Testo critico Gerardo Pecci, storico e critico dell'arte
QUANDO L’ARTE DIVENTA RINASCITA Le forme artistiche di Hylde Salerno Sublimare il dolore della perdita per sostituirla con una creazione artistica che diventa consapevolezza di sé: è una parte importante della poetica pittorica e visiva di Hylde Salerno. Anche l’attacco di panico diventa il luogo del vuoto e dell’affannata ricerca di se stessa, riempito però dal fare arte, dal recupero di ciò che si credeva perduto, una nuova porzione e una nuova consapevolezza di sé che si afferma con le forme, con i colori, con i materiali, con le idee dell’arte. Una visione artistica vista, e soprattutto percepita, come riappropriazione dello spazio e dei tempi della vita. Il cammino del gesto artistico è come un gesto catartico, il riempimento di una mancanza attraverso una forma che finisce per cucire antiche ferite, per cicatrizzare un dolore, per proporsi come una rinnovata visione di sé e del mondo circostante, ridando voce alla vita, urlando anche quando nessuno sente o è disposto ad ascoltare. Ma l’arte capta, è in grado di catturare il dolore, l’assenza, il non-essere, per poi vincere lo stesso dolore e riproporsi con i materiali, con le forme, con i colori. Anche l’urlo, graffiante e assordante, è liberazione di energia creativa. Gli attacchi violenti e incontenibili «alle tele, sbrandellanti la realtà personale dell’autore […]», come afferma la stessa artista, vogliono proporsi come espressione urlante di una realtà vitale in continua tensione, fino a raggiungere l’eterna possibilità dell’arte che diventa specchio della propria identità che si trasforma, che acquista una rinnovata visione di se stessa. L’arte è per eccellenza il regno del possibile, laddove essa è in grado di reggere il confronto con la vita vissuta, con le realtà mutevoli e multiformi dell’esistenza. Hylde Salerno sa che fare arte è una possibilità di salvezza: è una messa in codice di sé e dei propri sentimenti, sa che l’arte non è uno spettacolo, non mente e non può mentire. In questo modo, icasticamente, la realtà diventa possibilità artistica. Il sangue vero e vivo diventa materia cromatica e pittorica che urla, si dimena, che schizza e bagna violentemente la superficie delle opere che diventano esse stesse un pezzo di realtà, laddove la protagonista è la stessa figura femminile dell’artista, che diventa soggetto-oggetto da vedere, da capire, da amare, pur nella drammaticità dell’eloquenza fotografica e nella presenza del proprio sangue mestruale. Anzi, forse proprio per questo, i temi della vita, l’intimità, la sessualità, e la stessa gestualità artistica, diventano gli spazi possibili di una pittura che graffia la coscienza e ne diventa il vessillo reale, tanto nella complessità generale dell’universo umano quanto nell’eterno mistero della maternità, come topos privilegiato che ci offre il senso totale dell’esistenza, il ciclo mestruale può essere paragonato al ciclo della vita, come paradigma privilegiato e idea dell’esistenza umana. Infatti, la stessa artista ha puntualizzato questo passaggio in cui il colore cede il passo al sangue e la stessa femminilità è vissuta come «capacità di procreare e la fertilità come capacità di generare». Non possiamo più parlare di arte come “teatralizzazione” della realtà, ma di arte come visione di vita concreta, come emozionalità pensante e come forma artistica agente. Il richiamo al rito sacrificale, a una rinnovata visione dell’antico tema iconologico (e tuttavia sacro) della crocifissione, è affrontato attraverso un’inconsueta iconografia ed è sicuramente uno dei momenti più forti e più alti della poetica pittorica di Hylde, ma anche quello che maggiormente riflette il pensiero di vita che diventa arte, che si trasforma in arte viva. Ed è forse per tutte queste ragioni che l’arte è sempre fonte di catarsi e di rinnovamento e quindi possiamo dire, contro ogni evidenza, anche la più catastrofica, che finché c’è arte c’è, e sempre ci sarà, vita. Dalle profondità e dagli abissi del dolore si può risorgere. Attraverso l’arte si afferma sempre il diritto alla vita, in fondo fare arte significa rinascita di sé e del proprio sentire e percepire il mondo.
Gerardo Pecci [Storico e critico dell’arte, insegnante]
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