Kit per Tornei Improbabili

Cartone pressato carta e acrilico, Stoffa , 2020

La fisica relativistica ci insegna che il passato è il futuro di altri luoghi.
Ogni epoca del passato è quindi come un ostaggio da liberare e ogni luogo uno spazio da occupare.
Se lo scenario attuale tenta di detronizzare l’esistente a favore di ciò che è possibile, l’istallazione del torneo cavalleresco, intende generare un profuvio di Non –luoghi evanescenti e delocalizzati, nei quali ciascuno di noi però può prendere momentaneamente dimora.
Come si compie un possibile lavoro della memoria attraverso la presa cosciente sul passato?
Quali sono le modalità con cui ripensare gli intrecci temporali, le conseguenze e i ritorni del passato nel presente che proprio l’attualità sembra aver disgiunto e dileguato?

Le immagini di violenza, di guerra e di morte che si frappongono tra noi e il mondo sono spesso logore, abusate, esauste e perciò inutili.
Eppure sono proprio le immagini a dischiudere i rapporti tra passato e
presente ogni volta che si predispone uno spazio, bloccando l’incedere di
una deriva dell’immaginario e fissandone il tempo.

I cavalieri e le loro armi ricostruiscono una possibile ritualità del gioco della guerra attraverso gli universi simbolici che mette in scena.
Una sorta di sfida dello sguardo che configura una propria azione sul mondo, attraverso il bisogno di assegnare allo spettatore, che
distrattamente lo abita , una responsabilità nei confronti della propria storia.
L’installazione propone questa possibile intenzione attraverso un gioco negato: produce immagini disponibili alla simulazione , ma fisicamente impossibili da usare perchè bloccate da vincoli.
Quel gioco della guerra è reso possibile ma è simultaneamente vano , come quello di costruire una distanza critica sul mondo solo da una postazione privilegiata .
L’installazione non intende raccontare una storia, né permetterne un riuso, ma più opportunamente vuole evocare la difficoltà di illustrare oggi una storia .
Le somiglianze delle immagini con il mondo reale ingannano l’occhio e ci
raccontano con più immediatezza ciò che sappiamo e riconosciamo di quel mondo.
Qui le immagini si pongono cioè come catalogo e stereotipo del torneo cavalleresco in una età remota.
Le silhouette sono volutamente riconoscibili e vincolate al loro telaio realizzano concretamente una fissità temporale ed una resistenza alla manipolazione .
Le figure hanno le dimensioni reali degli oggetti che rappresentano.
Le armature, i cavalli ,le gualdrappe, le armi, le bandiere, spostano il senso interpretativo da un uso ludico e bizzarro del gioco ad un meccanismo che si interroga su quale sia il confine che si pone tra le immagini e le parole che le descrivono.
Così come avviene tra la scrittura musicale e la sua trasposizione sonora, dimentichiamo spesso che anche la storia oggi ci propone solo frammenti di fantasmagoriche affabulazioni visive.
Un bilancio inutile come nella perfetta costruzione della Mappa dell’Impero descritta da Borges.

“… In quell'Impero, l'Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell'impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell'Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche”.

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