The Tomato Tree/L'albero dei pomodori
One afternoon, a strong and warm-hearted man went to the best grocery in town to buy a tin of Campbell tomatoes. He took all the tomatoes, one by one, out of the tin, without squashing them, aligned them on a round red plate, and offered them to the children, who were playing in the garden under a big tree.
L’ALBERO DEI POMODORI
Un pomeriggio, un signore forte e affettuoso
volle comprare nella più bella drogheria del paese
una scatoletta di pomodori Campbell.
Tolse fuori uno per uno i pomodori senza ammaccarli,
li scolò in fila su un rosso piatto rotondo e
li offrì ai bambini che stavano giocando
nel giardino sotto un grande albero.
I problemi dell’arte contemporanea nascono con e dopo il ciclo impressionista, sono collegati alle invenzioni del cinema della fotografia della televisione, dei mezzi tecnici di riproducibilità, della tecnologia, della diffusione consumistica dei mass media. Sono legati alla perdita dell’oggetto, all’apparente sparizione di ogni riferimento con la realtà sensibile, alla iperrazionalizzazione e intellettualizzazione della cultura, alla “messa in castigo” delle idee di bellezza di giustezza di verità, di armonia di equilibrio, dell’individualità, atteggiamenti che costituiscono un “manierismo” (Battisti) che combatte con ogni mezzo la forma in quanto riassunto di quelle idee e concetti, rimando al classico. Tali problematiche sono “pre-sentite” da Duchamp Picasso Matisse Dalì che danno differenti risposte tra il 1902 e il1907.
Duchamp e Picasso. Quest’ultimo continua la sua operazione sino alla dissoluzione della creatività, il primo si “ferma”, tace, per vent’anni opera dietro il silenzio per riproporre la sua poetica con Dati: 1. la caduta d’acqua, 2. il gas d’illuminazione, assieme con alcuni piccoli disegni in bianco e nero da Ingres.
Matisse continua la propria linea classica, aggiornandola con varianti verso l’essenziale; le generazioni successive riprendono il filo duchampiano-picassiano e con De Staël l’arte pittorica esplode in indicazioni che sono una inedita sintesi di colore e segno, non irretita da alcuna preoccupazione formalistica, sintesi tra astratto e concreto che fa’ nascere una nuova dinamica pittorica, lasciato ogni concettualismo, ogni realismo, ogni intellettualismo, esente da ogni pur velato trucco, giochetto, divertissement che sono gli aspetti laterali, pericolosi e dannosi di ogni atto artistico. De Staël ha capito che il destino della pittura si sarebbe giocato, da una parte sul come affrontare il rapporto astratto/concreto, dall’altra sul come relazionare sentimento ragione passione. Dare predominanza al sentimento conduce a risoluzioni già esperite; se è la ragione a dominare, le risultanze operative sono avulse da ogni contesto: sono autoreferenziali.
E la passione? E’ il “perno”, la condizione senza la quale non ci si può immettere nella relazione con l’arte e con la vita, con l’interno e con l’esterno. (Nietzsche)
Sans passion il n’y a pas d’art. (Matisse)
Allora bisogna porsi in gioco, scommettere la propria passione critico-creativa nella ricerca e nel ritrovamento di quella posizione più accordata alla propria individualità e più consona all’epoca - siamo sempre nel presente, siamo sempre nella contemporaneità.
Bisogna decidersi classici o manieristi. Bisogna decidere: ordine o ordinamento.
L’ordine non è imposto, ma cercato, desiderato e proveniente dall’interno dell’uomo; l’ordinamento è imposto dall’esterno, mai corrispondente alla struttura ontologica. L’ordinamento ha sempre imposto dei “regolamenti e regole” che la cultura ha sempre combattuto. Nell’epoca attuale, decisamente diversa dal passato prossimo, necessitano delle regole nuove, date dagli artisti/poeti. Regole che altri artisti/poeti combatteranno secondo una prospettiva di miglioramento della situazione artistico/poetica.
