il viaggiatore incantato (un'introduzione)
testi d'accompagnamento del nuovo vide0
Primo Viaggio
La Grande strada è qualcosa che sembra
non avere mai fine; assomiglia a un sogno,
è la nostalgia dell'infinito
Dostoevskij
Non credi che la felicità ti farebbe bene Charlie Brown?
Non so, quali sono gli effetti collaterali?
Questi nostri viaggi sono percorsi nel dubbio. Se dovessimo fidarci di noi stessi, se fossimo certi delle nostre convinzioni, non ci saremmo incamminati. La nostra ricerca, infatti, in questo caso non può che essere fatta a piedi ed in sentieri che normalmente eviteremmo, per pudore o perché immaginiamo che ci riporterebbero alla strada principale, aggirandola inutilmente. Però stavolta andiamo dove cercano alcuni, pensando d'arrivare chissà dove. Spesso, appunto, tornando da dove sono partiti.
Il nostro dubbio è: esiste un luogo, un tempo, un corpo, una lingua fuori dal Mercato? Esiste un atto che abbia lo status di reale, un qualcosa che sia completo in sé, senza dover essere avvolto, penetrato dolcemente dal Mercato?
Non perché soffriamo dall'esservi immersi, di dialogare con i suoi canoni, ma perché abbiamo un piccolo dubbio. Il nostro viaggio cercherà di rinunciare sinceramente alla gioia automaticamente concessaci dal Mercato. Il “Viaggiatore incantato” è un romanzo di Leskov, di cui Benjamin, in un noto saggio, dice che il protagonista rappresenta “l'uomo che sa orientarsi nella terra senza impegnarsi a fondo in essa”. Quindi non fuggirla. Saperla trattare.
Nella storia ci sono decine di episodi che testimoniano la possibilità di decifrare, lottare ed infine cambiare leggi che sembravano naturali, obbligate. Ad esempio nel 1855 il buon Courbet venne escluso dal Salon col suo scandaloso L'atelier de Peintre e dunque fece costruire una struttura temporanea vicino all'esposizione ufficiale certificata dall'Accademia. Ci piazzò 44 dipinti e poi lo chiamò il Pavillon du realisme. Tante proteste ne nacquero che alla fine Napoleone III istituì, nello spazio più lontano del Salon, il Salon de Refuses (1863). I rifiutati alla fine svelarono la natura dell'Accademia e i suoi limiti, demistificandone l'autorità. Il loro salone divenne la vera esposizione, i suoi autori quelli che ancora ricordiamo.
Anche più di recente un altro Mercato faceva fluire il suo monologo . Eppure moltitudini decisero di organizzarsi per Resistere alle dittature che le calpestavano, coraggiosamente cercando la verità al di fuori di quella che, ancora, si poteva definire propaganda.
Ma ha senso ancora oggi porsi la questione del vero, di un reale da scoprire separandolo dallo sguardo complice del Mercato? Temiamo che se, come nella famosa favola, gridassimo il Re è nudo ci accorgeremmo in primo luogo della nostra nudità.
Partiamo nel nostro viaggio senza sapere dove andremo, pensando che ogni realtà, ogni luogo, per dirla con Baudelaire, ci assomiglieranno tanto. Andiamo cosi', contraddittoriamente quanto è vitale la nevrosi che ancora ci abita, visto ci rimane questo dubbio sul Mercato e le sue conseguenze. Ogni paesaggio, temiamo, sarà incantato come i nostri “occhi insidiosi che brillano nel pianto”.
Perché il moderno, nella sua astrazione, è compiuto (forse). Non c'entra la modernizzazione storicamente data, anche i Papua o le tribù dell'Asia centrale, pur vivendo in modi arcaici, stanno immersi, con altre modalità, in una modernità che è comunque logicamente compiuta, nel mondo. Il tipo di vita che si conduce, la religione che si pratica non sono frontiere, le guerre, le sofferenze, le profuganze non sono altro. Diversamente dal passato “Il modello non si realizza come processo, ma come essenza e si offre come risultato” (Negri). Il Mercato, ovunque, ti sussurra ciò che vuoi o ti piega al Suo romanzo. Ha senso l'arroganza di pensare d'essere in grado di cercare un altro reale? E poi ci va?
