Clastrophobia è una ricerca svolta nei tre mesi di lockdown dovuti alla pandemia.
Il titolo è emblematico: le persone claustrofobiche percepiscono lo spazio come ristretto e opprimente. Al chiuso sembra loro che non ci sia aria a sufficienza e che possano soffocare da un momento all’altro.
Le dieci opere che compongono Claustrophobia ritraggono un soggetto asfissiato, oppresso, schiacciato dal suo stesso pensiero e dalle sue proiezioni distorte.
Il 9 Marzo 2020 in Italia viene annunciato l’inizio del lockdown; quella che doveva essere una misura rapida per il contenimento del virus, diventa una data storica per la nostra nazione che ci pone innanzi subito la drammaticità della circostanza.
Tre mesi sono lunghi a passare. Con la domiciliazione forzata le case diventano troppo strette, l’angustia la fa da padrona, i rapporti tra conviventi sono tesi perché non è facile condividere il proprio spazio vitale con qualcuno e la convivenza diventa connivenza; altri sono soli e non hanno nessuno con cui condividere nulla e sono, quindi, costretti ad un isolamento inevitabile. Le pareti domestiche si trasformano in una sorte di prigione da cui è impossibile scappare. Il vivere quotidiano è penoso e angoscioso.
I media, intanto, parlano dei drammi nel dramma, come la violenza domestica, i suicidi, gli omicidi e l’esposizione a simili notizie su larga scala porta ad un aumento degli esiti psicologici negativi.
Quando si delira, dal latino de lira, fuori dal solco, si perde lo stato di coscienza e lo stato psichico si altera, travalicando appunto i limiti del solco reale e invadendo campi immaginifici falsati e distorti. In una tale condizione, ogni convivente può diventare un possibile assassino o una possibile vittima e gli oggetti del quotidiano si fanno simboli di una pesante condizione mentale. Una griglia da forno è una porta con sbarre di una cella, un bagno rilassante è una pozza in cui annegare, l’ombra di un cavo elettrico che dondola è un cappio. Quando la mente è inquieta, ogni cosa è alterata. I soffitti delle stanze e le pareti sembrano restringersi e schiacciare le persone, essi sono limiti oltre i quali nessuno può spingersi ma contro cui ci si può accartocciare per poi ripiegare su se stessi; la propria immagine è distorta come i propri pensieri.
Al centro dello studio è sempre un chiaro riferimento alla figura umana, per richiamare l’attenzione sul tema dell’identità e sulla sua stessa rappresentazione. Tenendo conto dell’evoluzione dello stile espressivo e delle tematiche trattate, se già in Dimenticanze il riferimento autobiografico era forte e con Maternità si è scavato nei meandri del corpo e delle sue capacità creative, con Claustrophobia si scava nell’anima, lasciando prevalere, su tutto l’effetto d’insieme, l’elemento emotivo ed evocativo. Il topos del tratto nero a contornare le figure è sempre presente, il segno dell’angoscia tipico della mia poetica, quello che copre e annuncia le paure primordiali, creature mostruose e inquietanti che albergano nell’essere umano. Nessun happy ending in questa serie, solo l’urgenza di trovare momenti necessari a riprendere fiato; nessuna suggestione visiva appagante ma opere di impatto in cui lo spirito possa riconoscere parte di se’ nel mezzo di un dramma collettivo.