Il modo attuale dell’arte è il modo dell’individualità, non del personalismo del soggettivismo o dell’oggettivismo: individualità che è persona che decide responsabilmente di tentare (Eliot) la propria risposta alle esigenze dell’arte pittorica, lasciato ogni egoismo, spostatasi sul piano della necessità che è poi l’autentica libertà, conoscendo criticamente ogni esperimento effettuato, postasi all’ascolto dell’epoca nuova, respingendo ogni tentazione di sterili richiami per il ritorno al passato. Rimanere nel classico significa innovazione e rinnovamento delle forme dell’arte pittorica, facendo perno sulle espressioni che sentiamo consonanti alla nostra personale “fibrillazione creativa”.
Warhol Picasso Michelangelo. Su questi nomi Levo Rosenberg ha “puntato” relazionandoli all’arte degli anni settanta in poi, una pittura quest’ultima che non si dice più tale, “manierista” al punto di uscire dai canoni retorici e linguistici, bisognosa di aggettivazione come ogni incompletezza.
L’arte contemporanea può apparire una presa in giro - i critici l’ermeneutizzano in “provocazione “; talora è talmente banale che pare fattibile da chicchessia, non certo dai nasi dritti degli ignoranti che hanno una pancia e un cuore puramente meccanici. Acconsentono. Vedono e s’inebriano delle parole altrui, storditi dalla moda e dalle possibilità d’arredo di quello che potranno comprare.
Nel corpo e nell’anima, nell’occhio e nello spirito della Levo Rosenberg un demone si è mosso e si muove, un demone si è significato dando inizio all’impazienza poetica dell’artista che ha liberato l’inizio del proprio cammino artistico con serietà passione determinazione, aperta ad ogni possibile invenzione.
Un Segno l’ha confermata.
Dopo aver mescolato dei vetri frantumati con della poltiglia (?) per appiccicare le piastrelle al muro, ecco che la memoria, più forte della moda e dell’imbecillità, le fa’ incontrare un pomodoro di plastica che l’artista subito afferra, incolla su una tela e “circonda” di una frase destrogira: l’ultimo pomodoro. (1992)
Inizio della manifestazione di quel moto di libera necessità che rende tale un’artista, responsabile dinanzi a se stesso alla pittura al mondo.
Levo Rosenberg stringe d’assedio le emozioni e le costringe a “formarsi” in quei materiali che ha eletto tra le varie possibilità derivate dalla tecnologia attuale. Compie, presa da incantamento, continue sintesi: tra una scrittura che non significa niente e una pittura densificata sino all’espressionismo astratto; tra un supporto spatolato di bianco e un profilo umano incollato; tra il fascino della serialità e la grandiosità michelangiolesca: invenzioni ritmate da reticoli con la regolarità classica della commozione.
La sintesi è la modalità per salvaguardarsi dalla propria ossessione: la perfezione della circolarità dal pomodoro al bottone, la definizione perimetrica iterata nelle opere della Levo Rosenberg.
Classicità di intenzione.
Manifestata e ironicamente “negata” - la negazione di Freud.
Classicità di espressione.
Ogni “frammento” che si pone in esistenza poetica si ritrova in un Luogo che è rimandabile ad un punto di riferimento, ad un centro che non si vuole perdere e che è il simbolo guida, il segno-parola che dice la difficoltà della bellezza - non va sottovalutata la numerologia presente in queste opere derivata dalla tradizione ebraico-cristiana - del fare artistico che non può essere solo emozionalità soggettiva, solo dichiarazione psicologistica, solo negazione naturalistica, perché il mondo dell’autrice è tutto interiore. Si parte dall’esperienza per scegliere oggetti che architettano la mappa della sua geopolitica, della sua poetica che ci narra della fragilità delle cose, della loro inconsistenza nell’attuale cultura come pure dell’antico loro essere la polarità per dirigersi in questo pelago, per trovare le stelle per il navigare, la sinusoidale scia che timone e vela inseguono per non perdersi, per non essere “spostati”, fuori luogo, sbattuti a destra e a manca dal canto delle imperiture sirene.