Si va contro noi stessi. Dovremmo ribaltarci gli organi, violentare ogni nostra percezione, riconquistare inutilmente il dominio del nostro, a quel punto, povero piacere poiché l'accumulo d'astrattezza del capitale s'è ormai elevato a tal punto da rovesciarsi in ogni singolo corpo. Ci modifica costruendosi un suo rifugio, iniziando dalle protesi che interiorizzano la pratica fondamentale della storia dell'umanità, la costruzione di strumenti con cui cambiare il mondo.
Questa immanenza, contraltare languido dell'iper astrazione, è il segno piacevole del Mercato nel nostro corpo che accetta la mutazione. Il suo preciso incastro protesico col nostro corpo, ci convince che un'eventuale via di fuga non può essere negare il mondo nuovo in cui ci dibattiamo.
Perché rinnegare i nostri nuovi organi comuni connessi, le nuove determinazioni di senso che sono ormai innegabilmente in noi? Proprio in questa parte che unisce l'astrattezza tua, mia, del paesaggio ecc. può stare, invece, la via per una cooperazione alla fuga.
Ciò che appare chiaro è che semmai riusciremo in un viaggio fruttuoso ai confini del Mercato, di sicuro non potrà essere solitario. Sarebbe un ritorno nostalgico a visioni romantiche, pur ancora presenti, e un rifiuto della realtà che ci condannerebbe, già in partenza, al fallimento. Viaggeremo, quindi, senza rinunciare al Mercato, ma anche senza badarci troppo.
Secondo viaggio
Molti sciamani battono il tamburo e cantano anche per il solo piacere, senza che tuttavia vi sia differenza quanto a ciò che a tali azioni si lega: salire in cielo o discendere gli inferi.
Mircea Eliade
Mi avviai verso casa
Erano gli ultimi istanti di quella che da allora in poi avrei chiamato
la mia vita precedente
Massimo Volume
Timothy e Silver sorridono. Ci guardano da sopra a sotto. L’immagine è abbacinante nella sua naturalezza. L’uno vestito solo con pantaloni bianchi. A cavalcioni su Silver. Sul manto bianco di Silver. Sullo sfondo una casa. Anch’essa bianca. Non sappiamo, o meglio non ci ricordiamo, che anno sia. Non è essenziale per questo “viaggio”. Prima o dopo il viaggio dei quattro di Liverpool in India non ha importanza.
Come non sappiamo se Pandit Pran Nath abbia mai incontrato Ravi Shankar.Pandit Pran Nath fuori dal Mercato, Pandit Ravi Shankar nel Mercato. Piace pensarla così. Ma è il Mercato a stabilire cosa è al di fuori di esso. Posto che non esiste nulla al di fuori del Mercato. “Ha senso l'arroganza di pensare d'essere in grado di cercare un altro reale? E poi ci va?” scrivevamo nel nostro primo viaggio. Ha senso l’arroganza di pretendere di essere fuori dal Mercato? Ha senso l’omericaὕβϱις di chi si scaglia contro il Mercato?
Come negli antichi poemi epici, chi pecca di ὕβϱις viene punito dagli dei per la sua tracotanza. Quale migliore supplizio per chi si dichiara fuori dal Mercato, contro il Mercato, antitetico al Mercato di essere accolto dolcemente, benignamente, con συμπάθεια dal Mercato stesso?
Esso è il daimon δεινῶς, terribile; terribile per la sua spietata benevolenza.
È il daimon del Mercato che presiede e regola questa realtà, “il canto è nato prima della parola parlata, la poesia è nata prima della prosa, la religione e l'arte sono nate prima della scienza” e il Mercato precede tutto ciò, esso è demiurgo e monade.
Esso è la risposta al quesito che ci pone Eleonora Brigliadori: “cosa sognerà di trovare al suo arrivo il viaggiatore intergalattico? Come possiamo gratificarlo e ringraziarlo, ricompensandolo almeno in parte del rischio affrontato nel tentativo di portare la nostra specie sempre più in alto oltre i nuovi limiti di conoscenza?”.
