i segni dell'anima
Il vino del solitario è quello che scorre nell'inchiostro di Carmen. E' il vino di Baudelaire, dei suoi decrepiti ma fieri cenciaiuoli, degli assassini, degli amanti che, come due cherubini, salpano per l'aereo cammino. La sua pittura è poesia e viceversa. E' un continuo scambio di informazioni vitali, è un continuo susseguirsi di lampi di parole, di getti di colore. Ogni pennellata è il colpo d'ala di un angelo che spazza via il seme della vita. E' la nemesi del maudit, il manifesto ribelle di una personalità che vive ai margini della nostra società e che, pur tuttavia, la frequenta con la bulimia del bene e del male.
Carmen, nel suo cammino artistico, compie un'immersione profonda nelle viscere degli abissi più oscuri della nostra anima. Respira una miscela capace di assicurarle la giusta lucidità quando la tela è bianca immacolata e urla il bisogno di conoscere il proprio destino. Il suo sangue è un 'trimix' di sensazioni e i suoi nervi sono tesi e compatti. E' squalo e delfino al tempo stesso, preda e predatore, vittima e carnefice. La sua arma sono le parole. Le culla come figli e, come una Medea moderna, fa sì che, volontariamente, le sfuggano di mano per lasciare che si uccidano da sole, che si smaterializzino, che trascinino boia e ghigliottinato nel più profondo dei mari. Il pennello è il corallo che le si spezza tra le dita, è il richiamo della sirena, è Eros e Thanathos in un continuo gioco di rimandi.
Carmen vive due vite, forse qualcuna in più. Vive la vita di donna e di bambina, di madre e di figlia, di moglie e di amante, di donna e di uomo. Di angelo. Perché soltanto chi può aprire le ali come una manta e solcare l'oceano dell'empia pochezza della nostra vita, può permettersi di giocare con il verbo, con il colore, con la luce. Con la vita.
Il vino del solitario è quello che scorre nell'inchiostro di Carmen. E' il vino di Baudelaire, dei suoi decrepiti ma fieri cenciaiuoli, degli assassini, degli amanti che, come due cherubini, salpano per l'aereo cammino. La sua pittura è poesia e viceversa. E' un continuo scambio di informazioni vitali, è un continuo susseguirsi di lampi di parole, di getti di colore. Ogni pennellata è il colpo d'ala di un angelo che spazza via il seme della vita. E' la nemesi del maudit, il manifesto ribelle di una personalità che vive ai margini della nostra società e che, pur tuttavia, la frequenta con la bulimia del bene e del male.
Carmen, nel suo cammino artistico, compie un'immersione profonda nelle viscere degli abissi più oscuri della nostra anima. Respira una miscela capace di assicurarle la giusta lucidità quando la tela è bianca immacolata e urla il bisogno di conoscere il proprio destino. Il suo sangue è un 'trimix' di sensazioni e i suoi nervi sono tesi e compatti. E' squalo e delfino al tempo stesso, preda e predatore, vittima e carnefice. La sua arma sono le parole. Le culla come figli e, come una Medea moderna, fa sì che, volontariamente, le sfuggano di mano per lasciare che si uccidano da sole, che si smaterializzino, che trascinino boia e ghigliottinato nel più profondo dei mari. Il pennello è il corallo che le si spezza tra le dita, è il richiamo della sirena, è Eros e Thanathos in un continuo gioco di rimandi.
Carmen vive due vite, forse qualcuna in più. Vive la vita di donna e di bambina, di madre e di figlia, di moglie e di amante, di donna e di uomo. Di angelo. Perché soltanto chi può aprire le ali come una manta e solcare l'oceano dell'empia pochezza della nostra vita, può permettersi di giocare con il verbo, con il colore, con la luce. Con la vita.