Ogni opera d’arte è la trasformazione operata dall’artista, trasfigurazione di un oggetto in altro per modificare il cosmo, per tentare il cambiamento del mondo verso una posizione più corretta, verso un assetto più giusto. L’Albero dei Giusti. Il Giardino dell’Eden.
Non possiamo, non desideriamo, non vogliamo, dicono queste opere, essere cacciati dalla genealogia, dall’albero di Jesse, dal mondo perché, pur non essendo del mondo, siamo nel mondo e possiamo operare per il suo miglioramento.
Arte della ricognizione e del riconoscimento, questa della Levo Rosenberg.
La nostra sorte. Destino. Dannazione. Speranza. La condizione umana.
Non esistendo il capolavoro, paradigma della perfezione, invisibile approdo di ogni ricerca tentata, il problema che si presenta all’artista è quello di far collimare il più possibile il progetto con il progettato, il pensato con l’effettuato, attraverso l’uso della mente delle mani del cuore che non si sbriciola in sentimentalismi, ma si fortifica e si solidifica nella visione profonda delle cose, nel penetrarle con morbida violazione (l’eros), per conoscerle, per catturarle, per sapere di esse, per capire la ratio.
E il cuore è amico della mente del corpo delle loro estensioni (ancora una sintesi contro la divisione posta da Cartesio), per cogliere i materiali più nuovi, quelli più attuali, quelli che servono a fotografare la realtà, al fine di convertirla in reale.
La realtà è il mondo trovato, il reale è il mondo modificato.
L’arte è arte di idee, attraverso il sensibile materiale, senza fermarsi alla sciocca registrazione delle parti, pur sapendo che all’artista non è dato giungere alla luce: all’artista è dato di essere per la luce, di non venire da questa accecato, se non nell’istante della sparizione di ogni possibile rifrazione.
Il limite dell’uomo. Il limite dell’artista.
Levo Rosenberg riconosce tale limite e pur tentando con la sua forte passione di spostarlo sempre più avanti, sa che tale limite si ripresenterà comunque (la siepe leopardiana) e la ricaccerà indietro, in una durissima e interminabile sfida tra l’opera d’arte completata (e sperata come completa) e l’urgenza dell’opera nuova. In questa interminabile sfida la grandezza e la povertà dell’artista, la vittoria e la sconfitta, la polvere e la luce che vanno accettate, senza entusiasmi e depressioni eccessive, sicuri della propria vocazione, del proprio talento, della propria adeguatezza ai mezzi e alle conoscenze del tempo corrente, tutto spendendo di se stessi per aver maggiore riconoscenza.
Bruciarsi nell’opera d’arte, senza bruciare la vita. Arte e vita non sono opposte o contrarie, ma
integrate una all’altra: la vita un mezzo per l’arte e l’arte un mezzo per la vita, entrambe mezzo per il “grande intuire”, finalità dell’arte e della vita.
Tutti gli uomini sono artisti. Pochi lo diventano.
Questa la grande scommessa di chi si elegge artista, sentendosi tale, definitiva scelta che comporta
la corresponsabilità verso se stessi e gli altri, soprattutto verso quell’indeterminabile “mordicchiamento” del plesso solare dei lobi cervicali della circolazione sanguigna.
Levo Rosenberg tenta di difendersi da tutto questo dicendo, all’esterno, che fa’ quel che fa’ perché le piace, sapendo di ridurre l’importanza della sua opera, ma in effetti quando parla o discute con i suoi compagni di strada, non afferma più ciò sapendo di non potersi adagiare ad una inadeguata condizione psicologistica, sa che la propria psicologia non conta più niente, che la sua persona si è “affilata” per poter entrare nel Luogo della Poesia, dove la sua opera vive e resiste agli urti dei tempi – le mode - delle lusinghe, dei facili cedimenti.