E quella ineluttabile fuga che abbiamo pennellato nella chiusa del nostro primo viaggio non potrebbe forse riassumersi in questo inintelligibile dialogo:
- Sei diventato un’entità?
- No. È solo che esistendo su un livello multiversale nel Tempo, siamo in grado d’allacciare le neurologie fino a formare una potente unità singolare?
Terzo viaggio
Non sapersi orientare in una città non significa molto.
Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa
come ci si smarrisce in una foresta.
W. Benjamin, Infanzia Berlinese
Shake that paranoia, can't stop the rock
Shake that paranoia, can't stop the rock...
you can't shake that paranoia, come move me, move me...
Dancing like madonna into the groovy.
Apollo 440
Aggirandoci nei nostri poveri luoghi, dell'infanzia, abbiamo trovato molti suggeritori che hanno voluto dirci del nostro viaggio, come trovare la strada, dove andare e quali sono i pericoli. In buona e cattiva fede molti, alla fine, cercano di traviare il Pellegrino, non sanno dove mandarlo oppure l'indirizzano volutamente male. Gira e rigira non è facile trovare il giusto Starec, che sappia consigliarti gentilmente dove andare, senza invidia e presunzione. Alla fine è difficile trovare chi t'indirizzi leggermente, sapendolo.
Oggi è ancora peggio, poiché non c'è un monte in cui il nostro starec possa stare isolato a togliere conoscenza a ciò che sa, a ridurre all'essenziale il suo pensiero contraffatto, ammaliato, ma pure contorto, dal sussurro provocatorio del Mercato.
Riprendiamo il sentiero, con lo stesso cammino, verso la stessa meta (Battiato).
Entriamo in una foresta, ma che sia oscura se no non ci serve. Dobbiamo abbandonare le nostre regole base, voltarci altrove rispetto al Bene-Padre-Sole-Capitale che ci è impossibile guardare come è impossibile sopportare ogni realtà senza mediazione. Però, sotto sotto, sono proprio loro, nudi, che vogliamo trovare sperando d'incrociarne lo sguardo senza esserne abbagliati. Abbandoniamo all'ingresso del bosco il nostro bagaglio di segni, le mediazioni tra noi e il Padre-Sole- ecc. poiché essi sono sicuramente scritti dalle nostre mani guidate dal Mercato. Non c'illudiamo d'esserne esclusi all'atto di tradurre il nostro pensiero in linguaggio. Oddio, potremmo certamente evitare il bosco restando nel soliloquio dell'anima, nelle praterie senza differenza, vuote. Ma noi entriamo, portandoci di nascosto dei segni, che ci sembrano un po' meno segni.
Il nostro viaggio si riduce, alla fine, in un parricidio sofferto. Sappiamo bene che, come Don Chisciotte, non abbiamo molti consigli e molta saggezza da distribuire. Possiamo raccontare solo gli eventi che ci accadono, in una narrazione che non può comunque essere romanzo. Da molto sappiamo che proprio il romanzo è la forma autoconsolatoria d'espressione piacevole della borghesia. Cioè proprio la nostra carne, esposta al Mercato, che si compiace del dolore che le viene inferto in un ben salotto.
Entriamo nel deep web se volete. Nel mondo opposto al vostro, in cui non abbiamo voglia d'essere conosciuti. Non mettiamo nemmeno a disposizione i nostri dati, tanto è diverso l'ingresso. Lì non c'interessa essere noti, né lasciare traccia, ed anzi vogliamo evitare tracce e tracce di tracce. Noi parliamo solo con chi ci vuole conoscere concretamente, perché gli diamo qualcosa. E poi ci cancelliamo. Non abbiamo bisogno di inventarci come scalare i templi di Google, noi stiamo. Offriamo. Volendo, se lo vogliamo, in quel mondo non ci conoscerai. Non ci pagherai: solo al primo livello, quello dei bambini che vanno su Tor, abbiamo delle nostre monete, comunque tracciabili. Ma superato il borsellino paterno, se vuoi fare qualcosa di serio, sappiamo noi come fare. Lo spazio è il 96% di ciò che esiste, come la materia oscura, mentre il resto sta nel tuo povero vivere. Noi essendo narriamo, non scriviamo nulla, magari a voce e di voce in voce. Non ci registri, devi ricordarci.
