Degli occhi di Ecate il riverbero
L’atmosfera scelta da Tiberio Gracco, ed esplorata con cura, è la notte, presente nei cromatismi varianti e digradanti dei blu e nei soggetti ritratti. La notte, dispensatrice del riposo, liberatrice degli affanni del giorno, è la madre del sonno e dei sogni, ma più profondamente di una dimensione libera d’indagine del sé, non legata a preconcetti, sovrastrutture e ragione, ma sciolta, selvaggia analisi introspettiva. Spesso, i protagonisti raffigurati hanno occhi socchiusi, dormienti danzanti privi di gravità, sono in attesa, protesi all’ascolto che solo una dimensione notturna e silenziosa può favorire e accompagnare. Anche la luna è spesso presente nell’iconografia dell’artista: come astro, delicato sorriso che taglia il blu della notte; come luce soffusa che illumina con finezza la raffigurazione conferendole un’aura mitica e magica; come monile, gioiello simbolico che richiama il ricorso periodico. Morire e divenire in una ricerca di formazione-configurazione che è tematica carissima all’artista richiamata, altresì, dalla chiocciola che è, iconograficamente, acconciatura e vezzo femminile, ma anche metafora di ciclicità. L’attenzione alla scoperta di ciò che sfugge all’uomo, pur appartenendogli fortemente, è nella presenza delle stelle, forme stilizzate e veloci che sovrastano i protagonisti del dipinto, con l’accezione affascinante sia di simboli dell’ordine cosmico che di luminosi custodi. Dunque, negli “squilibri” dettati dalla fatica della ricerca e dalla sua immensità, ecco gli “equilibri” geometrici e spirituali dei punti di riferimento che orientano e vegliano: tutto, infine, è richiamato al bilanciamento, alla perfezione, alla catarsi. Lo studio e la proposta rappresentativa dell’artista, predilige la figura femminile in triade che nella mitologia è un tratto caratteristico del mondo ideale dell’antichità (Grazie, Ore, Parche, Erinni) ma è una novella Ecate la protagonista delle tele, l’enigmatica dea legata ad ancestrali riti e simbolismi e allo stesso tempo portatrice di un inesplorato futuro, congiunta, in ogni caso, al cielo. La donna appare sofisticata nella splendida eleganza del nudo, persa in lunghi abbandoni, sospesa negli intrecci, esibisce un corpo senza tempo, filiforme, diafano, trino, ove il capo allungato rievoca i rituali delle principesse egizie che, dopo la prigionia dei bendaggi in fasce, ostentavano una bellezza che le consacrava, con fattezze non più umane, per sempre figlie del divino. Ma ecco che il passato si lega indissolubilmente al futuro: sono fanciulle dai lineamenti alieni, ultraterrene in un’accezione inattesa, ideale, ventura: affascinante e misteriosa, quella di Tiberio Gracco, appare come una visione umana raccontata da nuovi dei. Liricamente, essi, combattono contro nastri e nodi, prigioni e gabbie dell’io, ma è una lotta danzante ove è la grazia a vincere contrasti e inquietudini. Spesso le figure sono accovacciate, rinchiuse su se stesse, nuovamente cicliche, boccioli poeticamente tormentati, altre, per antitesi, protese e slanciate fluttuano, altre sono in formazione: un apparente non-finito ne connota la metamorfosi sotto gli occhi dello spettatore. Leggere figure, a volte, percorrono città invisibili, accenno ad un contesto umano esistente, ma lontano, quasi visione della memoria. Tra i colori dominanti quelli che posseggono appieno la vita: l’oro della perfezione posto in relazione alle forze superiori, alla luce, a una desiderata incorruttibilità; il rosso del sangue, essenza e anima delle travolgenti voluttà di Eros e dell’iraconda forza di Ares. Tra i numerosi pregi della complessa concezione che caratterizza l’opera di Tiberio Gracco, c’è la citazione simbolista, travalicata e sublimata in un sintetismo grafico-formale di grande raffinatezza, poiché, nell’artista, tutto è “sentire”: i soggetti ritratti non sono solo in ascolto, ma appaiono velati, trafitti dalle trasparenze, riflettono, inglobano ciò che li circonda. Tutto questo è espresso attraverso cromatismi essenziali di rara eleganza che rendono immediata la fruizione di una seppur complessa poetica di fondo. Vestali e oracoli, le donne di Gracco, raramente rivolgono lo sguardo verso l’osservatore, regine irraggiungibili di un mondo agognato dai mortali, scintille, riflessi e bagliori dello sguardo di Ecate.
Antonella Nigro [Critico d'Arte]
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