L’oggetto è calato nella relazione di spaziotempo: un pomodoro rosso vive tra i rettangoli rossi di un calendario ebraico, è trattenuto dalla griglia dei numeri che gli permettono di esistere, ma condizionatamente. (red translation –from tomato to time, 1999). Ogni oggetto del mondo è al contempo nascita e morte, ogni oggetto esiste nella difficoltà di essere guardato veduto vissuto, anche le lettere che si trasformano in parole di senso in virtù di una trama e di un ordito che le imprigionano. L’essere e il non essere di Eraclito, prima ancora che Parmenide. (io ordito, 2002)
Il conflitto è padre di tutte le cose.
Ecco che Michelangelo vive al centro dell’opera, ora alla destra, ora alla sinistra, ora allungato in
una serie rossa o nera – l’apparire/lo scomparire – sempre dentro un’armatura di piastrelle che tra linee verticali ed orizzontali lo esaltano o lo riducono. (uomo piastrella con il pomodoro sotto l’ascella, 2003)
Grandezza e miseria dell’arte. Dell’uomo.
L’oggetto-pomodoro è paradigmatico dalle prime indicazioni della Levo Rosenberg. E’ il simbolo della vita, della sua forza e della sua inanità, è il simbolo della perfezione che sempre ricerchiamo, anche inconsapevolmente, è il simbolo dell’attività artistica che parte da un dato di fatto e lo stravolge, oltre ogni sentire, in un Luogo Diverso; è il simbolo della lingua che, trovata, si differenzia dal linguaggio per manifestare l’individualità critico-creativa, per essere testimonianza del vero, sfidando il possibile schiacciamento.
Ogni oggetto che partecipa a questa pittura, è caricato di simbolicità, ogni oggetto dice della storia (l’Inizio) che ci compete, e dell’Origine che, se pure desiderata, non ci compete.
Gloria e disperazione dell’artista. Dell’arte.
Nelle ultime opere ritorna la cabbala numerica: nove i quadri presentati, cento il lato del quadrato e ritorna il pomodoro mutato in cono, mantenendo il proprio colore rosso, adesso più cupo, più addensato di segni neri. Cabbala che ha permesso ai “quadri quadrati a quadretti” di diventare “quadri quadrati a conetti”, forse incolpevole necessità pittorico/poetica (Eliot) di far scaturire le implicazioni e le problematiche del suprematismo.
All’ombra dei papaveri cercano brulicanti d’arti gli uomini Levo Rosenberg ha tentato, bene risolvendo, una ulteriore sintesi tra tecnica materiali ideazione: ridurre fotografie del proprio vissuto in coni che si incastrano in buchi rotondi, allineati serialmente (Warhol) su supporti di plastica che sono forme della civiltà classica: il cerchio il quadrato il cono.
E le varianti sono pochissime, sfidando e rischiando l’iterazione, per squarci mancanti, per addensamenti, diluizioni, sottrazioni, forti condensamenti sempre tendendo occhio e orecchio alla propria anima che il fruitore deve ritrovarsi dentro come esplosione di rosso, di un rosso segnato di masse e striature nere, macchie di una consacrazione del sangue che troppo spesso è offeso e quindi si opacizza, per difesa, per resistere alle violenze, aprendosi alle bellezze e alle giustezze di una memoria che rimane leopardianamente attristata, per troppa ingiustizia e menzogna. Il sangue macchiato, il pomodoro-cono maculato sono sì una testimonianza del pensabile disfacimento del mondo e dell’uomo, ma nell’immobilità - non fissità - dell’opera riscattano tutta la positività dell’esistere, nonostante gli assalti e le malizie mondane.
Tutto è segno e il segno attende il significato che, primariamente gli è conferito dall’artista quando è poeta/dal poeta quando è artista (Stevens), quando fa’ corretta e sana ermeneutica ovvero ponendo il soffio della metafora e del simbolo fa’ esistere e persistere quel segno che diventa segno-parola, all’interno della materializzazione di un’idea che, per derivazione culturale e convenzione linguistica, diciamo poiesis.
Il configurare secondo un pensiero.
