Recensione Lorenzo Basile, artista e poeta
Dolore e catarsi: l’arte come strumento di salvezza Hylde Salerno nasce a Sarno (SA) nel 1984, città dove attualmente vive e lavora come docente presso la scuola secondaria. Laureata in lingue e letterature straniere con indirizzo Storia del teatro e in Lettere con indirizzo filologico, fin da giovanissima si cimenta nell’arte visiva con ottimi risultati sia dal punto di vista espressivo che concettuale. Nel corso della sua carriera artistica prende parte a manifestazioni di grande rilevanza nazionale quali Paratissima, la Biennale di Salerno, “Women” al Museo di Storia M.O.A. Eboli, Artemediterranea Biennale a Pisa, “Arte per la Giustizia” al Complesso San Giovanni di Cava de’ Tirreni, “Survival” al C.A.M. di Casoria. Vanta diverse pubblicazioni tra cui un catalogo edito da Arpeggio Libero Edizioni, “Dimenticanze" del 2020 e "Claustrophobia" del 2022. Hylde Salerno è sicuramente un’artista complessa e introspettiva, che attraverso le sue opere, ci racconta non solo il dramma della società contemporanea, sempre più dominata dal consumismo e dal mito “dell’apparire”, ma soprattutto la sua storia interiore. Le opere dell’esordio sono caratterizzate da una pittura gestuale, con colori prevalentemente freddi ( azzurro, viola, verde) dove il dripping è sua la principale cifra stilistica. Successivamente, sulla scia dei grandi artisti informali che hanno caratterizzato l’arte del secondo novecento, in particolare Hans Hartung, Giuseppe Capogrossi e Franz Kline, approda all’astrazione segnica. La tela diventa così l’area dove il gesto e più specificamente il segno costruisce forme e legami, una specie di scrittura ritmica che dilata e delimita gli spazi del supporto. Con il passare degli anni Hylde riscopre la bellezza della figura e soprattutto del volto, con le sue infinite possibilità espressive. Le sue ultime opere nascono da una commistione di linguaggi, uno sposalizio tra la fotografia, il disegno e la pittura, lo stesso procedimento usato dall’artista Mario Schifano, che dalla fine degli anni Ottanta, nell’arco di dieci anni, rielaborò decine di scatti fotografici, catturate dai televisori. Prende così corpo una narrazione estremamente interessante che scava nella carne viva dell’essere umano. Le sue opere, quasi tutte elaborate con tecnica mista, esprimono appieno il disagio dell’uomo contemporaneo che è vittima di disturbi psicologici quali la claustrofobia, l’ansia e la fobia. Il ciclo “Dimenticanze” è “una narrazione in 15 episodi realizzati dal 2017 al 2019. Si compone di 15 opere, 10 delle quali corrispondono a 10 episodi la cui tematica è l’assenza e di 5 episodi specifici sulla maternità. E’ una narrazione trasformatrice, un’ elaborazione per immagini dell’ansia. Il fil rouge che lega le opere è la volontà di sublimare il dolore della perdita di una parte di se’ che comporta ogni attacco di panico e prendere consapevolezza delle metamorfosi di quel faticoso momento di transizione...Pur crocifiggendo e mettendo al muro l’autrice stessa, condannata per sua propria natura a riproporre in eterno i suoi cicli d’ansia e a doversi allontanare da sé per trasformarsi, qui si ribadisce la presenza al cospetto del proprio sangue mestruale. E’ il sangue che rende il corpo presenza. La commistione tra l’opera e l’ autore è completa: il corpo e il sangue dell’autore sono stati immolati sull’altare dell’arte. Il pubblico può rientrare all’interno della narrazione. Trasformato.” Il ciclo “Maternità è una serie di 5 opere sugli aspetti brutali del parto, della fecondazione, della perdita ma anche sul parallelo tra la nascita e il concepimento di un figlio e quello di un’opera d’arte. Il dolore collettivo, narrato nella produzione precedente, diventa autocentrato, con una forte presenza dell’artista, e universale, reso corale dallo sguardo dello spettatore. Il protagonista è il corpo. Sono dipinte con sangue mestruale: si teatralizza, così, la fecondità come capacità di procreare e la fertilità come capacità di generare. Qui si ribadisce la presenza al cospetto del proprio sangue mestruale. E’ il sangue che rende il corpo presenza. La commistione tra l’opera e l’ autore è completa: il corpo e il sangue dell’autore sono stati immolati sull’altare dell’arte.”. Le opere del ciclo Clastrophobia denotano “una ricerca svolta nei tre mesi di lockdown dovuti alla pandemia. Il titolo è emblematico: le persone claustrofobiche percepiscono lo spazio come ristretto e opprimente. Al chiuso sembra loro che non ci sia aria a sufficienza e che possano soffocare da un momento all’altro. Le dieci opere che compongono Claustrophobia ritraggono un soggetto asfissiato, oppresso, schiacciato dal suo stesso pensiero e dalle sue proiezioni distorte”. Nelle sue ultime opere, che appartengono al ciclo “Ex voto” il racconto diventa più personale e introspettivo. L’artista in quest’ultimo ciclo, dove usa prevalentemente la tecnica mista, mette a nudo la sua anima. In queste opere il disegno, la foto e soprattutto la poesia, sigillano, come in uno scrigno, le emozioni, i ricordi- soprattutto dolorosi- di un’anima che cerca disperatamente di riconciliarsi con se stessa e con il mondo. Il dolore però non è mai solo un supplizio fine a se stesso ma uno strumento di catarsi che viene sublimato attraverso l’arte. I riferimenti religiosi che vengono indicati nelle opere sono solo un pretesto per raccontare l’altrove dei suoi pensieri e del suo vissuto anche familiare. In conclusione possiamo affermare che l’arte di Hylde Salerno, soprattutto quella degli ultimi cicli, concede poco o nulla alla ricerca meramente estetica, ma si declina quasi esclusivamente come strumento di introspezione, emancipazione e denuncia sociale. L’artista attraverso l’arte cerca la propria salvezza perché “nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, modellato, costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall'inferno.” 21 gennaio 2023 Lorenzo Basile
Lorenzo Basile [Artista, Poeta]
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