Steve McCurry

Steve McCurry

“Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te”
Steve McCurry, fotografo

Sharbat Gula è la protagonista della celebre fotografia “Ragazza afgana” pubblicata sulla copertina del “National Geographic” nel 1985. La foto è stata scattata da Steve McCurry nell’84 e subito dopo la sua pubblicazione è diventata simbolo dei conflitti afgani degli anni ’80. L’immagine è diventata subito famosa per il forte impatto, per lo sguardo penetrante e quasi ipnotico della ragazza, ma in pochi conoscono la vera storia della foto, e in pochissimi si sono chiesti chi sia Sharbat e cosa raccontano i suoi occhi. Sharbat Gula, che all’epoca aveva circa 12 anni, è stata immortalata nel campo profughi Nasir Bagh in Pakistan, che ospitava tutti coloro che riuscivano a scappare dall’Afghanistan occupato dai sovietici. Sharbat, dopo aver perso i genitori durante un attacco sovietico, è riuscita a salvarsi insieme alla nonna ed ai fratelli. Una storia racchiusa nel suo sguardo, intenso ma pieno di malinconia e di paura. L’immagine è diventata famosa in tutto il mondo all’insaputa della protagonista che, a distanza di 17 anni, è stata ritrovata dal fotografo Steve McCurry e da un team del National Geographic, e nuovamente immortalata, più grande e matura ma con gli stessi occhi forti e coraggiosi.

Sharbat Gula dopo 17 anni

Il viaggio è in qualsiasi esperienza. Dobbiamo esplorare, osservare questo mondo. La vita è un continuo processo di apprendimento.

Come in un “viaggio intorno all’uomo”, la fotografia di Steve McCurry mostra la vertigine della guerra, del dolore e della paura ma anche la poesia del quotidiano, la riscoperta dell’infanzia e il gusto dell’esotico. Il suo sguardo è sincero ed empatico allo stesso tempo. Il suo ritratto più famoso è quello della ragazza afgana dagli occhi verdi: uno sguardo diretto che inchioda chiunque lo guardi alle proprie responsabilità, vera icona del conflitto in Afghanistan.

Uno dei più grandi maestri della fotografia del nostro secolo. Nato a Philadelphia nel 1950, Studia fotografia all’Università dopo aver lavorato per mantenersi, addirittura come cuoco nelle cucine di mezza Europa.Comincia presto a collaborare come fotografo per un giornale locale. Dopo tre anni decide di recarsi in India e comporre il suo primo vero portfolio con immagini del viaggio.Viaggiare lo distoglie dalla sua prima intenzione di diventare regista. Presto, inizia a lavorare per la Magnum Agency, una fra le più prestigiose agenzie di fotografia. Ha scattato foto in mezzo mondo soprattutto in luoghi devastati dai conflitti. Cercando ogni volta di capire come facesse la gente a sopravvivere a tanta devastazione e dolore, a quel punto ritrarre dei volti diventava per lui un imperativo, come se volesse rendere manifesta al mondo una situazione così tanto dolorosa. Inviato in mille fronti di guerra da Beirut alla Cambogia, dal Kuwait alla Ex Jugoslavia, per non dimenticare l’Afghanistan. Dopo la pubblicazione del suo primo lavoro importante sull’Afghanistan, collabora con alcune delle riviste più prestigiose: Time, Life, Newsweek, Geo e il National Geographic. Inviato su mille fronti di guerra, da Beirut alla Cambogia, dal Kuwait all’ex Jugoslavia, all’Afghanistan, McCurry si è sempre spinto in prima linea rischiando la vita pur di testimoniare gli effetti e le conseguenze dei conflitti in tutto il mondo.


“Quando vedi guerre, uccisioni, ti senti come un sergente che ha perso degli uomini in un’operazione di guerra: sai che devi andare avanti, devi continuare, cercare che tutto quello che hai visto e provato sulla tua pelle non ti sconvolga la vita e anzi ti aiuti a capire meglio la tua quotidianità.”

La mattina dell’11 mi alzai. Ero ancora un po’ frastornato dal jet lag, andai nel mio studio e mentre stavo lavorando ricevetti una telefonata da un amico che mi avvisava che le torri del World Trade Center stavano bruciando. Sconvolto e in preda a un forte stato di shock andai sul tetto di casa mia con la macchina fotografica, iniziai a scattare le immagini e in quel momento vidi le torri crollare. Quando il fumo si diradò, non riuscii a credere che quello che stavo vedendo fosse vero: le torri non c’erano più. Un incubo. Presi la macchina e andai verso la zona del World Trade Center, quasi avessi un pilota automatico dentro di me. Passai lì tutto il giorno e il giorno dopo, finché la polizia mi disse di allontanarmi.

Grande amante dei colori: preferisce fotografare a colori perché i colori fanno parte della realtà, non gli è mai passato per la testa di fare foto in bianco e nero. Ritiene che ogni foto parta da un’intuizione, un’ispirazione supportate da metodo e fortuna. Le sue foto sono puro reportage scatta sempre istintivamente, la vita infatti non sempre si può pianificare e ritiene che i ritratti scattati istintivamente siano quelli veri.
“Il reporter deve imparare a conoscere prima i soggetti delle sue foto, respirare la cultura del luogo che vuole fotografare, deve necessariamente fermarsi e assaggiare prima di premere il pulsante della sua macchina fotografica. Il fotogiornalismo non deve temere il digitale, è una grande opportunità.”
Ha fatto del viaggiare una sua dimensione di vita: “Perché già il solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile”.


A cura di Emanuele Davi