Levo Rosenberg pensa agli oggetti che le sono cari, che “le stanno bene e con cui sta bene”, e li significa con un atto di segno e di parola, loro unificazione oltre il significante per consegnarci un
paradigma complesso, articolato nei vari tasselli dei suoi “amores”, della sua storia umana e artistica dove presente è la natura come physis, la pittura, la poesia, la geopolitica, le invenzioni umane, i sentimenti, le riflessioni che filtrano ogni pesantezza storica che rendono lieve e semplice,
mai banale siccome incentrata su un legame unificante, siccome distanziata dall’io e quindi salva da ogni rozzezza, da ogni conclusione presuntuosa, da ogni volgarità del quotidiano.
Arte non può che amare eros che per tentar poesia maschera ironia.
Nella sua costruzione artistica del reale, l’artista rivela il proprio rapporto con la realtà, che è ambiguo, non ambivalente: preoccupato e giocoso, attento e impaziente, realisticamente ottimistico, desideroso della Bellezza che potrà veramente salvare il mondo, se sapremo cogliere la positività di un papavero, di una Lulù, di un pizzo di giarrettiera, di una margherita, di una fila di biciclette e di ombrelli, di un albero di pomodori.
Arte e Poesia non hanno mai salvato un uomo dalla morte. Arte e Poesia non hanno mai cambiato gli avvenimenti della storia e delle guerre. Ogni artista e ogni poeta - come cittadino - ha il solo dovere politico di salvaguardare la propria lingua pittorica e poetica dalla corruzione. Quando il linguaggio è corrotto la gente perde fede in quel che sente, e ciò conduce alla barbarie violenta.
E la cosa è particolarmente seria adesso.
Tra le tre o quattro cose per le quali un uomo d’onore deve essere pronto a morire, se necessario, il diritto alla Arte/Poesia e al Gioco non è il meno importante.
(attorno a Auden)
Ettore Bonessio di Terzet
9 febbraio del 2006
Contemporary art issues arised with and after the impressionist cycle. They are linked to the invention of photography, cinema, and television, of new technical means of reproducibility, of technology, and to the consumerist spread of mass media. They are linked to the loss of the object, the apparent disappearance of any reference to the reality of the senses, to the hyper-rationalization and intellectualization of culture, to the 'chastising' of the concepts of beauty, justice, and truth, of the harmony of balance, and individualism. All these attitudes make up a 'manierism' (Battisti) which, with every means, is fighting against the Form, because the latter is the summary of all these ideas and concepts and goes back to classicism. All of these issues were felt ahead of their times by artists like Duchamp, Picasso, Matisse, and Dalì, who, between 1902 and 1907, responded to them in different ways.
Duchamp and Picasso. The latter one went on with his operation up to the dissolution of creativity, while the former stopped and kept silent for twenty years, working behind his silence to present his poetics again with Data: 1. The Water fall, 2. The Lightning gas, together with some small black and white drawings from Ingres.
Matisse went on with his classic line, but he updated it with variations tending towards the essential. The following generations picked up the Duchamp-Picasso thread and, with Staël, pictorial art burst out with indications that are an unprecedented synthesis of color and sign, untouched by formalistic preoccupations, a synthesis between abstract and concrete, giving rise to a new pictorial dynamics, now free of any form of conceptualism, realism, intellectualism, and without any - not even veiled - trick, joke, divertissement, which are the collateral and yet dangerous and harmful aspects of each and every artistic act. De Staël understood that the fate of painting would be determined by the way the abstract/concrete relation was to be handled, on one hand, and, on the other hand, by the way sentiments, reason, and passion were to be linked together. To give more importance to feelings would be conducive to already attempted experiences. Conversely, if reason were to dominate, the resulting outcome would be detached from any context, it would be self-referential.
And what about passion? Passion is the 'hinge', the condition without which there cannot be any relation with art, life, or with our inner and outer world. (Nietzsche)
Sans passion il n'y a pas d'art. (Matisse)
Then, one has to challenge oneself, to bet on one's critical-creative passion, in order to look for and find a position that best matches one's individuality and best suits the times, since we are always living in the present, in our contemporary times.