Ma se usciamo dal nostro caro Inferno, per tornare alle buone maniere, dimenticandoci le perversioni non declamate, smerciate, se può esserci un luogo, un posto in cui l'intera articolazione dell'essere, la sua molteplicità come la sua unità, si riflettano non può che stare nell'instabilità del logos (Gadamer), perchè è chiaro che se diciamo qualcosa, istantaneamente lo tradiamo con la complicità del Mercato. In quest'oscillazione lasciva sta la nostra speranza che esista un reale non mediato e allo stesso tempo comprensibile, esprimibile, pensabile. Se no son balle.
Pensiero-Logos-scrittura ci portano danzando in un sentiero rischioso, nascosto, pericoloso che noi allegramente eviteremo perché abbiamo ascoltato i racconti dei nostri predecessori, che pure hanno fallito, e noi non siamo certamente migliori. Le nostre tasche cariche di segni/non segni si riempono dell'ambiguità di quegli spazi che forse è meglio rimuovere, per quanto non sia facile con un sorriso, per bello che sia il nostro viso spaventato.
Se non si trova un percorso che ci faccia salire , ci butti là una corda, ci spieghi il varco nel percorso tra ente ed essere, che poi è sempre essere e non essere (ma non è questo il problema), allora possiamo pensare che in fondo bene e male siano tanto uguali da rimandarci nel web oscuro, che tanto valga prenderci segni e sensi e goderci il Mercato.
Ma di nuovo è il narrare, che ci salva dal segno, a riportarci al nostro obiettivo, a mirare quel punto forse esterno al mercato (forse no). Le fiabe, inaspettatamente, spontaneamente, ci ricordano come si può ricordare senza un nesso psicologico, senza costruire su ogni straordinario una gabbia del normale del Mercato. La fiaba d'altra parte ci ha già rasserenato contro altri miti, e non era un'idea per infanti, come oggi, ma il modo in cui l'umanità superava la paura, si riconciliava alla natura. Contro il romanzo, che pure ne è fratello, il narrare 1) prevede una memoria che sia tutta mia. Non la memoria offertami in dono dal mio cellulare, in ogni istante, ma decisa per me dal Mercato 2) prevede ci sia un pubblico annoiato. La noia, dice Benjamin, è premessa alla narrazione 3) sta nell'effimero. La memoria memoria umana modifica, rimuove, costruisce il racconto verbale. Don Chisciotte, ma anche il buon protagonista di Big Fish, il film di Tim Burton, lottano, o tentano di lottare con noi. In Big fish, storie di una vita incredibile, il protagonista, in punto di morte, racconta le storie assurde e strampalate con cui ricostruisce la propria vita al figlio, che essendo dotato del buon senso comune, le trova stupide e superficiali. Vuole riportare il padre alla sana realtà, ma proprio in morte scoprirà la verità, non metaforica, leggendaria ma concreta, fisica di tutti i giganti, le streghe gli impossibili personaggi raccontati. Ciò che narriamo è più reale di quello che analizziamo, o comunque meno intriso di ciò che analizziamo con gli strumenti che il Mercato ci dona.
Ma tutto questo non esce del tutto dall'ambiguità del reale. Torniamo alla partenza, ma non senza esperienza acquisita. Abbiamo ancora la possibilità d'essere annoiati? Ed essendo annoiati sapremmo, una volta abbandonate le viscere del Mercato nascosto, accogliere l'effimero, il segno meno segno, che passa solo dalla nostra parola oppure vorremmo fosse ricordato? Raccontiamo a chi ci aspettava all'inizio che non abbiamo saputo abbandonare del tutto il logos come protezione dal Padre-Bene-sole-Capitale, che ancora ragioniamo nel Mercato, ma che forse ora sapremo dire meglio la nostra storia. E, dunque, aggirandoci nei nostri poveri luoghi....
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