denied, with the subtle lightness of evanescent and transparent works that create chiaroscuros and contrasting shades. She plays with plenums and voids, sanctioning a past integrity to be found in her own roots, not only on behalf of Jews, but on behalf of all peoples.
This is quite a burning and highly topical issue in a society driven to achieve integration at all costs and a much granted standardization. The violence of identity-linked memory focused on
asserting itself and on its own duration is thus juxtaposed to the violence of forced and compelling displacement.
Several artists have tried and are still trying to delve with the topic of Memory, in particular the Memory of the Shoah. Margherita Levo Rosenberg’s versatile work reminds me of the interpretation on the Nazi death camps made by Christian Boltanski - whose father was Jewish - and who has focused his entire work on the materialization of absence through remembrance.
However, while Boltanski employs materials, old photos, and items that belonged to real people and strangers, making them live again through his installations and videos, Margherita Levo Rosenberg follows a fully autobiographic and intimate pathway portrayed in a very personal manner with a well defined conceptual process and perfectly tuned to her family affections. For example, to her deceased father she dedicates prayers that he had never said, perhaps out of unconscious rejection. This is how her Preghiere perdute (Lost Prayers) takes shape through tufts of films and vines hanging midway like fluctuating lumps, and with few verses perfectly integrated into the installation: the sacred word and the profane soil testify to a perfect fusion between spirit and matter and to a hidden dialogue between things and people.
However, the artist is not only interested in the religious substrate, but also in remembering a more remote past, like the one of countrywomen, who used to gather the fire wood in their aprons at sunset. Hence the tradition of toil in Grembiale del vespro (Evening Apron), where an apron-sculpture becomes the apron where souls are gathered.
Thick, physical bushes morph into weaves that spread onto the floor where red suddenly appears. In Tramare rosso velluto (Red Velvet Wefts) Margherita describes the emotional dots in the eyes of her father where she had seen his link with the story of his never openly disclosed origins. An embroidery of circular velvety lace links her to the past and still affects her present life. Conversely, in Ordire rosso velluto (Red Velvet Warp), expressly specular to the former and set against a wall, she makes reference to the complex structure of culture, using both Italian and Hebrew letters, as an actual pillar in the construction of civilization.
Passaggio segreto (Secret Passage) is the pivot work containing, already in its title, the very meaning of the entire exhibition. Cones of X-ray films crossed by the vine are designed to represent the psyche and the number of bones making up the hand in Jewish numerology. It is a highly powerful, unconscious message of the insidious violence forcing people to hide their origin and, at the same time, a strong message of resistance.
One has to enter the narrow secret passage that penetrates the soul, in order to understand all the conditionings of a heritage passed down also in hidden forms or even intentionally buried. If art can actually help us do so, so much the better, the Artist seems to tell us. And, of course, she has to leave something behind.
Francesca Baboni
FRANCESCA BABONI [Critico d'Arte]
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