You have to make up your mind: classic or manierist. You have to decide: order or norm.
Order is not something imposed, but rather looked for, desired, and originating from our inner self. Conversely, the norm is imposed from the outside, it never matches any ontological structure. The norm has always imposed 'rules and regulations' that culture has always fought. In our current times - certainly differently from even the recent past - we need artists/poets to provide new rules. Rules that other artists/poets will fight, in order to constantly improve art and poetry.
The way art is pursued today, it is based on individualism, not on personalism, subjectivism, or objectivism. Individualism, which means that each person responsibly decides to try (Eliot) and find his/her way to meet the needs of pictorial art, after having left out any sort of egotism, moved to the plane of necessity - which is, in fact, real freedom -, and after having critically learned about all past experiments, listened to the new times, and rejected any temptation to a sterile return to the past. Sticking to classics, means to innovate and renew the forms of pictorial art, by working on the expressions that we feel to be more consonant to our personal 'creative fibrillation'.
Warhol, Picasso, Michelangelo: these are the names Levo Rosenberg has focused on, by linking them with the art from the '70s onward, a type of painting that cannot be called painting any more, and 'manierist' to the point that it escapes all rhetoric and linguistic criteria, badly needing new adjectives, just like anything incomplete.
Contemporary art may appear to be pulling your leg - critics hermeneutically call it 'provocative'. Sometimes it looks so ordinary and trivial, that it gives the impression that anybody - but certainly not those snub-nosed, ignorant people with just a mechanical belly and heart - would be able to do the same. They nod. They see and become intoxicated by other people's words, stunned by fashion and by the furnishing options provided by what they can buy.
In the body, soul, eyes and spirit of Levo Rosenberg, a demon has stirred and is stirring, a demon has expressed himself giving rise to the poetic impatience of the artist, who has given freedom to her artistic journey with honesty, passion, determination, and keeping an open door to any possible invention.
A Sign has confirmed it.
After having mixed glass fragments with a putty to stick tiles onto the wall, here, her memory - stronger than fashion and imbecility - makes her come across a plastic tomato, which the artist immediately grasps and sticks onto a canvas, and surrounds it with a dextro-rotary sentence: The Last Tomato (1992).
This is the first sign of a motion of free necessity, which makes an artist worth this name and fully responsible to herself, to painting, to the world.
Levo Rosenberg besieges emotions, forcing them to 'shape' themselves into materials that she has chosen out of the various options provided by today's technology. Out of some sort of enchantment, constant syntheses are accomplished: from a meaningless writing, to a paint that is so dense to become abstract expressionism; from a white spatulated substrate, to a glued human profile; from the fascination of serial patterns, to Michelangelo's magnificence: rhythmic grid-like inventions, with the classic regularity of emotions.
Synthesis is a way to protect oneself against one's obsession: the perfection of circular shapes, from tomato to button, and the iterated perimetral definition in Levo Rosenberg's works.
Classicism of intention.
Manifested and ironically 'denied' - Freud's denial.
Classicism of expression.
Each and every 'fragment' with its poetical existence finds itself in a Place that can be related to a reference point, to a center not to be lost and which is the guiding symbol, the word/sign which tells us about the difficulty of beauty (without underestimating the importance of numerology in all these works derived from Jewish-Christian tradition), of art making, which cannot be just subjective emotions, psychological statements, naturalist denial, because the world of this artist is exclusively an inner world. Experience comes first, to pick up items used to design the map of her geopolitics, of her poetics that tells us about the fragility of things, which, although insubstantial in today's culture, have always been a lighthouse, directing us in this ocean, helping us find the stars for our sailing, the sinusoidal wake both the rudder and the sail are following, in order not to get lost, hurled about by the song of the eternal sirens.
Each work of art is the transformation, the transfiguration by the artist of an object into another object, aiming at modifying the cosmos, at attempting to change the world towards a more correct position, a more appropriate trim.
