Mates, mostra in personale di Andrea Lillo
Parlare d’arte contemporanea nel divenire storico di ciò che intendiamo per contemporaneo non è assolutamente cosa semplice: da una parte infatti ci rivolgiamo a codici estetici prefabbricati in cui gli –ISMI definiscono gli atti della creazione secondo le spietate leggi del mercato in cui fenomeni come la visibilità è determinata non tanto dalla bravura ma dalla capacità dell’artista-manager di filtrare i connotati della pubblicità attraverso mostre, internet, media; dall’altra invece cerchiamo le emozioni e queste non possono essere etichettate con il rischio però di relativizzare tutto e scadere in quel buonismo in cui tutto va bene o che serva alla propria esperienza personale per crescere nel qualunquismo esagerato. Delle due l’una. Dal secondo dopoguerra ad oggi l’artista genio, ribelle, osservatore sublime del mondo in mutamento è diventato pensatore visivo. L’arte è intelligente e per quanto razionale/irrazionale, per quanto gestuale, situazionale, minimale, scarnita cioè di qualsivoglia orpello sino alle astrazioni più intime o surrealizzata in tutte le deformazioni possibili della materia e del colore resta comunque intelligente. A questo punto risulta paradossale immergersi nelle smodate fiere modaiole delle vanità a cui gli artisti ed il mercato accedono ciecamente con l’unico scopo di mettersi in mostra e che sia un evento torinese, quanto una fiera milanese, romana, tedesca o americana non cambia niente: ogni periferia del mondo globalizzato è uniformata e connessa al cyberspazio telematico in cui l’AI selezionerà sempre più quanto dovrà sopravvivere in rete attraverso l’immagine generando tendenza e quanto dovrà invece cadere nell’oblio. Eppure ogni gesto, ogni scelta comportamentale, qualsiasi situazionismo o scelta poverista, corporea, ambientale decadrà nel calderone dell’arte intelligente, concettuale. Tutto ciò che esiste in arte oggi è concettuale: dal ready made all’object trouvè, dall’iperealtà all’oggetto funzionale. Che sia astratto o figurativo è intelligente e di conseguenza concettuale. Eppure gli equilibri del secolo precedente si stanno frantumando e l’intelligenza stucchevole che arreda i musei sta cadendo in disuso. L’obiettivo della nuova creatività deve essere fondamentalmente post-concettuale ovvero purificata di quella logica che ossessionava e limitava tutta la produzione artistica precedente ad uno stereotipo globale e consolidato proprio dal mercato e dal sistema Arte. Ecco come arriviamo ad Andrea Lillo. La mostra Mates evoca compagni, figure vicine e lontane nello spazio e nel tempo che fanno parte del suo immaginario e che la accompagnano come entità protettrici e animiche nel mondo reale. Questi compagni ideali, queste anime intrappolate nella forma mediate la sequenza degli olii su tela divengono sguardi vivi, punti di riferimento, fulcri stabili in un mondo in costante movimento. Classe 1978 nasce in Sud America a Guayaquil Ecuador sino poi al suo trasferimento nel nostro Paese dove quasi per caso inizia a dipingere. Ed è qui che mette in campo la sua tecnica minuziosa mediante uno stile Iperreale attuato dalla profondità della monocromia in cui si ispira a celebri fotografie di grandi maestri della storia; grazie a questa operazione dunque sembra riportare in vita pittoricamente vecchie fotografie animandole di quel qualcosa in più. Della fotografia in realtà coglie l’attimo in cui è stata impressa, l’istante in cui quello sguardo si è fissato sulla pellicola, il momento celestiale in cui quell’anima è stata rubata: in questo gesto melanconico di pop, iper, post trasmissione di valore estetico post novecentesco, post-concettuale, post-impressivo genera un‘ESTRAZIONE fotografica che ho definito fotoestrattismo secondo cui parte da un singolo dettaglio colto nella realtà od in quella zona spuria tra realtà ed interpretazione di una fotografia tradizionale da cui però inizia il suo viaggio pittorico ricercando quanto più debba essere riportato in vita fedelmente: un fulcro energetico dal quale poi ricerca il momento dilatato in tutte le sue forme. Il fotoestrattismo della Lillo a prescindere dalla sua ricerca precedente o dalla sua provenienza culturale è l’espressione pura di una posa che metteva in risalto un volto, uno sguardo, un centro focale di energia da cui il flusso di linee, di colori e movimenti strutturali ha preso corpo e dimensione: assistiamo così al malinconico sguardo dei Soggetti Prigioni come Mick (2021) che stringe tra i denti un coltellaccio o 1984 (2020) in cui è il monocolo e la sigaretta del soggetto ad attrarre la nostra attenzione così come nella Petite Chérie (2021) nel gesto sospeso della mano della bambina che sorregge un oggetto mostrandolo al pubblico sino al Self portrait (2020) in cui sono sempre gli occhi dell’artista stessa il punto di gravità da cui tutto il magnetismo si muove. Dai soggetti prigioneschi ovvero racchiusi in queste gabbie emozionali poi abbiamo i Soggetti Corali come in Sons (2021), The Trip (2021) o Young Women (2021) in cui la Lillo descrive occhi parlanti e di conseguenza soggetti assorbiti dalla propria storia, dalla propria cultura, dal proprio mondo ma isolati sempre nella propria individualità e nella profondità della propria anima. Il fotoestrattismo lillesco consiste proprio nell’isolare la dignità del soggetto estrapolato così dal suo universo di provenienza e riportato in evidenza mediante una pittura diretta, sincera, priva di filtri ed illusioni. Occhi parlanti nel silenzio della ragione. Il resto lo farà il pubblico confrontandosi con il potere di queste immagini e donando ad esse un grado empatico di emotività grazie alla quale l’opera stessa prende corposità e diviene viva. Muoversi tra questi lavori è come attraversare una galleria di specchi riflettenti che non ti perdono mai di vista.
sabato 10 dicembre 2022
Via Vanchiglia 16 - Torino - Torino - Italy
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