FORMA DI DONNA. Modelli ancestrali e figure carnali dell'inquieta natura femminile
il titolo della rassegna di questo artista pugliese, nativo di Grottaglie, che individua come punto di partenza un simbolo primordiale: la Venere di Willendorf da lui ripresa anche in una felice e dolce serie di incisioni.
Donne e preistoria. Originari istinti di rappresentazione che si incarnano proprio nelle Veneri di questo periodo: risalgono al Paleolitico superiore ossia 32.000 anni fa e sono i primi prodotti artistici dell’uomo. E’ la base della nostra storia artistica europea occidentale, in essa ci sono delle statuette alte circa 15 cm: piccole sculture a tutto tondo che non rappresentano per il momento nessuna divinità avulsa dall’uomo, ma piuttosto l’uomo stesso, l’uomo in sé, la proprietà generatrice dell’uomo.
Sono piccole donne in pietra, con le forme anatomiche esagerate, con capigliature folte e movimentate che ricadono sul volto, coprendolo. Piccoli idoli, amuleti protettori della fecondità della razza umana. Qui la realtà sociale e naturale viene trasposta in un’immagine che comunica le aspirazioni. La realtà, ciò che invitabilmente è, viene rimaneggiata e rappresentata perfetta, come dovrebbe essere. E ‘perfetta’ fu definita quell’arte da Picasso
Così sono le Veneri di Antonio Favale: donne primordiali, grandi, bianche, tonde, immortali. Sono costruite con campiture accese, intarsiate; vivide come vetrate votive senza templi né religione.
Lo sguardo sorridente di Antonio si appoggia sulle forme e stringe gli occhi sulle luci che sbiancano i volti, le espressioni.
Favale, diplomatosi a Bari in scenografia presso l'Accademia di Belle Arti, ritorna, anche in questi soggetti, con la sua personale terminologia: biancori luminescenti, come graffi che disfano la forma; macchie bianche e lattiginose che la bruciano rendendo inintelligibili i connotati che inchioderebbero la donna ai suoi confini materiali e concettuali.
Come per i suoi precedenti soggetti (finestre, aperure, pertugi traparenti che ci mettono in contatto visivo col mondo interiore) esistono anche qui dei limiti visivi come cornici cromatiche, sfondi evanescenti, colore che cola oltre il campo pertinente di rappresentazione.
Lo scambio vitale e appassionante con chi guarda si consuma qui, schiacciati in prima fila, davanti al proscenio; oppure, se preferite, appoggiati ad un balcone, uno dei tanti felici balconi di Favale, in silente conversazione con queste donne.
Intrigante, inquietante, dolce vincolo visivo alla introspezione, questo nuovo soggetto di Favale, che libera la donna, da quel chador occidentale della magrezza e pallore ad ogni costo e che compie un piccolo, intimo passo in avanti sul ripensamento della nostra effigie formale e sociale.
FRANCESCA MAGNANO
Francesca Magnano
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