The Tree of the Righteous. The Eden Garden.
We cannot, we wish not - these works are saying - to be chased out of the genealogy, of Jesse's tree, out of the world, because, although we do not belong to it, we live in it and can work to improve it.
Art of recognition, this is Levo Rosenberg's art.
Our fate. Destiny. Damnation. Hope. The human condition.
Since there is not such a thing as the Masterpiece - the paradigm of perfection and the invisible landing of every attempted search -, the problem the artist has to face is to have the project match, as much as possible, the design, what is thought match what is accomplished. This is done by resorting to the mind, the hands, the heart, which does not crumble into sentimentalism, but rather becomes stronger and firmer in its deep outlook at things, by getting into them through a soft violation (eros), in order to get to know them, capture them, learn about them, and understand their rationale.
And the heart is the friend of the mind, of the body, and their extensions (another synthesis against Descartes' division), aiming at detecting the latest materials, the most current ones, those used to take a snapshot of reality in order to turn it into the real world.
Reality is the world that we have found, the real world is the modified world.
Art is the art of ideas, through sensitive materials, without stopping at the mere recording of the individual parts, fully aware that the artist is not allowed to see the light: the artist is allowed to be for the light, not to be blinded by it, except when every possible refraction disappears.
The limit of man, the limit of the artist.
Levo Rosenberg acknowledges this limit. Although she continuously tries to move it forward with her strong passion, she knows well that this limit will come back again and again (Leopardi's hedge) and she will move it back again, in a very difficult and endless struggle between the finished (and hoped to be finished) work of art, and the urgency to start a new one. In this endless struggle, the artist's greatness and poverty, victory and defeat, dust and light must all be accepted, without excessive enthusiasm or depression, sure of one's vocation, talent, and fitness to the means and knowledge of our present times, and by giving up oneself totally to gain more gratitude.
Burning inside the work of art, without burning one's life. Art and life are no opposite, nor contrary to each other, conversely, they are integrated with each other: life is a means to make art, and art is a means for life, and both are means for the 'great intuition', which is the aim of both art and life.
All men are artists, but few of them become artists.
This is the great challenge of those who elect themselves as artists, because they feel to be so. It is the ultimate choice, which means they are responsible both for themselves and for the others, especially for that indefinable 'nibbling' at the solar plexus, the cervical lobes, and blood circulation.
Levo Rosenberg tries to defend herself from all this, by saying to the outside world that she does what she does, because she enjoys it, well aware that she is belittling the importance of her work. Actually, when she talks or discusses with her travel mates, she doesn't say so any more, since she knows that she cannot afford resting on an inadequate psychologist condition, she knows quite well that her psychology is worthless, that she has become 'sharper', in order to be able to enter the Place of Poetry, where her work lives and survives the shocks of time, fashion, flattery, and easy concessions.
Each object is put into the space-time relation: a red tomato lives among the red triangles of a Jewish calendar, trapped inside the grid of numbers that allows it to exist, but at a condition (red translation from tomato to time, 1999). Every object in the world is birth and death at the same time, every object exists despite the difficulty of being looked at, seen, and lived. Even letters turn into words, into meaning, through a warp and a weft that are imprisoning them. It reminds of Heraclitus' "we are and are not", even before Parmenides. (io ordito, 2002- I am the warp)
Conflict is the mother of all things.
Here we have Michelangelo living at the center of the work, a bit on the right‚ a bit on the left, a bit elongated through a red or black series, 'appearing/disappearing' inside an armour of tiles which highlight or belittle him through vertical and horizontal lines (uomo piastrella con il pomodoro sotto l'ascella, 2003- Tile-man with a tomato under his armpit).
Greatness and misery of Art, of Man.
The tomato-object is a paradigm of Levo Rosenberg's early indications. It is the symbol of life, its strength and vanity; it is the symbol of perfection that we are constantly pursuing, even unconsciously; it is the symbol of artistic activity which begins from a fact and radically changes it beyond all expectations into a Different Place. The tomato is the symbol of language which, once discovered, becomes a language with which critical-creative individualism can be expressed, to give evidence of the truth, while challenging the possibility of being squashed.
Each and every object that takes part in this painting is loaded with symbolic meanings, each and every object tells the story (the Beginning) that concerns us, and speaks about the Origin which, although wished for, does not concern us.
Glory and despair of the artist, of art.
In her more recent works, the Kabbalah of numbers is back again: nine square pictures, with one meter long sides, are presented here. Here the tomato comes again, changed into a cone, while the red color is the same, but a bit darker, and denser with red signs. This Kabbalah has allowed 'quadri quadrati a quadretti' (checked square picture) to become 'quadri quadrati a conetti' (coned square picture), maybe out of a blameless pictorial/poetic need (Eliot) to let implications and issues of suprematism spring out.
"All'ombra dei papaveri cercano brulicanti d'arti gli uomini" (In the shade of poppies searching men swarming with limbs): here Levo Rosenberg has tried, and succeeded, I would say, to make another synthesis between technique, materials, and ideas: to turn pictures of her own life into small cones inserted into round holes serially aligned (Warhol) on plastic supports, all of them shapes from classic civilization: the circle, the square, and the cone. Variations are really few - hence challenging and risking iteration - through missing gaps, clusters, dilutions, subtractions, strong condensations, but always keeping her eyes and ears on her soul, that users will have to find inside them as an explosion of red, of a red marked by black masses and stretches, spots signed by the consecration of blood, which too often is offended, hence it becomes mat, as a sort of defense, of resistance against violence, while opening up to the beauty and justice of a memory reminding of Leopardi's sad style, because of too much injustice and too many lies. The stained blood, the maculated tomato-cone are certainly evidence of a thinkable decay of the world and of man. However, in the immobility - not rigidity - of the work, they gain back all positive elements of existence, in spite of mundane assaults and tricks.
Everything is sign and the sign is waiting for meaning which, primarily, is conferred to it by the artist when she is also a poet, and by the poet when she is also an artist (Stevens), when practicing the right and proper hermeneutics. Namely, by breathing a metaphor and a symbol, she brings and keeps to life that very sign, which becomes a word-sign, within the materialization of an idea which - out of cultural development and linguistic convention - we call poiesis.
Configuration according to a thought.
Levo Rosenberg thinks about the objects she loves, that fit her and with which she feels comfortable. She gives them a meaning with a sign and a word, that unify them beyond their very meaning, to deliver to us a complex paradigm structured into the various pieces of her 'amores', of her human and artistic history, where nature is present in the form of physis, where every historic weight is filtered through painting, poetry, geopolitics, human inventions, feelings, thoughts, making it light and simple, never trivial, as if it were concentrated through a unifying bond, and as if it were detached from the self, hence saved from every roughness, presumptuous conclusion, and daily vulgarity.
Art cannot but love eros, which, to attempt poetry, hides irony. In her artistic construction of reality, the artist reveals her actual relationship with reality, which is ambiguous, non ambivalent: this relationship is worried and playful, careful and impatient, realistically optimistic, desirous of Beauty, which will really be able to save the world, if we can understand the positive side of a poppy, of a Lulù, of a garter lace, of a daisy, of a row of bicycles and umbrellas, of a tomato plant.
Art and Poetry have never saved a man from death. Art and Poetry have never changed the events of history and wars. Every artist and every poet - being a citizen - has only the political duty to safeguard his/her own pictorial and poetic language from corruption. When the language is corrupt, people lose their faith in what they feel, and this leads to violent barbarity.
This is specially serious nowadays.
Of the three or four things for which a gentleman must be ready to die, if necessary, the right to Art/Poetry is not the least important.
(around Auden)
Ettore Bonessio di Terzet
February 9, 2006
Ettore Bonessio Di Terzet [Critico d'Arte, professore di Estetica Università di Genova]
NELLA DERIVA DEL ROSSO
acetato, dc-fix, pellicole radiografiche, spilli s, 2008
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